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L’odissea infernale del papà dei Diavoli tradito da Milano

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ILGIORNALE.IT (Massimo M. Veronese) – Il papà del Milan, e anche un po’ dell’Inter, era nato a Nottingham come Robin Hood, nel retrobottega del padre macellaio. C’è un tram che porta il suo nome, Herbert Kilpin: parte da casa sua al 129 di Mansfield Road e attraversa la città. Lì almeno, quel figlio lo ricordano come si deve. Faceva il tecnico tessile, Herbie, fumava come un turco e teneva accanto al palo della porta, quando giocava, una fiaschetta di whisky. Mollò la mogliettina in viaggio di nozze per giocare una partita a Zurigo e i suoi vicini di casa di via Settala, a Milano, lo vedevano tutte le mattine fare il giro dell’isolato di corsa per allenarsi. A questo omino, morto a 46 anni nel 1916, che l’iconografia ritrae agli inizi del Novecento con i baffi spioventi, la camicia rossa e nera e la coppoletta in testa, si devono i natali del Milan, cioè quello che è stato il club più titolato del mondo, ottanta milioni di tifosi nel mondo, un brand internazionale, un’eccellenza italiana. «Saremo una squadra di Diavoli – il suo motto – I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari». Papà del Milan, zio dell’Inter e nonno del calcio italiano. Ma per Milano uno straniero e non solo perchè nato dalle parti della foresta di Sherwood. La storia post mortem di Kilpin sembra uscita dalla penna di Edgar Allan Poe. Scovato dallo storico del Milan Luigi La Rocca al cimitero del Musocco, era un numero a nascondere dov’era sepolto. Una cocciuta ricerca anagrafica gli restituì il nome, la testardaggine di La Rocca fece trasferire quei nobili i resti al Cimitero Monumentale, dove riposano i grandi della città.

Beh, grandi. In realtà al padre dei Diavoli da vent’anni viene riservato un colombaio nella parte meno nobile, Galleria BC Levante Inferiore, reparto 15, cella 162. Così La Rocca torna a muoversi scortato dall’avvocato Giuseppe La Scala, leader dei piccoli azionisti del Milan e di Radio rossonera. Non solo non va bene lì, Peppino Meazza, Maspes e Duilio Loi per esempio, hanno un trattamento all’altezza della gloria regalata a Milano, ma il Robin Hood rossonero merita anche una via, se non una linea tranviaria come a Nottingham. Per esempio quella dove sta Casa Milan, o la rotonda adiacente. Ma per ora siamo ancora in alto mare. Anche perchè i milanisti mal sopportano che la toponomastica milanese sia più interista che milanista: da San Siro, costruito dal Milan ma intitolato a Meazza, ci sono i giardini Helenio Herrera, ma non Nereo Rocco, i giardini Maldini ma abbinati a Facchetti e a una via Armando Picchi non corrisponde una via rossonera. Via Kilpin appunto.

Certo non è sempre facile la vita dopo la vita dei papà del calcio. Il resti di Franz Adolf Job, inventore del Bayern, morto solo e abbandonato, furono restituiti al merito da un giornalista berlinese Hans-Joachim Rechenberg. Riposavano nel cimitero di Fürstenwalde sotto una tomba in rovina che la società, in coincidenza con il centenario, ricostruì secondo gratitudine. Quelli dell’ingegnere ferroviario Frederick Attock, papà del Manchester United, spariti nel cimitero di Rayrigg Road, a Windermere, furono invece scovati da quattro tifosi Indiana Jones. A choccarli semmai fu scoprire che era nato a Liverpool, città degli odiati Reds.

Ma a Gamper il Barcellona ha dedicato la cittadella sportiva e a Cosme Damião il museo del Benfica. L’anno prossimo Herbie fa 150 anni. Al Diavolo la pazienza.

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