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Accadde oggi. 1995, la Legge Bosman cambia il volto del calcio

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IAMCALCIO.IT (Carmine Calabrese) – Se mai si può parlare di rivoluzione nel calcio moderno, il 1995 segna uno spartiacque tra come si intendeva il calcio prima e dopo la pronuncia da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea circa il quesito posto da Jean-Marc Bosman, che da allora diventò per tutti la Legge Bosman. Motivo del contendere, il regolare trasferimento dei calciatori all’interno dell’Unione europea, questione fino allora demandata alla semplice volontà dei club che potevano porre il veto alla partenza di un calciatore verso altri lidi, il cosiddetto “vincolo” che veniva vissuto come un capestro dai giocatori stessi.

Esemplare in questo senso la vicenda dello stesso Bosman: calciatore di basso profilo della Jupiler League, la Serie A belga, Bosman era tesserato per l’RFC Liegi quando, nel 1990 e a contratto scaduto con la compagine belga, gli arrivò una proposta dalla Serie B francese dal Dunkerque che la stessa compagine belga fece cadere perché la contropartita in denaro per il cartellino del calciatore venne considerata insufficiente. Da qui la decisione di rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione europea che, proprio il 15 dicembre 1995, diede ragione al calciatore annullando di fatto il “vincolo” ed equiparando, secondo i Trattati di Roma, il lavoro del calciatore a quello di qualsiasi altro lavoratore europeo che aveva piena libertà, alla scadenza di contratto, di spostarsi da un paese all’altro dell’Ue sfruttando la libera circolazione dei lavoratori senza alcun parametro economico.

Per il calcio la sentenza Bosman cambiò tutto perché, di fatto, le Federazioni nazionali avevano perso qualsiasi potere di calmierare la presenza dei giocatori stranieri dell’Ue all’interno delle squadre dei propri campionati. Solo per restare in Italia, nella stagione precedente alla sentenza Bosman di stranieri nel campionato italiano potevano scenderne in campo al massimo tre contemporaneamente e questo portava le squadre a non avere in rosa più del 15% del totale di calciatori provenienti da altre Federazioni. Nel dopo Bosman la percentuale si è letteralmente impennata arrivando, nel giro di poche stagioni, a superare il 40% del totale con ovvie ripercussioni anche sulla Nazionale, di cui una delle possibili cause del progressivo calo di risultati viene propria indicata nella massiccia presenza degli stranieri nelle squadre di club italiane, e sui vivai che risultano già infarciti di stranieri anche ai livelli più bassi.

Ad indiretta conseguenza della sentenza Bosman si può anche riportare la nascita di una figura, quella del procuratore dei calciatori, totalmente assente fino al 1995, almeno con i crismi e il potere contrattuale odierno: ai giorni nostri un calciatore che non abbia rinnovato il contratto ha facoltà già sei mesi prima della scadenza dello stesso di accordarsi con altro club senza che quello di appartenenza possa avanzare alcuna richiesta. E’ cambiato il mercato, sono cambiate le dinamiche e il rapporto tra calciatore e club di appartenenza, è cambiato il calcio stesso sempre più contaminato dalla “presenza stranieri” tante che diventa ormai difficile parlare di correnti e scuole di calcio che succedeva fino alla metà degli Anni 90. Una sentenza che ha portato tanti benefici, soprattutto per i calciatori, ma che ha cambiato per sempre il volto del calcio di vertice che si è spostato dall’essere sport a tutto tondo a business sempre e comunque senza la possibilità di invertire più marcia.

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