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La Penna degli Altri

Quando la Grande Inter andò da Padre Pio

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(OKMUGELLO.IT di Aldo Giovannini – Foto OKMUGELLO)

La testata OK Mugello riporta una esclusiva intervista al dott. Sanguinetti, medico che andò a lavorare presso Casa Sollievo della Sofferenza e che fu testimone di quella visita della Grande Inter a Padre Pio e della partita tra il Foggia e la squadra di Herrera. Ecco un estratto.

LA PARTITA FOGGIA – INTER

[…] “A mio avviso è la pagina più bella scritta da una squadra di provincia come il Foggia. […] Foggia-Inter fu una partita consegnata alla storia come una delle più belle partite di calcio giocate da entrambe le squadre. […] Quel pomeriggio L’Inter a Foggia giocò la migliore partita della sua vittoriosa stagione calcistica 64-54. La squadra di Herrera venne a Foggia per vincere l’incontro e mettere in tasca i due punti. […] I nerazzurri partirono forte, senza indugi, e fin dall’inizio della partita attuarono gli schemi di gioco tanto cari ad Herrera. […] Il Foggia riuscì progressivamente ad emergere. Rispondendo colpo su colpo, con sorprendente compattezza e dinamismo di gioco, alle manovre dell’Inter. Per poi prepararsi nel secondo tempo a colpirla con freddezza e, se mi consente, anche con spregiudicato cinismo. Il primo tempo terminò infatti con il risultato di parità: zero e zero. Al Foggia riuscì quasi subito, come si dice in gergo, di indovinare le marcature. Ma riuscì bene anche nel ripartire con trame di gioco rapide, che misero in seria difficoltà i grandissimi avversari di quel pomeriggio. Così manovrando il Foggia, non senza qualche difficoltà, rimarco le strepitose parate del portiere rossonero Giuseppe Moschioni, tenne validamente testa ai rodati e collaudati schemi dell’Inter. Il merito fu indubbiamente anche dell’allenatore Oronzo Pugliese. Il quale, con la sua sanguigna e vulcanica personalità, riuscì a trasmettere una grande carica psicologica ai suoi giocatori. Questo avvenne senza dubbio già nel corso della settimana di preparazione che precedette l’inizio della partita. Oronzo Pugliese sapeva bene che grinta e vivacità agonistica sarebbero state le armi vincenti da dover contrapporre ai Campioni del Mondo. Nell’ avvincente e spettacolare evolversi della gara, perchè la partita fu davvero bella e spettacolare, i calciatori del Foggia, progressivamente, acquisirono sempre più fiducia nelle proprie capacità e questo accrebbe in essi la convinzione di poter giocare alla pari con l’Inter. E di poter anche tentare di vincere la partita, Cosa che poi di fatto riuscì al Foggia con un tiro all’incrocio dei pali di Nocera. Per opporsi alle eccezionali giocate dei Campioni del Mondo della “Grande Inter” del Presidente Angelo Moratti, occorreva, in primis, che i calciatori del Foggia si scrollassero di dosso quel timore reverenziale che inevitabilmente avrebbe potuto giocare loro qualche brutto scherzo. In quanto avrebbe potuto esser al contempo causa di demoralizzazioni e/o complessi di inferiorità. Giocatori di grande ed innato talento calcistico del calibro di Facchetti, Guarneri, Suarez, Peirò, Mazzola, Corso, Malatrasi, Domenghini, Picchi, incutevano timore già al solo sentirli nominare prima di scendere in campo. Figuriamoci quando poi si rendevano protagonisti, sul terreno di gioco, delle micidiali geometrie ideate da Herrera. Schemi e giocate straordinarie, che consegnarono l’Inter alla storia del calcio nazionale ed internazionale. Perchè quella squadra fu la squadra più forte, più decorata e più famosa del mondo. L’Inter di Moratti ed Herrera, nel 1964-65 era sulla vetta più alta del calcio mondiale. Rimarco che i quotidiani sportivi di quegli anni, sia nazionali, sia europei, sia d’oltreoceano, parlavano letteralmente di un’Inter stellare. Era l’epopea della “Grande Inter”. […] Oltre venticinquemila spettatori gremivano gli spalti dello stadio “Pino Zaccheria” per quell’evento che entrò nella storia delle due squadre”.

