Maiello: “Ho giocato in carcere col vero Bufalo e volevo rapire Zola. Ma il calcio mi ha salvato” - Gli Eroi del Calcio
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Maiello: “Ho giocato in carcere col vero Bufalo e volevo rapire Zola. Ma il calcio mi ha salvato”

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GIANLUCADIMARZIO.COM (Giacomo Chiuchiolo) – Fabrizio Maiello giocava nella Primavera del Monza, un brutto infortunio lo ha trasformato in un bandito. In carcere lo chiamavano Maradona, giocava con il boss della banda della Magliana e da latitante ha provato a rapire Zola. Dentro lo ha salvato il calcio e la straordinaria amicizia con Giovanni

La prima volta che lo hanno arrestato aveva 18 anni e si era da poco rotto i legamenti del ginocchio: “Avevo sparato alla vetrina del bar dove ci riunivamo dopo le rapine, ho chiesto un passaggio ad un ragazzo che conoscevo, uno a posto, fuori dai nostri giri. Da lì a poco ci avrebbero fermato ad un posto di blocco, per questo ho tirato fuori la mano dal finestrino sparando in aria, mi presero comunque. Fu così che scoprii la galera”.  A parlare è Fabrizio Maiello, un uomo di 56 anni che ha passato più della metà della sua vita rinchiuso in carceri o manicomi criminali. Fabrizio è nato nell’hinterland milanese, sul viso e sul corpo ha i segni di una vita difficile e il calcio è sempre stata la sua ragione di vita. L’unica.

L’oratorio è stato il suo primo stadio e le giovanili del Monza il sogno che lo teneva lontano dalla strada, anche se gli amici erano già nel giro del crimine: “All’epoca a Milano c’era la Banda della Comasina, guidata da Vallanzasca – Racconta Maiello a Gianlucadimarzio.com – I fratelli più grandi dei miei amici la frequentavano e loro stessi entravano e uscivano di galera”. A Fabrizio però bastava il pallone: “Era l’unica cosa che mi interessava. Non sono nato delinquente, lo sono diventato”. La criminalità era l’ultimo dei suoi pensieri: “Ero un bravo ragazzo: non bevevo, non fumavo e il sabato sera nemmeno uscivo perché la domenica mattina avevo la partita”.

Fino al giorno del suo infortunio: “Giocavo nella Primavera del Monza, a 17 anni mi sono rotto il ginocchio, da lì è cambiato tutto”. La corsa in ospedale e le parole del medico gli hanno stravolto la vita: “’Non potrai più giocare a calcio’ mi ha detto. Il mondo si è fatto tutto nero”. L’istinto ha preso il sopravvento sulla ragione: “Ero ricoverato ma non mi volevo operare, era inutile senza poter giocare a calcio. Mi sono staccato flebo e tubicini e sono scappato con il ginocchio gonfio e 40 di febbre”. Fabrizio aveva appena fatto il primo passo verso il vortice della criminalità: “Avevo perso la testa, mio padre mi ha detto ‘o ti operi o te ne vai, non voglio uno zoppo in casa’. Io ho scelto la strada e sono andato dai miei amici. Con loro è iniziata la mia seconda vita, quella nel mondo del crimine”.

[…]” Avevo bisogno di trovare qualcosa che sostituisse l’adrenalina che provavo in campo, per questo ho iniziato con la cocaina e le rapine fino a farmi rincorrere dai carabinieri rischiando la vita”. Più di cinquanta colpi prima del primo arresto che gli ha spalancato le porte del carcere: “Dentro ti chiedono subito due cose: quale crimine hai commesso e se sai giocare bene a calcio. Io avevo la fortuna di saperci fare con i piedi e questo mi ha aiutato con i detenuti e con le guardie”.

Il talento e le origini napoletane avevano già deciso il suo soprannome: “In carcere mi chiamavano Maradona”. Dentro il calcio era pratica diffusa per passare il tempo o incrementare i guadagni: “Si giocava per le sigarette, le collane d’oro o per le scommesse”.

[…]

Un permesso premio nel ‘94 gli dà l’opportunità di rivedere la luce, una pazza idea lo mette sulle tracce di Gianfranco Zola

[…]

Il piano era pronto: “Lo avremmo seguito con due macchine per speronarlo in strada e farlo salire sull’altra vettura”. L’incontro con il calciatore ha fatto però saltare tutto: “Lo stavamo seguendo quando si è fermato ad un distributore di benzina. Siamo scesi anche noi, volevamo aspettarlo. Gianfranco però ci è venuto incontro, sorrideva e ci ha chiesto se volessimo un autografo. È in quel momento che ho pensato ‘ma cosa sto facendo? Ma lasciamo stare’. Abbiamo scambiato due parole, gli ho detto che ero un tifoso del Napoli e gli ho chiesto un autografo”.

 […]

Adesso Fabrizio fa il giardiniere a Reggio Emila, a pochi passi da dove ha visto la vita attraverso le sbarre contando i passi e palleggiando mentre immaginava un futuro diverso. Quando passa vicino a quelle mura ha un po’ di nostalgia, di Giovanni dei record e di una vita che non ha mai vissuto. Fabrizio ora è un uomo libero e continua a palleggiare.

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