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Ricky Albertosi: “I miei 80 anni ribelli. E quel pranzo in cella…”

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IL GIORNALE (Nino Materi) – […] Nato a Pontremoli (Massa Carrara), Albertosi compirà 80 anni il 2 novembre: «Sono nato nel giorno dei morti, ma mi sento vivo più che mai». […] Giovane guascone, arrivò dallo Spezia alla Fiorentina per soffiare il posto a Giuliano Sarti, allora numero uno della Nazionale: «In Viola, all’inizio, partii in panchina. Sarti è stato un maestro che ho superato. Dai e dai il titolare diventai io. Credo che in cuor suo Sarti abbia sempre pensato che sarebbe finita così…». […] Per molti è stato il portiere italiano più forte di ogni tempo, ma Nereo Rocco, suo storico allenatore al Milan, andava oltre: «Albertosi è il miglior portiere del mondo…», aggiungendo beffardo, «… me lo tengo stretto anche se ha tutto quello che non posso sopportare in un calciatore professionista: beve, fuma, fa tardi la sera, è pieno di donne e scommette ai cavalli».

[…] «Maledetto quel Lazio-Milan – racconta Albertosi al Giornale – Mi misero in mezzo per una telefonata ricevuta da quelli della Lazio di cui mi feci portavoce, ingenuamente, col mio presidente. L’ipotetico accordo prevedeva – in cambio di 80 milioni, poi scesi a 20 – la vittoria del Milan all’Olimpico. Tutti sapevano. Ma io ero il perfetto capro espiatorio. II mondo mi crollò addosso. E saltò pure il contratto con i Cosmos dove avrei dovuto chiudere la carriera insieme ad altri campioni ingaggiati per esportare il soccer negli Usa». […]«Se in partita commettevo un errore, non lo ammettevo subito, preferivo dare la colpa al difensore…»; o al «pallone troppo leggero», come in quel maledetto Milan-Porto del ’79 che eliminò dalla Coppa dei Campioni i rossoneri messi in ginocchio da una punizione (ora, dopo 40 anni, può ammetterlo perfino Ricky: «Tutt’altro che imparabile») calciato dal piede velenoso di quel serpente di Duda.

[…] «Ma i migliori bucatini alla amatriciana della mia vita li ho mangiati in carcere, cucinati da un compagno di cella».

[…] Ci fu un tempo in cui Albertosi, tra i pali, oltre a dettare la legge del più forte, dettava anche legge in fatto di moda: la sua maglia blu o rossa ai tempi del mitico Cagliari scudettato del ’70 fece epoca. Rompendo il grigiore cromatico dei portieri in nero. La Sardegna, un’isola circondata da un mare di ricordi. Che Ricky solca a larghe bracciate: «II Cagliari, guidato da quel filosofo che era Manlio Scopigno. Eravamo in ritiro. Ogni notte giocavamo a poker. Nella stanza la visibilità era azzerata dalle sigarette. Il mister bussò alla porta, si affacciò sull’uscio e, tra la nebbia impenetrabile delle Marlboro, chiese educatamente: “Scusate, disturbo se fumo?”. Grandioso». II 1970, anno memorabile per Ricky, la data leggendaria della «partita del secolo» in Messico: «Posso dire di fare parte di quel 4 a 3 contro la Germania entrato ormai nella leggenda dell’Italia». Era il suo terzo Mondiale. Con Pelè che alla fine della sfortunata finale col Brasile gli disse scherzando: «Ricky, è inutile che ti impegni, ti farei gol anche in amichevole…». Poi per Albertosi ci fu anche il quarto mondiale del ’74 in Germania. E ce ne sarebbe stato, nel ’78, perfino un quinto se il destino fosse stato meno cinico (o almeno un po’ meno baro): «Bearzot mi aveva assicurato che avrei fatto parte della spedizione in Argentina, ma alla vigilia della partenza il mister mi chiamò dicendomi che “Zoff con me in panchina non si sentiva tranquillo”. E quindi era meglio se fossi rimasto a casa». Un tradimento che incrinò l’amicizia con Dino. Grande delusione, compensata nel ’79 dallo scudetto della Stella conquistato con una sgargiante maglia gialla. Una rivalità, quella tra il metallico Zoff e il plastico Albertosi – che ha segnato pagine avvincenti nell’epopea di un ruolo riservato solo a quegli uomini speciali che sono i portieri […]

Articolo pubblicato da IL GIORNALE del 28 ottobre 2019

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