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Accadde oggi: Pallone d’oro a Rossi, juventino solo a metà

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VIRGILIO.IT – L’uomo che fece piangere il Brasile si commosse, quel giorno. Il 28 dicembre del 1982 Paolo Rossi coronava l’anno più incredibile della sua carriera alzando il Pallone d’oro, secondo italiano a ricevere il prestigioso trofeo 13 anni dopo Rivera. Fino a maggio di quell’anno era solo un calciatore che stava per finire di scontare una lunga squalifica per la storia delle scommesse, poi lo sliding doors. Rientra in Udinese-Juve e segna a fine campionato, Bearzot lo porta al Mondiale di Spagna e lui, dopo tre partite iniziali deludenti, ripaga tutto e tutti trascinando l’Italia alla vittoria del Mondiale. Tre gol al Brasile, due alla Polonia in semifinale e uno alla Germania in finale. Lui dirà, ricordando l’immediato post-partita del Bernabeu: “Guardavo la folla, i compagni e dentro sentivo un fondo di amarezza. “Adesso dovete fermare il tempo, adesso”, mi dicevo. Non avrei più vissuto un momento del gene­re. Mai più in tutta la mia vita. E me lo sentivo scivolare via. Ecco: era già fini­to…”. Era iniziata sempre alla Juve, a 16 anni.

LA CARRIERA – Boniperti lo diede in prestito al Como per farlo maturare, ma il tecnico Ba­gnoli gli preferisce un altro Rossi, Ren­zo. Paolo Rossi diventa Paolorossi tutto attaccato a Vicenza dove da ala si trasforma in centravanti: 21 in 36 partite ed arriva anche l’esordio in Nazionale, il 22 dicembre del 1977 lo fa esordi­re in Nazionale (Belgio-Italia 0-1). Al primo anno di A segna 24 gol, capocan­noniere del campionato, uomo-simbolo del LrVicenza che si piazza secondo alle spalle della Juve. Che a questo pun­to riscatterebbe volentieri la compro­prietà. Il presidente dei biancorossi Farina però non molla l’osso: si va alle buste. Nella sua Boniperti infila 875 milioni. Resta di stucco quando scopre che nell’altra ci sono addirittura due miliardi e 600 milioni. Rossi vale più di 5 miliardi, insomma. Scandalo. Si dimette il presidente della Figc Carraro, ma intanto Rossi è già Pablito, grazie allo straordinario Mondiale d’Argentina. Il guaio arriva quando passa al Perugia in prestito: lì accadrà il fattaccio delle scommesse e la squalifica ma la Juve gli ridà una chance. Saranno alti e bassi in bianconero, che lui ricorda così: “In bianconero ho vissuto dei momenti molto belli, ma anche alcuni molto brutti. Ad un certo punto ero stufo di calcio, andavo agli allenamenti perché ero costretto. Mi sembrava che attorno a me mancasse totalmente la fiducia, quando dovevano sostituire un giocatore, toccava sempre a Rossi. Mi sembrava una scelta fatta a tavolino, ci restavo male. Con i tifosi juventini non mi sono mai trovato bene, forse ha rovinato il rapporto la faccenda dell’ingaggio, quando avevo chiesto qualche soldo in più. Oltretutto nella Juventus giocavo in una posizione poco congeniale alle mie caratteristiche, ma mi sono adattato, anche sacrificandomi. Alla Juventus ho imparato tantissime cose, la società voleva confermarmi ma io, ormai, mi sentivo come un leone in gabbia. Meglio cambiare aria”. Andrà al Milan ma ormai il guizzo non è più lo stesso e presto arriva l’addio al calcio.

LA VITA PRIVATA – Ci sono due matrimoni e tre figli nella vita privata dell’ex attaccante azzurro: dalle nozze con Simonetta Rizzato, è nato il primogenito Alessandro. Dopo il divorzio dalla prima moglie, Rossi si è sposato con la giornalista Federica Cappelletti (nel 2010). La coppia ha avuto due figlie: Maria Vittoria e Sofia Elena. Paolo Rossi: curiosità Al fianco di Roberto Baggio e Christian Vieri, Paolo Rossi è stato anche candidato per Alleanza Nazionale alle elezioni europee. Come cantante, ha realizzato un 45 giri, con la canzone Domenica alle tre, il cui testo tratta del rapporto tra i calciatori e le proprie compagne. Nel 2011, ha partecipato a Ballando con le stelle come concorrente. A Vicenza gestisce un’agenzia immobiliare insieme all’ex compagno di squadra, Giancarlo Salvi. Oggi commenta la Champions per la Rai. Rossi è anche proprietario di un agriturismo a Bucine ma per sempre resterà l’uomo che fece piangere il Brasile. “Nel 1989 sono tornato in Brasile per partecipare alla seconda edizione della Coppa Pelè, una specie di Mondiale per over 34 e ho capito quanto fossi ancora un incubo nella memoria della gente. Ero andato lì con la mentalità del turista e mi sono ritrovato a giocare in uno stadio di 35mila persone con tutti gli occhi puntati addosso: Paolo Rossi, charrasco do Brasil. Il boia del Brasile. Non potevo avvicinarmi alla linea laterale che mi pioveva addosso di tutto, bucce di banana, noccioline, perfino monete, tanto che, alla fine del primo tempo, ho deciso di non rientrare in campo e il clima sugli spalti si è subito placato. Un giorno un tassista, dopo avermi riconosciuto, s’è fermato, ha accostato e mi ha intimato di scendere. Ho dovuto discutere per un po’ prima di riuscire a fargli cambiare idea: mi ha riportato in hotel. Quei tre gol del Mondiale di Spagna, quelli che hanno fatto piangere un intero popolo, non erano ancora stati digeriti, forse non lo saranno mai”.

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