LA VISITA DELL’INTER A PADRE PIO

[…] La sera di venerdì 29 gennaio 1965, alle ore 21.45, l’Inter, con tutto il suo Staff al seguito, il massaggiatore Giancarlo Della Casa, il medico sociale dott. Angelo Quarenghi, due dirigenti, due giornalisti accompagnatori e il fotografo ufficiale della squadra, che qualche ora prima erano usciti dalla sede di Via Dante n 7, giunge alla Stazione Centrale di Milano in attesa di salire sul treno delle ore 22.00. Per portare l’intera comitiva nerazzurra alla Stazione di Foggia. A Milano è una serata invernale. Fa freddo. L’Inter dovrà affrontare un viaggio molto lungo, della durata di circa 12 ore. Alle ore 22.00, il treno parte in perfetto orario dalla Stazione Centrale di Milano. La squadra e tutti i delegati al seguito si sistemano nel vagone letto. Alle ore 10 circa del giorno seguente, sabato 30 gennaio, il treno arriva puntuale alla Stazione di Foggia. L’Inter scende dal treno ed è accolta dall’allenatore del Foggia Oronzo Pugliese. Herrera e Pugliese si salutano cordialmente come due vecchi amici che non si vedono da molto tempo. La squadra dell’Inter, il suo prestigioso allenatore e gli altri sette uomini componenti la delegazione si dirige in pullman verso lo Stadio di Foggia “Pino Zaccheria”. Alle ore 10.30 è in programma una seduta di allenamento. Il cosiddetto allenamento di rifinitura. Per oltre un’ora i giocatori dell’Inter lavorano intensamente, con grande slancio e impegno sul terreno di gioco dello Zaccheria. Herrera aveva appreso dall’inizio del Campionato di Serie A 64-65 che il campo di gioco dello stadio di Foggia era un terreno sabbiato. Quindi un terreno battuto, costipato, sostanzialmente molto duro, senza un filo d’erba. Herrera voleva che i suoi giocatori, in quella lunga sessione di allenamento sul campo del Foggia, si trattenessero oltretempo affinchè prendessero maggiore confidenza con il terreno di gioco e saggiassero con attenzione i rimbalzi del pallone, che su un terreno duro e senza erba, rimbalzava ad altezze ed a velocità superiori rispetto ai terreni in erba. L’allenamento dei giocatori dell’Inter sul campo del Foggia si protrasse per oltre un’ora. Ultimi ad abbandonare l’allenamento allo stadio “Zaccheria” furono il portiere Giuliano Sarti, Spartaco Landini, Carlo Tagnin, Giorgio Dellagiovanna e Francesco Canella, perchè Herrera aveva già deciso che questi cinque giocatori non avrebbero giocato contro il Foggia. Nella partita di andata tra Inter-Foggia, giocata a Milano il 20 settembre 1964 e vinta dall’Inter per 2 a 0, vi era stata un po di baruffa fra i due allenatori. Ad Oronzo Pugliese fu riservata la panchina dello stadio “San Siro”, oggi “Meazza”, esposta perennemente al sole per tutta la durata dell’incontro. Pugliese, a causa non solo del grande caldo che si verificò quella domenica a Milano, ma infastidito in modo particolare da un sole torrido e accecante, ebbe grande difficoltà a seguire le azioni del suo Foggia. E questo non solo lo aveva innervosito, ma lo aveva fatto arrabbiare non poco nei confronti di Herrera.
Al termine dell’ allenamento l’Inter partì da Foggia alla volta di San Giovanni Rotondo. Nel pomeriggio infatti, l’intera comitiva interista, che contava per l’occasione venticinque persone, di cui diciassette giocatori, si recò pellegrina inconsueta al convento dove operava Padre Pio, conosciuto dall’Inter come il monaco dei miracoli, e il “Santo in terra” che con la sua fama, continuava ad attirare in quel paesello che domina su una dolce altura il maestoso Gargano, visitatori di ogni paese e di ogni nazionalità.
