Riccardo Cucchi: "Quelle emozioni raccontate via radio..." - Gli Eroi del Calcio
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Riccardo Cucchi: “Quelle emozioni raccontate via radio…”

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INTERRIS.IT (Damiano Mattana) – Radiocronista, uomo di lettere ma, soprattutto, giornalista. Perché nessuna variante di questo mestiere può esimersi dal mantra che le accomuna tutte: raccontare ciò che si vede. Riccardo Cucchi ha vissuto l’epopea della radiocronaca sportiva al fianco dei più grandi, facendo tesoro delle eredità di Sandro Ciotti ed Enrico Ameri per proseguire nel percorso del racconto radiofonico a cavallo tra l’epoca d’oro della partita “ascoltata per radio” e l’avvento della comunicazione via immagine. Dalle prime esperienze in Rai a fine anni ’70 a “Tutto il calcio minuto per minuto”, dalle Olimpiadi del 1992, all’approdo al commento della Nazionale di calcio: un viaggio continuo nel mondo dello sport, cercando di affidare alla capacità narrativa il compito di riportare ad ascoltatori invisibili tutto quello che gli occhi riuscivano a vedere, tenendo presente che la radio fa sì della dialettica la sua forza ma che, soprattutto, si nutre delle emozioni che vive. 

Riccardo Cucchi, parlando di radiocronaca sportiva si entra inevitabilmente nel novero delle emozioni, dei ricordi e, forse, anche della nostalgia. Eppure, anche nel delicato passaggio generazionale alla comunicazione per immagini, il ruolo della radio continua a rivestire un ruolo importante…
“Io mi sento un nativo radiofonico, nel senso che sono nato in epoche in cui nelle case c’erano le radio ma le televisioni ancora dovevano arrivare. Quindi, da bambino, il mio strumento principale per sapere cosa avveniva nel mondo e soprattutto per seguire il calcio era la radio. Naturalmente la mia formazione si basa sulla centralità della radio come oggi avviene probabilmente per i giovani che vivono come centrale nella loro esistenza l’uso delle nuove tecnologie, dei social e sicuramente anche della televisione. Il racconto alla radio è qualcosa di specifico, nel senso che non ha immagini e quello che in tempi moderni può sembrare un difetto per questo mezzo, per me rappresenta invece un privilegio, perché non avere le immagini significa attivare la propria fantasia attraverso le parole di chi racconta ciò che sta vedendo e crearsi delle immagini nella propria mente. Un po’ come avviene quando si legge un romanzo: si scoprono i protagonisti, si immagino i loro volti, i vestiti, anche i luoghi in cui si muovono. Credo che la radio abbia ancora un grande fascino, proprio per questa necessità: richiede un ascoltatore attivo in grado di far funzionare la sua mente e la sua fantasia. Per questo credo sia ancora molto bella”.

L’avvento della tv, prima della sua evoluzione, ha in qualche modo affiancato il racconto radiofonico. Più complicato, invece, il discorso per la comunicazione via web. Oggi il classico commento domenicale è stato soppiantato da una sovrabbondanza di commenti e interscambio virtuale. Esiste ancora quell’interazione innata che, in qualche modo, crea un legame fra chi racconta e chi ascolta?
“La radio svolge una funzione importante. Innanzitutto, specie per quanto concerne le radiocronache sportive, la sua prima è quella di raccontare un fatto attraverso un’osservazione diretta. E questo è fondamentale ricordarlo in un contesto moderno in cui con i social network si scopre un mondo, un’opportunità gigantesca che viene offerta a tutti. Questo, naturalmente, comporta anche dei rischi perché non è possibile immaginare in una piazza virtuale così grande come quella rappresentata dai social che tutti siano educati, rispettosi e, soprattutto, che tutti abbiano le competenze per parlare di tutto. Ma, sostanzialmente, questo è un rischio che vale la pena di correre vista la grande ‘democrazia’ che i social oggi rappresentano”.

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Cambia dunque il modo di comunicare il calcio ma è anche vero che, oggi, è il calcio stesso a essere cambiato…
“Il calcio è cambiato e inevitabilmente cambierà ancora. Da quando è nato, oltre un secolo fa, si è modificato in modo radicale. Siamo stati tutti testimoni, nell’arco delle nostre esistenze di questi cambiamenti. E’ ovvio che anche il modo di raccontare il calcio cambia. Un conto era raccontare l’Inter vincente di Helenio Herrera, che giocava in contropiede, difendeva e ripartiva di rimessa, con le fughe sulle fasce di Jair. Il contropiede è un’azione classica del calcio, soprattutto italiano, che si racconta da sola. E’ più facile raccontare la corsa di un’ala che crossa al centro per il colpo di testa vincente del centravanti. E’ molto più complicato, ed è successo a me e ad altri radiocronisti della mia generazione, fare i conti con quel Barcellona di Guardiola che toccava la palla in 40 metri per 50 volte e che magari prima di produrre un tiro in porta lasciava passare parecchi minuti, nei quali noi dovevamo raccontare tutti quei passaggi, tutti coloro che toccavano la palla e come la toccavano, cercando di non abbassare i ritmi e di tenere incollato l’ascoltatore. Dovevamo cambiare modo di esprimerci, scegliere parole diverse, addirittura dosare i ritmi del nostro racconto. Quindi anche la radiocronaca da questo punto di vista è cambiata nel corso degli anni”.

Molti ragazzi della passata generazione sono cresciuti con il fascino della radiocronaca sportiva. In un mondo della comunicazione che vive e ha vissuto importanti cambiamenti, qual è l’approccio riservato alla radio da parte dei ragazzi del Duemila?
“Certamente i giovani, nati con la televisione in casa, sono più portati a cercare le immagini che ad ascoltare la radio. Però devo dire la verità, in questo percorso fatto anche attraverso il libro mi è capitato frequentemente di entrare in contatto con i giovani di 18-19 anni che, invece, sentono ancora grande attrazione nei confronti della radio. E probabilmente una ragione c’è: il fatto che l’immagine, come ci siamo detti, sia prodotto della fantasia di chi vive, aumenta il tasso di emozione e di emotività. Mediamente, un ascoltatore della radio è più emotivamente coinvolto di quanto possa esserlo un telespettatore. Non volendo e non potendo vedere, si affida alla parola, al tono di voce più alto per poter vivere quell’emozione, spera che quell’azione offensiva a favore della sua squadra raccontata con voce concitata si traduca in gol. Questa attesa del gol in radio diventa addirittura più affascinante perché il campo te lo devi immaginare. Quindi diciamo che il fascino della radio secondo me rimane ancora ma evidente che gli ascolti che poteva avere Tutto il calcio minuto per minuto nelle prime puntate degli anni 60 (20-25 milioni di ascoltatori) oggi sono irraggiungibili. Ma direi che lo sono anche per la televisione”.

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