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ESCLUSIVO – Intervista a Rose Reilly: “Scelsi l’Italia … in quegli anni era considerato il miglior campionato a livello europeo”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Giovanni Di Salvo) – Una Leggenda in Scozia ed un idolo in Italia. Infatti Rose Reilly, la bomber originaria di Kilmarnock, proprio nel Belpaese si è consacrata come una delle calciatrici più forti a livello mondiale. Basti pensare che nell’arco di circa un decennio l’attaccante scozzese ha collezionato 8 scudetti, diverse Coppe Italia, un Mundialito (con la maglia azzurra) e la vittoria di un campionato francese (1979/80). Dal 2007 ha ottenuto i meritati riconoscimenti per la sua carriera sportiva anche in patria, entrando nella Scottish Sports Hall of Fame e nella Scottish Football Hall of Fame. A questi prestigiosi tributi sono seguite le lauree honoris causa ricevute dall’Università della Scozia Occidentale e dall’Università di Glasgow. Inoltre nel 2020 è stata eletta la miglior atleta scozzese di tutti i tempi ed è stata nominata Member of the Order of the British Empire per quanto fatto per il calcio femminile.

Di recente le è stato intitolato il nuovo Centro Sportivo di Stewarton, la cittadina dove Rose Reilly vive, ed ai primi di maggio, a Kilmarnock, hanno aperto la “Rose Reilly Football Academy” rivolta a bambine provenienti da zone disagiate.

E se ancora non avete compreso la grandezza di questa atleta, aggiungiamo che sono in cantiere ben due documentari-film sulla sua vita, uno prodotto da Chris Young e l’altro da Matt Lorenzo, le cui riprese riprenderanno una volta passata la pandemia.

Noi de GliEroidelCalcio siamo riusciti a raggiungerla e intervistarla.

Quando approda in Italia?

“La mia prima squadra di calcio femminile è stata la Stewarton & Thistle Ladies. La Federazione scozzese era contraria al calcio femminile e pertanto non potevamo giocare negli stadi dei club affiliati e non permettevano agli arbitri di dirigere le nostre partite. Avevamo comunque un nostro campionato e una nostra nazionale. Io aspiravo a diventare una calciatrice professionista e pertanto per inseguire il mio sogno nel 1973, appena diciottenne, mi trasferii in Francia, allo Stade de Reims. Dopo qualche mese mi notarono degli osservatori del Milan, che mi proposero di venire a giocare da loro. Non ci ho pensato due volte ad accettare la loro offerta perché in quegli anni il campionato italiano era considerato il migliore a livello europeo. Infatti all’estero era visto come un torneo professionistico ben seguito dai media ed in cui orbitavano molti sponsor. Ricordo che quando sono atterrata all’aeroporto di Linate e stavo percorrendo la pista a piedi, visto che allora non c’erano i pulmini, mi sono sentita a casa. È stata una sensazione bellissima, come l’abbraccio di una mamma. Eppure non ero mai stata in Italia e non avevo parenti lì.”

Lontana da casa e dai suoi affetti, quali furono gli ostacoli che dovette superare per ambientarsi?

“Vivevo da sola in un albergo e la mia più grande difficoltà fu quella di abbattere la barriera linguistica: le mie compagne di squadra non parlavano l’inglese ed io non sapevo l’italiano. Ma non mi sono scoraggiata. Un giorno in edicola vidi la Gazzetta dello Sport. Non sapevo che esistesse un giornale di colore rosa che parlasse addirittura di calcio. L’ho comprata ma non riuscivo a leggere gli articoli perciò acquistai un vocabolario e decisi che avrei imparato tre parole al giorno. Poi mi hanno aiutato anche le mie compagne e così, facendo pratica anche nella vita quotidiana, riuscii a superare questo problema. Mi sono impegnata per abbracciare tutta la cultura italiana. Ho iniziato a mangiare come voi, a bere l’espresso e così via. Avevo molto rispetto verso l’Italia perché se stai all’estero ti devi adeguare al paese dove vivi.”

Nell’arco della sua permanenza in Italia ha giocato con molte squadre. C’è un Presidente che ricorda con maggiore affetto?