L’Inter, riunitasi sul sagrato della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, entrò nella sacrestia del convento nel pomeriggio del 30 gennaio. Al Santo, un confratello spiegò che ad attenderlo vi era la squadra di calcio più forte del mondo. A capo della delegazione interista si pose Herrera, che, subito dopo essersi presentato a Padre Pio, gli porse una busta contenente un’offerta in denaro. L’offerta in realtà era un contributo per le opere che tanto stavano a cuore a Padre Pio. Gli architetti Dario Zingarelli, Gaetano Centra e Gaetano Lombardi mi hanno confermato a riguardo, che Padre Pio voleva si realizzasse il progetto per aumentare il numero dei reparti e migliorare l’assistenza sanitaria ai sofferenti, dell’opera che aveva fortemente voluto e desiderato, e cioè, l’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” denominato anche “Ospedale Fiorello La Guardia”. La moglie del Presidente dell’Inter Angelo Moratti, la signora Erminia Cremonesi, era molto devota di Padre Pio. I coniugi Moratti, peraltro molto amici dell’industriale ed ingegnere milanese Luigi Ghisleri, sapevano quanto stesse a cuore al santo frate l’ulteriore ampliamento strutturale ed il miglioramento sanitario dei reparti dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza. Il Presidente dell’Inter Angelo Moratti, peraltro, era anche grande amico personale del Presidente del Foggia Domenico Rosa Rosa, detto don Mimì.
[…] Dopo aver ricevuto da Herrera la busta contenente l’offerta in denaro, Padre Pio bisbigliò al giovane confratello che gli era accanto queste precise parole. “Ma questi che cosa credono? Che perchè fanno l’elemosina li facciamo vincere?”. Poi il Santo pose ad Herrera una precisa domanda in un misto di italiano e di dialetto pietrelcinese:”Beh, che intenzione avete per domani a Foggia?”. Ed Herrera gli rispose: “ Padre, noi a Foggia siamo venuti per vincere la partita”. Herrera fu sincero. E disse la verità a Padre Pio. Infatti l’Inter a Foggia era andata in effetti per vincere la partita. A questo punto, Padre Pio, con un sorriso ironico, gli replicò: ”Così volete venire a vincere in casa nostra? Meh, e sto fatto non sta bene”. Queste furono esattamente le parole udite da Elia Stelluto, fotografo ufficiale di Padre Pio, oggi ottantacinquenne, il quale all’epoca dei fatti era presente in convento a quell’incontro, scattando le storiche e famose fotografie ritraenti Herrera, Padre Pio, Picchi e altri due giovani frati, che in seguito fecero il giro del mondo. Padre Pio aveva già visto tutto, e conosceva perfettamente l’esito finale della partita. Conosceva perfinanche il risultato finale. Ma non lo disse, per il grande rispetto, la grande delicatezza e la sensibilità che aveva nei confronti di tutti. Sotto la sua protezione, neanche la squadra più forte del mondo avrebbe vinto quel giorno a Foggia. Il Santo, inoltre, benedisse l’intera squadra dell’Inter e tutta la Delegazione al seguito dei nerazzurri, invitando tutti a restare in chiesa per ascoltare la Messa del pomeriggio. Anche l’allora giornalista del Corriere dello Sport, Ezio de Cesari, annotò sul suo taccuino le parole che il Santo pronunciò rivolgendosi ai giocatori dell’Inter : “Ragazzi, vi auguro tante belle cose. Che possiate ottenere tutto quello che in questo attimo desiderate. Il mondo vi sorride alla vostra età, ma ricordatevi che anche il dolore dà valore alla vita e siate pronti ad affrontare tutte le circostanze”. Dopo queste parole di Padre Pio seguì un grande silenzio. Si commossero tutti. Padre Pio accolse l’Inter con grande amore e grandissima benevolenza. Successivamente l’Inter, dopo la Messa uscì sul sagrato antistante il convento e i suoi calciatori furono sottoposti ad un autentico assedio di fans e cacciatori di autografi. Successivamente, tutti i venticinque componenti della compagine interista rientrarono nell’albergo “Santa Maria delle Grazie” per trascorrervi la notte.  