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1963: il miracolo della Bolivia in Copa America

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Bolivia: il dottor Stranamore

Nel 1962 la Federazione calcistica boliviana annuncia con orgoglio che, per la prima volta nella sua storia, la ventottesima edizione della Copa América sarà organizzata da La Paz. La notizia arriva nella fase più acuta della Guerra fredda, nel preciso momento in cui l’America latina è al centro della famigerata crisi missilistica cubana.

L’Avana è lontana, ma la drammatica situazione coinvolge l’intero Sudamerica. Porre l’accento solo sulla dimensione globale della competizione sovietico-americana, come avviene comunemente, sarebbe come dire che si può giocare una partita di calcio senza l’apposito campo.

Il sub-continente diventa tale campo, sul quale si disputa il drammatico confronto tra le due potenze in lotta. Stati Uniti e Unione Sovietica si puntano contro le armi nucleari. Il mondo è a un passo dall’olocausto atomico. È il principio della deterrenza, per dirla con il dottor Stranamore, ovverosia l’arte di creare nell’animo del nemico il terrore di attaccare per primo.

Poi, a fine ottobre, improvvisamente Radio Mosca annuncia che Krusciov ha ordinato il ritiro delle armi ritenute “offensive” dal governo degli Stati Uniti. Ecco finalmente il segnale atteso sin dall’inizio della crisi. Il mondo è salvo.

Colla e camba

Sfiorata l’apocalisse, per le squadre partecipanti si presenta un problema assai più pratico: raggiungere la Bolivia. La Paz è a 3.600 metri sul livello del mare, e per arrivarci qualcuno passa anche da Coroico, attraversando la pericolosissima strada degli Yungas, una mulattiera che costeggia uno strapiombo di duecento metri senza nessuna protezione, dove si registra un incidente mortale al giorno.

Per evitare una possibile strage, Uruguay, Cile e Venezuela rinunciano. Brasile e Argentina mandano invece una rappresentativa minore; a quanto pare le giovani promesse sono sacrificabili. Ma perché è così difficile raggiungere il Paese che ancora oggi fornisce al mondo almeno una decina dei luoghi che l’Unesco considera patrimoni dell’umanità?

Tutto è iniziato alla fine dell’Ottocento, quando per motivi economici boliviani e cileni hanno dato vita a una vera e propria guerra, la Guerra del Pacifico. Il conflitto, conosciuto anche come la Guerra del Salnitro, tra il 1879 e il 1884, si è combattuto a colpi di spade per l’accaparramento dei territori oggi famosi per le miniere di rame e appunto di salnitro (nitrato di potassio).

La sconfitta boliviana è costata al Paese la perdita dell’accesso diretto all’Oceano Pacifico e del conseguente sviluppo economico. Ciò ha favorito anche una divisione interna alla Bolivia, poiché materialmente tagliata in due per via della mancanza di una ferrovia in grado di collegare la capitale alla zona orientale. In tal modo sono nate due anime: quella colla, degli abitanti delle Ande occidentali, e quella camba degli abitanti orientali. Questa spaccatura interna ha impedito anche lo sviluppo del calcio, che in effetti a La Paz è arrivato tardi.

La Copa América del 1963

La Federazione boliviana, per ben figurare davanti al pubblico di casa, chiama sulla panchina il brasiliano Danilo Alvim Faria, il volante della leggendaria formazione del Vasco da Gama e della nazionale brasiliana ai Mondiali casalinghi del 1950.

Alla prima partita è subito spettacolo. Il pirotecnico pareggio tra boliviani ed ecuadoriani termina 4 a 4. Sotto di due gol a dieci minuti dalla fine, i padroni di casa hanno approfittato del fiato corto degli avversari per prendere il sopravvento: una tattica che utilizzeranno per tutto il torneo.

Argentina e Brasile, nonostante le squadre sperimentali, provano a fare la voce grossa. Albiceleste subito vittoriosa contro Colombia ed Ecuador, entrambe battute con il medesimo risultato (4-2). La punta argentina Mario Rodríguez cerca di mettersi in mostra a suon di gol per un’eventuale riconferma nella Nazionale maggiore. Non accadrà.

I brasiliani intanto dilagano contro la Colombia (5-1), due gol di Flávio Minuano, per poi vincere di misura sul Perù (1-0). Lo scontro diretto tra le due squadre, quello che dovrebbe decidere anche quest’anno chi alzerà la Coppa, finisce 3 a 0 per gli argentini.