“Non c’è né uno in particolare. Il presidente del Milan Vittorio Pino è stato quello che mi ha portato in Italia e poi ho avuto Angelo Cutispoti della Jolly Componibili Catania, che era unico nella sua esuberanza. Quindi c’è stato Guerini dell’Alaska Lecce, che voleva farmi passare nella sua società ma io rifiutavo le sue offerte adducendo come scusa che giocavano in un campo in terra battuta. Infatti non volevo lasciare Catania perché non mi ero resa conto che la squadra etnea non aveva più le possibilità per andare avanti. Ed invece cosa successe? Guerini mise a disposizione della squadra un impianto in erba. Dopo c’è stato Gusmai, che mi volle al Trani. Certo ognuno di loro era completamente diverso dall’altro ma li ho apprezzati tutti perché mi hanno cercato ed hanno creduto in me.”

Con la Jolly Componibili Catania

Quali sono stati i difensori più forti che ha incontrato?

“Alle caviglie ho ancora le cicatrici che mi ha lasciato Marisa Perin (sorride ndr). Mi ricordo di lei perché entrava durissimo ma per carità tutto rientrava nell’ambito di una sana competizione agonistica”.

Se dovesse stilare un elenco delle partite più importanti della sua lunga carriera, quali inserirebbe?

“Certamente vi è la prima partita che ho giocato, nel 1972, con la nazionale scozzese. Si trattava del nostro debutto internazionale ed affrontavamo l’Inghilterra. Abbiamo perso per 3-2 ma sono riuscita a segnare un gol direttamente da calcio d’angolo. Poi c’è l’esordio con la maglia della nazionale italiana. E naturalmente inserisco in questa categoria anche tutte le partite che sono state decisive per la conquista dei vari scudetti.”

In Italia ha giocato ad ogni latitudine. Che differenze ha riscontrato tra una società del Nord Italia ed una del Sud?

“Quello che ho notato è che vi era diversa organizzazione degli allenamenti. A Milano li svolgevamo di sera compatibilmente con gli impegni lavorativi delle mie compagne. In Sicilia, così come in Puglia, invece ci allenavamo la mattina presto – intorno alle 9,30 – per evitare le ore più torride visto che, soprattutto in estate, faceva molto caldo.”

Quali sono state le piazze più passionali e che porta ancora oggi nel cuore?

“Sicuramente Catania, dove eravamo arrivati ad avere 20.000 spettatori allo stadio. Quando giravo per la città i catanesi mi coprivano di regali. Una volta sono andata in una salumeria per mangiare un panino e il proprietario alla fine mi ha riempito la macchina di ogni ben di dio: olio, salumi, melanzane ecc. Un’altra volta ero in una gioielleria per comprare il regalo di compleanno per una compagna ed il titolare mi ha donato un orologio. Chiaramente ricordo con affetto anche tutte le altre tifoserie delle squadre in cui ho giocato perché mi hanno sempre sostenuta ed apprezzata.”

Il 1980 fu un anno particolare perché si divise tra Francia e Italia. Come si era organizzata per giocare contemporaneamente in due campionati diversi?

“Si, esatto. Il sabato pomeriggio giocavo con l’Alaska Lecce poi la domenica mattina prendevo l’aereo per Parigi e raggiungevo lo Stade de Reims, col quale vinsi il titolo nazionale. Le partite del campionato di calcio femminile francese, per dargli maggiore visibilità, si disputavano la domenica sera come anteprima degli incontri della prima divisione maschile. E poi il martedì rientravo in Italia per riprendere gli allenamenti dell’Alaska. In realtà una situazione simile l’avevo già vissuta nella stagione 1974-75 dove, per un breve periodo, mi sono divisa tra il Milan e la squadra allenata da Geoffroy”

Come avvenne la decisione di vestire la maglia azzurra?

“Nel 1975 la Federazione scozzese aveva addotto come pretesto, per squalificarmi a vita, il fatto che giocavo da professionista in Italia. Così nel 1984 l’Avv. Trabucco mi convocò a Roma nella sede della FIGCF per chiedermi se ero disponibile a giocare con l’Italia. Chiaramente accettai perché ero contenta ed orgogliosissima di indossare la maglia azzurra. Con l’Italia disputai e vinsi il Mundialito, segnando anche una rete nella finale che giocammo il 26 agosto di quell’anno contro la Germania Ovest. Ho avuto un bel rapporto col Ct Reccagni perché ha gestito bene il mio inserimento in squadra mantenendo l’armonia del gruppo, visto che ero una straniera e rischiavo di essere additata come una che voleva togliere il posto ad una italiana”.

