Scanziani: dall'oratorio alla serie A, inseguendo un sogno chiamato pallone - Gli Eroi del Calcio
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Scanziani: dall’oratorio alla serie A, inseguendo un sogno chiamato pallone

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THEENVOY.EU (Sabrina Trombetti) – Il calcio come crescita umana ancor prima che fisica, e tanti insegnamenti per diventare uomini.

Incontriamo Alessandro Scanziani, mezzala instancabile dal piede fatato, che negli Anni 80 ha fatto la fortuna di Como, Inter e Sampdoria.

Tanti aneddoti curiosi, un ricordo speciale per il Presidente (con la P maiuscola) Paolo Mantovani e il Maestro Giovan Battista Fabbri e, soprattutto,un consiglio per l’amico Roberto Mancini…

Mister Scanziani, come nasce la sua passione per il calcio? I suoi genitori la hanno sostenuta in questa passione o avrebbero preferito un lavoro più “sicuro”?

Quando ero giovane, vivevo, e vivo ancora, in un Paese di circa 9.000 abitanti, i ragazzi frequentavano tutti l’oratorio, e c’erano due scelte, o giocare a calcio oppure a ping pong. Ho fatto la scelta del calcio e ho iniziato a giocare nel CSI, Campionato provinciale dei vari oratori della zona. Contemporaneamente giocavo anche nel campionato giovanissimi con la squadra del Paese, Folgore Verano, ma sotto falso nome in quanto non era possibile essere tesserato per entrambe le manifestazioni. Poi, a 14 anni, sono stato chiamato dal Calcio Como, dove ho fatto tutta la trafila del settore giovanile. Ho frequentato il liceo scientifico a Monza. Mio padre avrebbe preferito che facessi l’università e che mi laureassi in farmacia. In effetti dopo il liceo, mi sono iscritto all’università. Sono stato convocato con la prima squadra del Como, poi trasferito in prestito al Livorno, in serie C, e l’università è passata in secondo piano. Torno a Como in serie B e inizio la mia carriera da professionista. Mio padre si è arreso alla mia scelta. Voglia di studiare poca. Facoltà sbagliata per l’obbligo della frequenza. Due esami nei primi due anni, dove non c’era l’obbligo di frequenza , poi ho abbandonato l’idea di diventare un farmacista…..

Che cosa ha provato quando ha esordito la prima volta in serie A, e a chi è andato il primo pensiero?

Esordisco in serie A con il Como. Prima partita a Napoli e seconda in casa con la Juve. Ho capito che potevo stare in quel mondo, che potevo fare il calciatore. Stava per avverarsi il mio sogno. Il sogno che ogni uomo ha da piccolo. Il primo pensiero va a mio padre, che comunque era rimasto della sua idea, perché pensava già al dopo, al termine della mia carriera, e forse temeva che non potessi farcela a trasformare un “gioco” in un lavoro.

Ci racconta un aneddoto curioso o un episodio che, secondo lei, racchiude la magia del calcio anni 80?

Mi piace ricordare il mio trasferimento alla Sampdoria. Finito il campionato ad Ascoli, in serie A, salvezza raggiunta all’ultima partita.

Il lunedì mi presento in sede e chiedo di essere ceduto. Dopo pochi giorni il segretario mi chiama e mi dice che mi vuole la Samp, quinta o sesta nel campionato di serie B. Avevo molti dubbi se accettare il trasferimento o meno, passare dalla serie superiore alla B non mi andava molto a genio. Ma accetto di andare ad incontrare il Presidente della Samp, Presidente con la P maiuscola in onore ad un grande uomo, Mantovani. Mi accoglie nel suo studio. Mi regala una moneta d’oro, per il disturbo di essermi recato a Genova per l’incontro. Inizia dicendomi: io voglio vincere il campionato italiano. Sono rimasto allibito. Primo, siamo in B. Secondo, la Samp non ha mai vinto un campionato. Non sapevo cosa rispondere. E dico: Presidente io sono forte, ma iniziamo a pensare prima ad andare in serie A, poi vediamo. Ma la cosa che mi colpì era la sua certezza, la sua convinzione di realizzare quello che io pensavo fosse solo un sogno. L’unico rammarico è stato quello di non averlo potuto accontentare negli anni in cui io giocavo nella Samp. Anche se comunque abbiamo vinto la prima Coppa Italia della storia Samp.

Nel corso della sua lunga carriera ha avuto tanti “maestri”. Quale è stato il loro insegnamento più forte che poi ha voluto trasmettere ai suoi giocatori una volta diventato Mister?

Direi alcuni Maestri, ed altri solo allenatori. L’insegnamento più grande è stato quello di avermi aiutato a crescere, a diventare un uomo, prima che calciatore. Questo partendo soprattutto dal settore giovanile, dove nessuno può sapere se diventerai un calciatore professionistico o meno. Quindi il lavoro non è solo tecnico-tattico o fisico, ma sopratutto umano. Sei in crescita, non solo fisica, e avere un allenatore che ti aiuta a crescere, a riconoscere il bene dal male, il giusto dall’errore, è molto importante. Imparare a rispettare le persone, dai compagni agli avversari, il mister fino al magazziniere della squadra, gli arbitri…e tutte le persone con cui interagisci. Spesso è molto più importante che insegnare a giocare. Un conto è diventare calciatore, molto più importante è diventare uomini. L’allenatore che ricordo con più simpatia era Gian Battista Fabbri, avuto la prima volta a Livorno e in seguito ad Ascoli. Mi diceva: se ti chiamavi Scanzianovsky, nel senso se fossi stato uno straniero, eri lo straniero più forte di tutti. Sapevo che esagerava, ma questo era il suo modo per farmi sentire bravo. E per lui avrei dato tutto. Mi caricava di autostima come niente e nessun altro.

Quale consiglio darebbe al suo ex compagno di squadra e Ct dell’Italia, Roberto Mancini, per risollevare la Nazionale Azzurra ?

Sono molto contento che Mancio sia riuscito a diventare un grande allenatore, dopo essere stato un grande calciatore. Purtroppo per lui, e per il nostro calcio, questo non è certamente il periodo migliore per vincere con la Nazionale. La nostra serie A è imbottita di troppi stranieri, alcuni buoni giocatori, molti “normali”, che però impediscono ai nostri giovani di giocare, maturare e confrontarsi nella massima serie. Per Mancio scegliere una ventina di calciatori che possano essere competitivi ai massimi livelli, europei o peggio, mondiali, non è e non sarà̀ facile. Alcuni giocano in squadre di metà classifica e, non confrontandosi con squadre europee nelle varie coppe, non hanno la possibilità di maturare e crescere. Dovrebbe intervenire la federazione. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di confrontarsi con i suoi collaboratori, Oriali, per esempio, che conosce già molto bene dall’esperienza all’Inter , ma poi di fare di testa sua, di seguire il suo istinto. Il calcio lo conosce. E spero che possa realizzare i sogni suoi, nostri, e di tutti i tifosi italiani.

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