Intanto la Bolivia ha imboccato la strada della vittoria. Davanti al suo cospetto, vanno giù prima la Colombia (2-1), poi il Perù (3-2) e anche il Paraguay (2-0). Non restano che le squadre più titolate: Argentina e Brasile. Nel catino di La Paz, all’Estadio Hernando Siles, ventimila spettatori esagitati assistono all’insperata vittoria contro la grande avversaria. La Bolivia vince 3-2, con l’ultimo gol siglato a due minuti dalla fine.

Il successivo pareggio degli argentini con il Paraguay crea una situazione in cima alla classifica mai vista prima: alla Bolivia basta un pareggio per vincere la Copa.

L’ostacolo si chiama Brasile, che in virtù della sconfitta con i paraguaiani è ormai fuori dai giochi. Ciò nonostante, i verdeoro daranno battaglia in campo. Il 31 marzo i boliviani ospitano la Seleção a Cochabamba. I venticinquemila spettatori assistono a una partita indimenticabile. Padroni di casa in vantaggio dopo 15 minuti con Víctor Ugarte. Raddoppio di Camacho al venticinquesimo. Sugli spalti stentano a crederci. Nel giro di tre minuti, però, il Brasile segna due volte e pareggia. Il primo tempo finisce 2-2, il che porterebbe comunque la Bolivia al trionfo.

La ripresa inizia allo stesso ritmo. Segna ancora Ugarte, 3-2. Fra non molto, verrà considerato il miglior calciatore della storia boliviana. Lo chiamano «El Maestro». È uno dei primi giocatori boliviani professionisti: il Club Bolívar di La Paz da tre anni gli passa un lauto stipendio per pensare solo al calcio e a far gol. E Ugarte segna, anche in Nazionale.

Dopo quattro minuti, Bolivia ancora in gol: siamo a quattro! I tifosi non hanno imparato la lezione e già cantano vittoria. Sbagliano, perché come nel primo tempo, al Brasile bastano tre minuti per segnare due volte con Flávio Minuano: 4-4. Stress incredibile, dentro e fuori dal campo.

La partita si trascina oltre il novantesimo con occasioni da una parte e dall’altra. Poi l’episodio che cambia la partita: calcio di rigore per i padroni di casa. Sul dischetto si presenta Máximo Alcócer. Ha trent’anni. Questa potrebbe essere l’ultima occasione per coronare un’intera carriera. Lo stadio ammutolisce. Manca un minuto alla fine. Alcócer tira e spiazza il portiere brasiliano Silas: 5-4. Bolivia campione!

I sogni muoiono all’alba

Quando l’arbitro Orrego fischia la fine dell’incontro, la folla boliviana invade il campo dello Stadio Félix Capriles. I calciatori vengono issati sulle spalle e trascinati attorno allo stadio insieme alla Coppa.

Il giorno dopo, il presidente Víctor Paz Estenssoro raggiante dichiara: «La Bolivia ha organizzato al meglio la Copa América, e grazie ai suoi valorosi giocatori l’ha vinta!». La festa, però, è destinata a breve durata.

Un anno dopo, nella sala presidenziale, entrerà il comandante dell’esercito Alfredo Ovando Candia e mostrerà l’arma, chiedendo a Estenssoro se preferisce la strada dell’aeroporto o quella del cimitero. È un colpo di Stato.

Il Paese piomberà sotto il tacco di una delle più spietate dittature dell’America Latina, con a capo René Barrientos Ortuño. È giunto al potere anche grazie alle dritte del suo consigliere personale, il criminale nazista in fuga Klaus Barbie, meglio conosciuto come «il boia di Lione» per la sua efferatezza in Francia ai tempi della guerra. Ortuño godrà dell’appoggio dei contadini, e questo spiega perché tre anni dopo il progetto della rivoluzione permanente di Che Guevara fallirà proprio in Bolivia, dove verrà catturato e assassinato.

La fine calcistica della Bolivia, dopo la vittoria del ’63, avverrà nel 1969 con la tragedia di Viloco, ovverosia l’incidente aereo nel quale perderanno la vita tutti i calciatori del The Strongest, la più forte squadra boliviana di sempre.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Gallo)

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