Rose Reilly con la nostra Nazionale

Con la nazionale italiana ha anche disputato un torneo in Cina. Cosa ricorda di quella esperienza?

“Qualche mese dopo la vittoria del Mundialito, ad ottobre, partecipammo al Torneo di Xi’an. Chiaramente non era la Cina di oggi. Ad esempio tutti, sia uomini che donne, erano vestiti alla stessa maniera, con una divisa verde e un cappellino. Ricordo che la prima partita la giocammo a Pechino. Fuori dallo stadio c’era una distesa di biciclette tutte uguali e con le mie compagne ci domandavamo come ognuno potesse riconoscere quale fosse la propria. Quel giorno si disputava anche una maratona internazionale e pertanto gli spalti erano gremiti, con più di 50.000 persone. Quando siamo entrate in campo, in segno di apprezzamento, hanno incominciato a fischiare, facendo come il verso di un uccello. Era veramente assordante! Insomma è stato tutto bellissimo ad eccezione del cibo. Era strano e le razioni striminzite. Eravamo morte di fame! (sorride ndr). Per fortuna la Federazione dall’Italia portò grana padana, prosciutto crudo e altri generi alimentari e così in qualche modo ci arrangiammo.”

Oggi che legami ha con l’Italia?

“Ho smesso di giocare a quarant’anni e mi ero stabilita a Trani, dove ho conosciuto mio marito ed è nata mia figlia Valentina. Nel 2001 mia madre ebbe un ictus e le diedero pochi mesi di vita. Così ritornai in Scozia ed ogni giorno, insieme a mia figlia, andavo a trovarla nel centro dove era ricoverata: incredibilmente, grazie all’affetto della piccola nipote, riuscì a riprendersi e visse per altri nove anni. Nonostante sia ritornata in Scozia ho conservato un legame speciale con l’Italia. Basta dire che quando sono tornata a Stewarton non avevo neppure i mobili ma la prima cosa che feci fu quella di installare un’antenna parabolica per poter vedere i canali televisivi italiani.

Ed inoltre ogni anno, in estate, vengo Sicilia, isola della quale sono innamorata. Infatti trascorro sei settimane a Milì Marina, in provincia di Messina, da una mia amica. Spesso arrivo all’aeroporto di Palermo e mi piace visitare il mercato del pesce e prendere il treno che passa lungo il litorale perché il paesaggio è bellissimo. Insomma l’Italia l’ho sempre nel cuore.”

Cosa ne pensa del calcio femminile di oggi?

“Mi piacerebbe che ci fossero sempre più donne allenatrici. Non dico che bisogna dargli una panchina solo perché sono donne, naturalmente devono essere valide e preparate. Ma ritengo che ce ne siano tante brave a cui bisognerebbe dargli un’occasione e permettergli di avere più visibilità.”

Dulcis in fundo: tifosa del Celtic o dei Rangers?

“Ma che domande mi fa! (sorride ndr) Sono cattolica e quindi tifo per il Celtic. Tra l’altro quando ero piccola il Celtic era una squadra fortissima tanto da riuscire a vincere la Coppa dei Campioni battendo in finale l’Inter. A otto anni mi ero addirittura tagliata i capelli corti per poter giocare con i maschietti e stavo per entrare nelle giovanili del Celtic ma purtroppo, quando si accorsero che ero una bambina, saltò tutto.”

Si ringrazia Rose Reilly per la documentazione fotografica messa a disposizione.

Per chi volesse approfondire l’argomento:

Giovanni Di Salvo “Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile con particolare riferimento a quello siciliano” della GEO Edizioni.

Sergio Nunzio Capizzi e Roberto Quaratore “Il cielo è rosa sopra il Cibali: Le stagioni del calcio femminile catanese”

Giovanni Di Salvo “Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista” della Bradipolibri (Prefazione scritta dal CT della nazionale Milena Bertolini)

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Ingegnere palermitano con la passione per il giornalismo e il calcio femminile. Autore di due libri: "Le pioniere del calcio. La storia di un gruppo di donne che sfidò il regime fascista" e "Quando le ballerine danzavano col pallone. La storia del calcio femminile".

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