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Charlton e la maledizione del ’66

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LA GAZZETTA DELLO SPORT (Stefano Boldrini) – […] il calcio made in England è stato scosso domenica dalla notizia che a Bobby Charlton, icona della nazionale campione del Mondo 1966, 83 anni, […] è stata diagnosticata la demenza. La news è stata pubblicata dal Daily Telegraph […] Il 10 luglio scorso è scomparso il fratello maggiore di Sir Bobby, l’ex difensore Jack Charlton, l’uomo che ha segnato la storia del football irlandese, con i «verdi» guidati prima agli Europei 1988, poi ai Mondiali 1990 e 1994. La causa del decesso di Jack è stata la demenza, un male che ha portato via altri 5 giocatori dell’Inghilterra 1966: il portiere Peter Bonetti, i difensori Ray Wilson e Gerald Byrne, i centrocampisti Martin Peters e Nobby Stiles, quest’ultimo morto venerdì scorso. Ora questa patologia ha colpito Bobby Charlton, che di quella nazionale fu la star. Il libero Bobby Moore, vittima del cancro nel 1993, fu il capitano. Il centravanti Geoff Hurst firmò una tripletta nella finale vinta 4-2 ai supplementari con la Germania. Ma Charlton fu l’anima della squadra, la stella solida […] In quel 1966 Charlton trionfò nella classifica del Pallone d’oro. Due anni dopo, nel 1968, trascinò il suo United alla conquista della Coppa dei Campioni.

Le foto di quel 1966 tramandano un Bobby Charlton con la maglia rossa e i capelli lunghi. Erano gli anni dei Beatles, dell’Inghilterra che attraverso la beat generation stava sconvolgendo il mondo, in particolare musica e moda, ma il riporto di Sir Bobby non era un omaggio alla trasgressione, ma, semplicemente, un’illusione per nascondere la calvizie incipiente. Sopravvissuto al disastro aereo di Monaco del 6 febbraio 1958, in cui morirono 23 persone tra calciatori del Manchester United e giornalisti che tornavano a casa dopo una trasferta di Coppa dei Campioni a Belgrado […] è stato profondamente segnato da quella tragedia. Rispetto a Jack, uomo che amava il pub, la convivialità e si lasciò contaminare dallo spirito irlandese, Bobby è sempre stato più riservato, meno incline al sorriso, più istituzionale. Più ingessato, forse. Negli anni della beat generation e di George Best, compagno di squadra del Manchester United, Bobby Charlton rappresentò la normalità borghese. Con Best non ci fu mai sintonia: troppo diversi i due per piacersi e, soprattutto, capirsi […]

foto manutd.com

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