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La Lazio di Zeman poi la banda di torturatori, i divorzi e l’infarto: la storia di Mark “Big Fish”

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SPORT.TISCALI.IT (Andrea Curreli) – Mark Fish è stato il primo giocatore sudafricano a calcare i campi di calcio di Serie A. La Lazio lo acquista nell’estate del 1996 per 2 miliardi e 600 milioni di lire dagli Orlando Pirates suscitando nei tifosi più scetticismo che curiosità. Nel curriculum del giovane difensore figurano le vittorie di un campionato sudafricano, di una CAF Champions League e della Coppa d’Africa 1996, conquistata in casa davanti a un sorridente Nelson Mandela. Nel Sudafrica “post apartheid” vige una regola non scritta: i bianchi giocano a rugby e i neri a calcio.

“Mi ispiro a Baresi, assomiglio a Desailly”

Fish è bianco, ma gioca a calcio, adora il presidente Mandela (“la sua vita è un esempio da seguire”) e porta il tatuaggio con il volto di Che Guevara sul braccio destro. I tifosi della Curva nord, notoriamente schierati a destra, storcono il naso ma il presidente della Lazio, Dino Zoff, garantisce: “Si è fatto notare in Coppa d’Africa, non è poco”. E Fish si autocelebra: “Mi ispiro a Baresi, assomiglio a Desailly”. Ma davanti al “Bafana bafana” ci sono due pilastri come Alessandro Nesta e l’argentino José Chamot. L’esperienza nella Roma biancoceleste è riassunta in quindici presenze in campionato e una rete a Verona più due presenze in Coppa Italia. “Un periodo d’oro, importantissimo per la mia formazione”, dirà ricordando i tempi delle Lazio. Alla fine della stagione la Lazio lo gira in prestito al Bologna, ma in rossoblù non resiste nemmeno il tempo del ritiro estivo e viene ceduto in Inghilterra.

Il grave infortunio e la rapina in casa

Prima Bolton poi Charlton e Ipswich Town. Non vince nulla, ma guida da capitano il suo Sudafrica a Francia ’98. Il 2005 è l’annus horribilis di “Big Fish” (come lo chiamano in Inghilterra). Subisce un grave infortunio al ginocchio e poi vive l’incubo di una rapina a Londra. Una banda che ama torturare le sue vittime entra nella sua casa quando il calciatore sta guardando la tv. “Per il bene di tua moglie e dei tuoi figli, fai tutto quello che ti viene chiesto”, la minaccia dei rapinatori che sono chiamati dalla stampa “Le Iene” (come il celebre film di Quentin Tarantino). Fish viene legato a una sedia, con una calza ficcata in bocca per non urlare e una maglietta in faccia. E’ traumatizzato e decide di abbandonare l’Inghilterra, ma anche il matrimonio con l’ex modella di lingerie Loui entra in crisi.

Il fallimento come allenatore e i Mondiali del 2010

Torna in patria e lavora come commentatore della Coppa d’Africa 2006 e poi firma un contratto con lo Jomo Cosmos, la sua vecchia squadra (ma non giocherà mai). Il governo sudafricano gli assegna un ruolo al ministero dello Sport, poi lo recluta per il Comitato Organizzatore dei Mondiali del 2010. Ma anche in patria Fish vive un’altra brutta avventura. Nel 2008 la sua casa a Pretoria viene presa d’assalto da una banda armata di AK-47, suo figlio Luke, che ha solo 10 anni, viene malmenato dai rapinatori. Nel 2009 tenta la carriera di allenatore, ma viene esonerato dal Thanda Royal Zulu. Sarà l’unica esperienza in panchina.

“Cocainomane”. “Buguarda”: il divozio al veleno

Nello stesso anno si separa dalla moglie Loui Visser che nella sua autobiografia del 2012 (Walking In My Choos) lo definisce un “cocainomane, amante delle spogliarelliste e un imbroglione”. Fish replica accusando Loui di essere una “bugiarda compulsiva“. Fish sposa poi Salomé Janse van Rensburg, ma anche il secondo matrimonio andrà in frantumi tra accuse di infedeltà. Nel 2014 viene ricoverato per una crisi cardiaca e nel 2016 si diffonde la notizia della sua morte per infarto. Oggi Fish è tornato a lavorare con la sua nazionale dopo circa 15 anni. E’ stato inserito nello staff dei Bafana Bafana per aiutare il tecnico scozzese Stuart Baxter. “È un onore e un privilegio lavorare con i nostri ragazzi”, ha detto Fish.

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