La moglie del presidente Moratti, la signora Erminia Cremonesi, tifosissima dell’Inter più del marito Angelo, come ribadito in precedenza, era devota di Padre Pio. Fu lei, allorquando si trattò nel 1955 di discutere con il suo consorte di rilevare il Club, affinchè Angelo Moratti ne assumesse la Presidenza. Fu lei a convincerlo ad accettare questa sfida. Fu lei ad insistere per il progetto di Presidenza Moratti. Fu lei ad essere anche molto vicino a Moratti nel progetto di riassetto tecnico e dirigenziale della società del biscione. E ne fu talmente felice ed entusiasta che, con quel piglio fermo e deciso che solo le donne in alcuni momenti posseggono, non esitò un istante a convincere Moratti che la sua Presidenza avrebbe arricchito la storia dell’Inter di successi. Da quella felice intuizione, tutta femminile, da quella profonda convinzione maturata della tifosissima signora Erminia Cremonesi, cui seguì il “si” di Moratti, l’Inter, di fatto, costruì in seguito le sue fortune calcistiche. Negli anni ’50, Angelo Moratti era reduce da una serie impressionante di successi imprenditoriali. Rimasto orfano a soli 14 anni, avendo conosciuto presto il dolore e la sofferenza per la gravissima perdita della presenza e dell’affetto dei genitori, Moratti riuscì, con una forza d’animo quasi sovrumana, ed a dir poco sorprendente, a costruire un vero e proprio impero finanziario. Un colosso petrolifero che lo portò ad una veloce ascesa e notorietà nell’ambito del mondo imprenditoriale italiano. E questo, in effetti, fu già oggettivamente un miracolo di per se. Pochissime persone riescono in questi passaggi esistenziali assai complessi, ad edificare un colossale impero finanziario. Allorquando si trattò di scendere a Foggia, la first lady interista Erminia Cremonesi, desiderò ardentemente che la squadra si recasse a San Giovanni Rotondo a far visita a Padre Pio. Affinchè ricevesse dal cappuccino con le stimmate quella famosa benedizione che il Santo impartì quel 30 gennaio 1965 a tutta l’Inter. Quella famosa benedizione di Padre Pio, dopo la partita persa contro il Foggia per 3 a 2, accompagnò e protesse l’Inter in tutte le successive altre partite disputate dalla “Beneamata” in quel campionato di calcio di Serie A 1964-65 che portò i nerazzurri a vincere il 6 giugno 1965, all’ultimo minuto del campionato, con un rigore trasformato contro il Torino da Sandro Mazzola, il nono scudetto della sua storia calcistica, con il Milan che perse a Cagliari. Il giornalista sportivo Gualtiero Zanetti specificò che non era mai avvenuta una cosa del genere prima di allora. Padre Pio, infatti, a San Giovanni Rotondo, profetizzò ad Herrera che nonostante la sconfitta che avrebbero patito a Foggia, avrebbero poi vinto il campionato e lo scudetto tricolore. E così di fatto avvenne. La doppia profezia di Padre Pio si verificò puntualmente. Quando Padre Pio disse al fraticello: “Ma questi che cosa credono? Che perchè fanno l’elemosina li facciamo vincere?”, già aveva visto che sarebbe stato proprio Sandro Mazzola, che era andato da lui in convento a confessarsi quella Domenica mattina del 31 gennaio, a battere Lido Vieri, il portiere del Torino, dal dischetto del rigore ed a consegnare lo scudetto all’Inter. Ci fu anche un altro particolare che pochissimi conoscono. La signora Erminia Cremonesi volle che l’Inter prendesse la benedizione di Padre Pio perchè sapeva che l’allenatore Helenio Herrera, sposato in prime nozze con la signora Maria Susanna Pimentel, e successivamente, in seconde nozze con la signora Fiora Gandolfi, in realtà da qualche tempo, era ammaliato da strane filosofie orientali. Che ispirate alla spiritualità introspettiva dei santoni orientali, promettevano la felicità, la pace e la serenità dello spirito. La signora Erminia