Lo Spartak Mosca e quell'incredibile partita sulla Piazza Rossa - Gli Eroi del Calcio
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Lo Spartak Mosca e quell’incredibile partita sulla Piazza Rossa

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Mario Cantoresi – foto Credits pastvu.com/73545) –

“Tutto è perduto, fuorchè l’onore!”

Ecco, era esattamente questa è la frase che Andrej Starostin era solito citare prima delle partite della sua squadra e che, di sicuro descrive, nel miglio modo possibile la storia della squadra di Calcio che per il popolo russo ha sempre rappresentato tutto: lo Spartak Mosca.

E quando Andrej pronunciava quelle parole… beh, allora la partita diventava davvero un aspetto secondario per coloro che seguivano lo Spartak.

Quello che stavano vivendo e condividendo quegli uomini era molto di più.

Era un momento di ribellione verso il regime e verso tutti… un momento duro e di riscatto sociale perché quella dello Spartak è una storia dura, di sofferenza, dittatura e voglia di riscatto.

Tutto comincia nel 1922 nel quartiere Presnja, ora una zona centralissima ed importante di Mosca, allora periferia proletaria.

Ivan Artem’ev, uno dei maggiori esponenti del calcio moscovita, decise di creare la prima squadra calcistica a base operaia, sostenuta da un sindacato di lavoratori e non da forze militari come accadeva  invece per le altre società del regime comunista.

Quello spirito ribelle e romantico, decisamente utopistico per quel tempo e per quella latitudine, ammaliò gli animi di tanti giovani e anche dei quattro fratelli Starostin: Nikolaj, Aleksandr, Andrej e Pёtr, la cui vita è stata fino alla fine legata al destino del loro club.

A quei tempi i calciatori in Russia non si potevano considerare veri professionisti.

Erano semplicemente operai che finito l’orario di lavoro si dedicavano a questa passione nella quale mettevano l’anima.

I fratelli Starostin, dopo più di nove ore di lavoro in fabbrica, si davano appuntamento per riqualificare un terreno pieno di dossi e buca sfruttato dalla malavita.

A loro si unirono altri ragazzi ed in breve quel campo di patate venne trasformato in un piccolo stadio, con tanto di panchine, tribune e spogliatoi.

L’allora “Promkooperacija”, fu quindi la prima squadra libera dalle costrizioni imposte dalle forze armate e si propose come squadra del popolo.

Certo, a quel punto necessitava trovare per la squadra un nome che potesse trascinare le folle, un nome nel quale il popolo si potesse rivedere e che mostrasse al meglio lo spirito della squadra.

Ci sono varie leggende su come questo venne scelto ma fu sicuramente Nikolaj Starostin, il maggiore dei fratelli, a decidere che “Spartak” fosse la scelta giusta.

La versione più romantica vuole che durante una nottata insonne insieme ai fratelli e ai compagni di squadra, dopo aver scartato moltissime ipotesi, il suo sguardo si posò sul romanzo “Spartaco” di Raffaello Giovagnoli e da lì ebbe l’illuminazione.

Spartaco… il capo dei gladiatori romani, un eroe del popolo, un ribelle fedele ad un ideale disposto a dare tutto sé stesso per la causa. Era un segno, era il loro riferimento.

Fu così che nacque lo Spartak Mosca.

Fin da subito questa squadra acquisì un grande seguito e nel 1936 ottenne il primo vero riconoscimento.

Aleksandr Kosarev, segretario del Komsomol, il sindacato operaio che controllava la squadra, era anche l’organizzatore della “Giornata della cultura fisica” durante la quale decise di introdurre una partita di calcio al fine di mostrare a tutti come il football fosse ormai una realtà molto amata in Russia.

I problemi nella realizzazione del progetto erano molti e tra questi prima di tutti c’era quello di gestire il rettangolo di gioco in quanto il match tra la prima e la seconda squadra dello Spartak si sarebbe giocato sul selciato della Piazza Rossa, col rischio che qualche giocatore si facesse male e dimostrasse così la sua debolezza, cosa totalmente inammissibile dato che a guardare l’incontro ci sarebbero stati i maggiori capi del partito e, soprattutto, Stalin in persona.

Nikolaj Starostin ideò quindi uno stratagemma: cucire insieme 10.000 metri quadrati di feltro durante la notte, in modo da non intralciare la quotidianità della cittadina ma consentendo ai giocatori un minimo di protezione in più, in pratica era appena stato ideato il primo terreno in sintetico della storia!!

