Alfredo Pitto - Gli Eroi del Calcio
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La Penna degli Altri

Alfredo Pitto

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Per la rubrica “Viola in Azzurro” il Museo Fiorentina ci racconta la storia di Alfredo Pitto.

E’ una Fiorentina che ha appena conquistato la serie A quella che nell’estate del 1932 porta sulle rive dell’Arno, tra gli altri, il calciatore sino a quel momento in forza al Bologna e mediano della Nazionale, un calciatore fortemente voluto dal tecnico Hermann Felsner.

“[…] La sua prima partita con la maglia dell’Italia fu il 1° gennaio 1928, a Genova contro la Svizzera (3-2): “Mai esordio in Nazionale fu così clamoroso”, Pitto “fece veramente spettacolo a sé e la folla lo portò in trionfo al termine della combattuta contesa”.

I titoli dei giornali furono dedicati tutti a lui, capace di esordire “con l’impeto di una catapulta”.

Pochi mesi dopo fu uno dei protagonisti della squadra azzurra che conquistò la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Amster­dam, grazie ad una mediana formata da Pitto, Bernardini e Janni che lustrò gli occhi di tutti i tecnici, unica squadra europea a contrastare il calcio platense, cedendo (3-2) in semifinale all’Uruguay.

Pitto, con la maglia azzurra, fu protagonista di una stagione che aprì la strada alla conquista della Coppa del Mondo del 1934, cogliendo i primi importanti successi internazionali: l’11 maggio 1930 la Nazionale, a Budapest, inflisse una cocente lezione (5-0) all’Ungheria, conquistando la prima Coppa Internazionale e il 22 febbraio 1931 batté per la prima volta l’Austria (2-1) a San Siro.

Grande classe, frutto di maestria tecnica e di un eccezionale dinamismo facevano di lui una delle attrazioni del calcio nazionale.

Su Pitto fioccavano gli aneddoti e i racconti centrati sulla sua arguzia, come quello riportato da Pier Luigi Brunori: “Aveva un sistema per beffare i portieri, e talvolta lo met­teva in uso. Quando un compagno di squadra batteva un calcio d’angolo, Pitto si allontanava con fare distratto dall’area di porta, fingendo di disinteressarsi dell’a­zione: anzi, si chinava, come per allac­ciarsi una scarpa. Il compagno sapeva il trucco, e, nel suo tiro dalla bandierina, appoggiava su Pitto smarcato: se andava bene … andava a bersaglio”.

O come questo sulla sua renitenza alla leva, sempre raccontato da Brunori. “Di Pitto, poi, è bene saperne un altra: all’epoca in cui dovette andare a fare il servizio militare, già ventiseienne (era stu­dente universitario), cercò una scappatoia per non farne… di nulla. Ma il comandante del Distretto, amico della sua famiglia, gli disse: Caro Pitto, sei troppo conosciu­to sportivamente per poter essere aiuta­to: t’immagini i giornali cosa pubbliche­rebbero per un Pitto esonerato? E poi, continuò, il capitano medico che ti deve visitare non sa cosa sia lo sport e quindi ti giudicherà senza favoritismi. Così, Pit­to dovette chinare la testa e passare per lo spogliatoio (ma non dello stadio!). Quando fu… secondo natura davanti all’ufficiale, questi gli fece alzare prima il pie­de destro, poi quello sinistro. Il ragazzo non capiva cosa stesse accadendo, ma qualcosa lo avvertiva che non tutto era normale. Infatti, venne fuori questa diagnosi: assegnato ai servizi sedentari perché piede piatto bilaterale art. 15, e quindi dispensato dal compiere la ferma ai sensi dell’art. 108 del T.U.

[…] Il tecnico Felsner, chiamato a guidare la Fio­rentina, lo volle a tutti i costi e Alfredo, “Maledetto toscano”, accettò di corsa. Il problema era rappresentato dal Bologna che concesse a caro prezzo (200 mila lire, dieci volte quanto lo aveva pagato dal Livorno) la lista di trasferimento.

Divenne subito protagonista del gruppo viola. Nel ritiro di Tarcento, in Friuli, i giocatori viola attendevano l’arrivo di Petrone ed imbastirono una bella accoglienza, fatta di musica e fanciulle. Soltanto che la musica era suonata dal terzino Vignolini, con due mestoli di cucina e una latta vuota, mentre la fanciulla era Pitto, truc­cato da Miss Universo 1932, con in mano un omaggio floreale fatto di sedani, spinaci e carote, che baciò subito Petrone sulle guance, sporcando­lo di un acceso rosso carminio.

Bastarono poche partite a Pitto per diventare un simbolo della squadra gigliata: il suo nome, sillabato dai tifosi divenne uno dei più ritmati inneggiamenti alla Fiorentina”

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