non voleva che intorno all’immagine mondiale della sua famosissima e fortissima Inter, si creasse un’immagine pagana, ispirata a fenomeni di magia. Herrera in effetti, in quel periodo della sua vita, si ispirava a filosofie orientaleggianti. Molti giornalisti della stampa sportiva di tutto il mondo gli affibiarono anche un appellativo esoterico: “Il Mago”. La stampa sportiva specificò sempre che l’appellativo “Mago” fu tributato all’allenatore argentino per la sua bravura nel mutare strategie e tattiche di gioco, nel corso della stessa partita. Cosa che gli permetteva di vincere gli incontri con una schiacciante evidenza. Helenio Herrera è stato senza dubbio uno dei migliori allenatori della storia del calcio mondiale. Un professionista serio, apprezzato e stimato, che si avvicinò alla spiritualità cristiana allorchè, qualche tempo prima della partita di Foggia del 31 gennaio 1965, forse 6 anni prima, fu costretto ad un ricovero in un Ospedale di Barcellona per una caduta che gli compromise per un periodo di tempo il benessere fisico. Da quel ricovero di Barcellona, Herrera cambiò molto, sia caratterialmente sia interiormente, come persona. Si narra fu un libro di preghiere, da lui trovato misteriosamente nell’ospedale dove venne ricoverato a causa di una frattura, che lo portò sulla strada di un’autentica conversione ispirata alla fede cristiana. Una cosa è certa. Sia Angelo Moratti sia Helenio Herrera, indiscussi coautori e costruttori di quel capolavoro noto in tutto il mondo del calcio con l’appellativo di “Grande Inter”, vissero un’adolescenza e anche una prima gioventù assai difficili. A casa Herrera si pativano stenti e difficoltà economiche. Il padre era un falegname anachico andaluso, la madre casalinga. Solo molto tempo dopo e dopo numerose peripezie, associate ad una modesta carriera di calciatore, Herrera si avviò a dominare nel mondo del calcio con la sua stratosferica Inter, raggiungendo il successo. Quella notte del 30 gennaio 1965, nell’albergo “Santa Maria delle Grazie” di San Giovanni Rotondo, due giocatori dell’Inter non prendevano sonno. Perchè avevano in cuor loro il fermo proposito di andare a confessarsi da Padre Pio in piena notte. Erano lo storico capitano Armando Picchi, e Sandro Mazzola, grande mazz’ala della “Benamata”. Mazzola, nel corso della visita di quel sabato pomeriggio a Padre Pio, in mezzo a tanta gente, non ebbe di fatto l’ occasione di poter parlare a tu per tu con il Santo. Chiese la cortesia ad un giovane frate del convento, tifoso dell’Inter, di autarlo a potersi confessare da Padre Pio. Quel giovane frate oggi è vivente e il suo nome al secolo è Michele Monopoli. Padre Silvano, questo era il suo nome da religioso, quel pomeriggio precisò a Mazzola che per confessarsi dal Santo cappuccino doveva tornare alle cinque del mattino. Gli disse che lo avrebbe di sicuro aiutato per farlo confessare prima che Padre Pio si apprestasse a celebrare la Messa della Domenica. Per confessarsi da Padre Pio occorreva essere in possesso di un biglietto sul quale veniva annotato un numero. Mazzola e Picchi non erano in possesso del biglietto con il numero e non avevano neanche l’autorizzazione di Herrera per uscire dall’albergo. Erano lì di nascosto. Padre Silvano Monopoli, nato nel 1938, oggi ottantaduenne, quando procurò a Sandro Mazzola l’incontro con Padre Pio aveva ventisette anni. Padre Silvano, all’epoca ricorda che erano tre e non due i calciatori dell’ Inter che volevano confessarsi dal Santo. Oltre a Mazzola, vi era Armando Picchi che forse voleva chiedere a Padre Pio notizie di un suo famigliare disperso in guerra. Il terzo calciatore che in quella gelida alba garganica voleva chiedere qualcosa a Padre Pio era Giorgio Dellagiovanna. Padre Silvano Monopoli ricorda che i tre calciatori dell’Inter non avrebbero fatto in tempo a confessarsi da Padre Pio se