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20 giugno 1935 – Nasce Armando Picchi… “il libero”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Eleonora D’Alessandri) – Jules Verne disse Alcune strade portano più ad un destino che a una destinazione.” Mai frase fu più vera di questa applicata alla vita di Armando Picchi, un calciatore prima e un allenatore dopo che, forse, aveva trovato la sua destinazione, ma che un destino bastardo ha portato via troppo presto. Armando Picchi nasce a Livorno il 20 giugno 1935. Né lui, né i suoi fratelli erano particolarmente bravi a scuola, ma uno in particolare era il suo esempio, Leo di 14 anni più grande, che aveva giocato all’Ardenza e poi nel Torino del dopo Superga.

Insieme ai suoi amici e al fratello maggiore, Armandino passava le estati a giocare a calcio nel “gabbione”, tipico campetto da calcio livornese in cemento, spesso in riva al mare, recintato da una rete di 5 metri. Quel posto per molti anni fu tutto il suo mondo, anche quando diventò famoso e tornava a giocarci con i grandi campioni compagni di squadra.

Picchi inizia la sua carriera nel Livorno, nel campionato 1954 – 55 in Serie C, prima come mezzala e poi come terzino. Restò nella squadra labronica per cinque anni, collezionando 105 presenze e 5 reti. Nel 1959, il presidente della Spal, Paolo Mazza, lo nota e decide di portarlo in Serie A. Resterà a Ferrara una sola stagione, raggiungendo un incredibile quinto posto, per poi essere rivenduto all’Inter in cambio di 24 milioni di lire e tre giocatori (Massei, Matteucci e Valadè).

Nel momento in cui la sua carriera stava decollando, arriva su di lui il tecnico nerazzurro della Grande Inter, Helenio Herrera “il Mago”, che diventa a tutti gli effetti uno degli artefici della svolta spostandolo dal ruolo di terzino a quello di libero.

Ai suoi amici dei gabbioni diceva sempre “un mi piace perdere” promettendo che un giorno avrebbe alzato la Coppa dei Campioni, e così fu.

Nell’anno del suo esordio all’Inter, il 1960, la squadra parte bene e Picchi addirittura decide il derby grazie ad uno dei suoi rarissimi gol, portando la sua squadra a tre punti di vantaggio dal Milan. In primavera però, una serie di 4 sconfitte consecutive fa sfiorire ogni speranza. Il campionato successivo vede di nuovo l’Inter campione di inverno e il Milan campione d’Italia. Queste condizioni cominciano a far dubitare il presidente Moratti delle qualità di Herrera, pensando addirittura ad una sua sostituzione. Fu proprio Picchi ad imporsi perché non avvenga, confermando la fiducia al tecnico.

Herrera nel frattempo aveva già studiato la soluzione, facendo retrocedere Picchi dietro la linea di difesa e spostando Burgnich come terzino, facendo nascere così il leggendario ruolo di “libero alla Picchi”. Anche Baresi, Scirea e Beckenbauer giocarono in quel ruolo, dimostrandosi campioni immensi, ma nessuno con il suo stesso carisma e la sua intuizione.

Con la Grande Inter vince tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali.

Nel 1964 diventa anche capitano della squadra, grazie al carisma che lo ha sempre contraddistinto in campo. Fu proprio per questo carattere molto autorevole che finì per avere forti dissapori con Herrera, uno tra tutti durante la partita contro il Varese nel 1965, quando il capitano mostrò platealmente il suo dissenso per le scelte del mister, portandosi dietro tutta la squadra.

L’episodio non fu mai dimenticato da Herrera, che di fatto costrinse la proprietà a venderlo al Varese, nel quale concluse la sua carriera a causa di un brutto infortunio procurato in una partita della nazionale contro la Bulgaria. Fu convocato per tutte le partite di qualificazione dell’Europeo del 1968, ma non giocò la fase finale a causa della frattura del bacino. Guarito, provò a giocare ma si rese conto che non avrebbe più reso come prima e si ritirò dal calcio giocato. Rimane a Varese ancora un anno nel ruolo di giocatore-allenatore chiudendo il campionato quattordicesimo e mancando la salvezza per un solo punto.

Nel campionato 1969/70 Picchi torna a Livorno, dove la squadra amaranto si trova in piena zona retrocessione. Grazie all’opera di convincimento di qualche amico, Picchi prende il comando della squadra chiudendo il campionato in nona posizione. È in quel momento che Boniperti, dirigente della Juventus, pensa di metterlo alla guida della squadra.

All’inizio della stagione 1970/71 “Armandino” è alla guida della Juve. Dopo un primo periodo di rodaggio, la squadra sembra prendere la giusta strada, sia verso il campionato che nelle coppe. Nella Coppa delle Fiere infatti va avanti spedita, dopo essersi tolta la soddisfazione di eliminare il Barcellona e di aver battuto il Twente a Torino. Praticamente, è con un piede in semifinale. Ma è il destino a decidere per tutti.  All’inizio del 1971, precisamente a febbraio, Picchi comincia ad avere forti dolori alla schiena. Durante la partita contro il Bologna è visibilmente nervoso, al punto che viene espulso. Approfittando del turno di squalifica, lo staff medico svolge numerosi controlli, rivelando un tumore alla colonna vertebrale. La società bianconera sostituirà Picchi per motivi di salute con Vycpalek, l’allenatore della primavera, il 14 febbraio. La malattia lo porterà via il 26 maggio dello stesso anno dopo due mesi e mezzo dalla sua ultima panchina. Quella stessa sera la Juventus avrebbe dovuto giocare la finale di andata contro il Leeds United e decide di tenere il segreto sulla morte del tecnico. La pioggia battente però fa sospendere la partita, che verrà rigiocato il 28 maggio, il giorno in cui viene diffusa la notizia della sua morte. Finisce 2-2 e poi a Leeds sarà 1-1 e per la regola dei gol in trasferta la coppa viene assegnata agli inglesi.

In tre anni Armando Picchi ha perso la carriera da calciatore, quella da allenatore e la sua stessa vita. Al dolore per la sua scomparsa si aggiunge il rammarico degli interisti per la perdita di un simbolo indimenticabile della Grande Inter e quello degli juventini per non aver potuto dedicare al loro tecnico la vittoria della Coppa.

“Spalle larghe, sembrava che facessero alzare la maglia… muscoli definiti, come se il fisico fosse la rappresentazione perfetta del carattere… uno senza paura. Libero davvero, nel nome dell’Inter… un uomo vero. Che alza anche le Coppe al cielo, magari quel Cielo lo ha reclamato troppo presto al suo fianco…” (Fc Inter, Official Site, 2014).

foto Inter.it

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Romana e romanista di nascita, trasferita in Friuli Venezia Giulia per sbaglio. Una laurea in scienze della comunicazione, un lavoro come responsabile marketing e un figlio portiere mi riempiono la vita. La mia grande passione è il calcio, la sua storia e tutto quello che ne fa parte.

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