Nonostante le obiezioni e i tentativi di sabotaggio da parte dell’NKVD, il servizio di sicurezza del Commissariato degli Interni, la partita si giocò e tutto procedette al meglio, tanto da farla continuare più del previsto perché il Capo Supremo stava mostrando un inaspettato, vivissimo interesse.

Alla Dinamo Mosca, grande rivale dello Spartak, questa situazione non piaceva affatto.

La Dinamo, prima squadra moscovita, si era già imposta sul panorama nazionale da molti anni ma non aveva mai ottenuto l’onore di un riconoscimento da parte di Stalin, per questo motivo non poteva concedere che dei semplici lavoratori sfidassero la loro supremazia.

Non è un caso, tra l’altro, che i proprietari della Dinamo fossero proprio i capi dell’NKVD.

Un conto però era vincere con le squadre russe, un altro battere le straniere.

Contro le formazioni europee bisognava trionfare non solo per sé stessi e i tifosi ma per l’onore dell’intero paese.

Una disfatta avrebbe infatti minato la rispettabilità e l’indistruttibilità dell’URSS e ciò non era ammesso.

Nel luglio 1937 la formazione dei Paesi Baschi, idealmente vicina ai propositi comunisti ma molto più forte sul lato calcistico, organizzò una tournée in Russia e riuscì a battere ogni avversario salvo poi venire umiliata con un 6-3 proprio dallo Spartak.

Questa vittoria fu quindi un altro grande onore, un segno di forza che la sconfitta Dinamo Mosca non poteva tollerare e con lei Lavrentij Berija, il nuovo capo dell’NKVD.

 Berija provava un forte rancore verso lo Spartak e soprattutto verso i fratelli Starostin, specialmente Nikolaj, contro il quale aveva giocato anni prima e dal quale era stato umiliato grazie alla straordinaria velocità nel gioco dell’avversario.

Ormai non si trattava più di una competizione calcistica, il rancore tra le due società era diventato molto più profondo.

Nel 1939, quando ormai gli arresti erano all’ordine del giorno, i quattro fratelli Starostin vennero accusati di tradimento nei confronti della Nazione.

Questa ripicca costò a loro e a molti altri personaggi importanti dello Spartak Mosca, 12 anni di detenzione nei gulag, durante i quali Nikolaj fu trasferito innumerevoli volte e tutto per i suoi meriti sportivi.

Tutti i capi delle prigioni, infatti, lo volevano al loro servizio per allenare le squadre di Calcio di cui erano responsabili.

L’amore che era riuscito a diffondere nel popolo insieme ai fratelli non aveva confini e la politica e la repressione non erano riuscite a distruggere l’immagine di gladiatori che avevano disseminato in tutta la Russia.

Nessuno ne era immune, neanche Vasilij Stalin, figlio del capo supremo dell’Urss che si impose per riportare il suo amato campione a Mosca, nonostante per legge gli fosse stato vietato.

Iniziò così un braccio di ferro tra il primogenito di Stalin e Berija che si concluse solo nel 1953 quando Kruscev salì al potere, arrestò il capo dell’NKVD e finalmente i fratelli Starostin che finalmente furono liberi di tornare alle loro vite e, più di tutto, al loro Spartak.

Anche questo è stato il Novecento!

 

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Laureato in Economia e Commercio all’Università La Sapienza di Roma, è un autore, sceneggiatore e attore teatrale. Mario non ama parlare molto di sé, preferisce spendere le sue parole per i personaggi delle storie che racconta e che porta in scena. Adora due cose in particolare: le scarpe da running e le strade del mondo. Ed è così che trova i suoi incredibili personaggi, o forse, più esattamente, sono loro che vanno a cercare Mario, perché ne percepiscono le affinità elettive. Così facendo egli ruba prezioso spaccati di vita dai suoi viaggi, spaziando dalle Regioni della Mitteleuropa, quella da cui, perdendosi fra le acque dell’amato Danubio, non farebbe mai ritorno, ai tramonti meravigliosi dell’Africa, fino alle grandi distanze della Russia, Nazione che ama e da cui è ricambiato incondizionatamente. Distribuisce poi il “suo bottino” trascrivendo il caleidoscopio di vite, sensazioni ed emozioni, a beneficio dei suoi lettori. Un autore, Mario Cantoresi, capace di toccarti nel profondo e lasciarti qualcosa di unico e prezioso dentro.

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