Un secolo di Valcareggi Quell’uomo probo che governava l’azzurro in mezzo alle tempeste - Gli Eroi del Calcio
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La Penna degli Altri

Un secolo di Valcareggi Quell’uomo probo che governava l’azzurro in mezzo alle tempeste

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LA GAZZETTA DELLO SPORT (Andrea Schianchi) – Zio Uccio, tutti chiamavano così Ferruccio Valcareggi, guardava alle cose della vita e del calcio con la calma di chi sa che non si può andare contro il destino, meglio lasciarlo sfogare senza affannarsi e preparare il contrattacco. Oggi avrebbe compiuto cent’anni, e soltanto il Padreterno sa quanto manchino, al calcio isterico del presente, la sua bonomia e la sua signorilità. Sulla testa sono piovute polemiche su polemiche, ha gestito tensioni, pressioni e invadenze di campo, ma mai se n’è lasciato contagiare, quasi fosse immune dalla cattiveria e dall’invidia. Se sentiva che il sangue cominciava a ribollirgli dentro, anziché rispondere con parole velenose, faceva una passeggiata al mare, osservava quell’immensità, proprio come faceva a Trieste da bambino, riempiva i polmoni di aria buona, e tutto d’incanto passava.

BUON SENSO

Fu nominato commissario tecnico della Nazionale nel 1966, dopo il disastro del Mondiale in Inghilterra, quando gli azzurri persero contro la Corea del Nord e tutto l’universo ci prese in giro. Furono giorni terribili per il calcio italiano. Valcareggi, che del c.t. Edmondo Fabbri era il vice, fu soltanto sfiorato dai pomodori che accolsero la comitiva azzurra a Genova, dopo il disastro, e su di lui si decise di puntare per il futuro. Ma non si deve dimenticare un dettaglio. Fu proprio Valcareggi, spedito a osservare i coreani contro l’Unione Sovietica, a definirli «Ridolini» e, di conseguenza, a creare quel clima di pressapochismo e di sottovalutazione dell’avversario che risultò poi fatale. Nel 1968, mentre il mondo ribolliva per le proteste di piazza, gli studenti si ribellavano ai professori e i figli non riconoscevano più l’autorità dei padri, l’Italia organizzava i campionati europei. In semifinale, al San Paolo di Napoli, ai tempi supplementari finì 0-0 contro l’Unione Sovietica. Fu la famosa monetina a consegnare all’Italia la possibilità di disputare la finale, all’Olimpico di Roma, contro la grande Jugoslavia. Ma siccome a zio Uccio le cose non erano mai state facili, ecco un’altra montagna da scalare: la Jugoslavia andò in vantaggio con Uzajic e soltanto a dieci minuti dal termine Domenghini riuscì a sigillare il pareggio. Sfida da ripetere. E qui Valcareggi compì il suo capolavoro: vide i suoi ragazzi stremati dalla fatica e puntò sul turnover che allora non esisteva. Cambiò cinque elementi su undici, vinse 2-0 con reti di Riva e Anastasi, e si laureò campione d’Europa (nessuno ci è più riuscito). Le strade d’Italia scoppiarono di allegria e, d’improvviso, un Paese che non era mai stato d’accordo su niente si scopri unito. Zio Uccio, guidato dal buon senso, aveva compiuto il miracolo: se si fosse candidato alle elezioni, avrebbe ricevuto un plebiscito. Come scrisse Gianni Brera: «Uomo probo e onesto».

IL 4-3 DEL SECOLO

Due anni dopo, le stesse scene di delirio collettivo si ripeterono, e forse furono addirittura maggiori. Accadde nella notte di mercoledì 17 giugno 1970, l’Italia sconfisse la Germania Ovest 4-3 in capo a una partita memorabile durata 120 minuti. Era la semifinale del campionato del mondo, passata alla storia del calcio come La Partita del Secolo, come recita la targa affissa all’ingresso dello Stadio Azteca di Città del Messico. Valcareggi, in occasione della spedizione messicana, dovette fare più il politico che l’allenatore: il gruppo degli interisti capeggiato da Mazzola non voleva Rivera, e questi convocò una conferenza-stampa, durante la quale attaccò pesantemente il capo della delegazione Mandelli, e si preparò a rientrare in Italia. Provvidenziale l’arrivo in Messico del Paròn Rocco che convinse Rivera a restare. In mezzo a tanto tumulto Valcareggi riuscì a governare la barca e, per far contenti «mazzoliani» e «riveriani», s’inventò la famosa staffetta. Al termine del primo tempo contro la Germania tolse dal campo Mazzola, che pure era stato uno dei migliori, e inserì Rivera: i patti si dovevano rispettare. E fu proprio Rivera a segnare il gol decisivo contro i tedeschi (un minuto dopo aver commesso un grave errore in occasione del 3-3 della Germania). A quel punto, tutti gl’italiani volevano Rivera in campo nella finale contro il Brasile, ma Valcareggi (fedele ai patti) gli concesse soltanto 6 minuti nel finale. Gli azzurri persero 4-1 dalla Seleçao di Pelèe zio Uccio, al ritorno, si beccò i pomodori.

IL FINALE

Dopo aver fallito malamente la qualificazione all’Europeo del `72, e con la generazione dei Mazzola e dei Rivera ormai al capolinea, Valcareggi si presentò al Mondiale del `74 ancora in mezzo alle polemiche (tanto per cambiare). La spedizione andò malissimo, Chinaglia lo mandò a quel paese in mondovisione e l’Italia non superò il girone di qualificazione. L’avventura azzurra di zio Uccio si chiuse così, e a tutti parve un’ingiustizia: se gli azzurri erano diventati campioni d’Europa e vicecampioni del mondo, e se per la prima volta abbiamo battuto l’Inghilterra a Wembley, gran parte del merito era di quest’uomo che, in mezzo alle turbolenze, sapeva tenere sempre la schiena dritta.

Articolo pubblicato su La Gazzetta dello Sport del 12 febbraio 2019

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