non si fosse verificata una strana coincidenza. Quella Domenica mattina, già una decina di persone erano prenotate con il numero per la confessione da Padre Pio. Dopo aver confessato i penitenti che avevano il numero, il Santo cappuccino constatò che gli rimaneva ancora del tempo. Ordunque, Padre Pio chiamò Padre Silvano Monopoli e gli disse in dialetto; “Uagliò, mandm naut e un a cunfssà”. “Mandami un altro a confessare”. Fu così che Padre Silvano Monopoli potè consentire l’accesso ai tre calciatori dell’Inter da Padre Pio per la confessione. Mazzola da tempo era tormentato da un tarlo. Non viveva un periodo sereno. Il non essere apprezzato e considerato bravo dalla gente come lo era suo padre, Valentino Mazzola, giocatore del “Grande Torino”, scomparso prematuramente a 30 anni, con tutta la squadra granata, nella sciagura aerea di Superga del 1949, lo tormentava interiormente. Anche il terzo calciatore, Giorgio Dellagiovanna, nato a Milano il 10 luglio 1941, voleva chiedere in confessione a Padre Pio due cose. Della madre, che Dellagiovanna non aveva mai consciuto, e della sua carriera di calciatore. Dellagiovanna aveva compreso che non aveva molti spazi per giocare in quella “Grande Inter”. Nel suo ruolo, che era quello di stopper, era chiuso da altri calciatori tenuti in maggiore considerazione da Herrera. Lui invece, era desideroso di giocare con continuità, di avere una carriera e dimostrare di essere un buon calciatore. Spesso si domandava in cuor suo: “Se non gioco adesso che sono giovane, quando devo giocare?”. Infatti decise di andar via dall’Inter due anni più tardi. Andando a giocare titolare nel 1966 a Varese in Serie B. Con il Varese Dellagiovanna ebbe una buona carriera di calciatore, e collezionò ben 157 presenze. E nel 1967 ritovò a Varese anche Armando Picchi, trasferitosi nel Varese per chiudere la sua carriera calcistica. A Padre Silvano Monopoli, oggi Michele Monopoli, venne regalato un biglietto per assistere a quell’incontro di calcio Foggia-Inter. Il biglietto per assistere a Foggia-Inter glielo fece pervenire il portiere titolare del Foggia, Giuseppe Moschioni, nato a Cividale del Friuli (Udine), il 3 giugno 1936, uno dei grandi protagonisti di quella partita. Il giovane sacerdote cappuccino, prese il biglietto per la partita e decidendo di non recarsi a Foggia per assistere alla gara, causa impegni religiosi, regalò il biglietto ad un altro suo confratello, che era Padre Narcisio Marro, un frate Cappuccino missionario, al secolo Roberto Marro, nativo di Cervinara, un paese in provincia di Avellino. Padre Silvano Monopoli, oggi Michele Monopoli, sposato, quando era sacerdote cappuccino e come sacerdote, ebbe anche il grandissimo privilegio di concelebrare con Padre Pio e anche di confessare Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Un giorno Padre Pio era seduto in preghiera verso la fine del matroneo della Chiesa grande, quasi in corrispondenza dell’altare. Padre Silvano si accorse che Padre Pio con un vistoso cenno, lo stava invitando ad avvicinarsi a lui. Padre Silvano non capiva il perchè il Santo gli stesse facendo cenno di avvicinarsi a lui. Mancava un quarto d’ora a Mezzogiorno. Quando Padre Silvano Monopoli si avvicinò a Padre Pio, il Santo gli disse per tre volte: “Uagliò, tu sei sacerdote?”. Padre Silvano rispose: “Si Padre, sono sacerdote, però sono solo due anni che sono sacerdote”. Padre Pio gli rispose: “E allora confessami, perchè ho bisogno di confessarmi”. Il giovanissimo Padre Silvano, impietrito nell’udire quella subitanea e imprevedibile richiesta di confessarsi di Padre Pio, non credeva alle proprie orecchie. Iniziò a sudare freddo e fu preso da agitazione, spavento e timore. E solo dopo aver superato questo non facile momento di comprensibile smarrimento, confessò Padre Pio.

 

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