Libri: "Azzurri d'Europa, l'Italia ai campionati continentali" - Tutta la verità su quella famosa monetina - Gli Eroi del Calcio
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Libri: “Azzurri d’Europa, l’Italia ai campionati continentali” – Tutta la verità su quella famosa monetina

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GLIEROIDELCALCIO.COM – Mentre agli Europei in corso attendiamo l’Italia di Mancini alla prova delle eliminazioni dirette, dopo il girone di qualificazione così brillantemente superato, c’è un libro che racconta la storia della nostra Nazionale in tutte le precedenti edizioni del torneo continentale. Il libro, edito da Minerva, si intitola “Azzurri d’Europa”, ed è stato scritto da Stefano Ferrio e Gianni Grazioli (ecco il link a cui si può acquistarlo: https://www.minervaedizioni.com/azzurri-d-europa-l-italia-ai-campionati-continentali.html). Per gentile concessione degli autori e dell’editore, Gli Eroi del Calcio offre ai suoi fans la lettura di uno dei capitoli più affascinanti del libro, dove si fa finalmente chiarezza sulla monetina lanciata in aria dall’arbitro tedesco Tschencher per stabilire la squadra vincitrice della semifinale degli Europei del 1968, giocata il 5 giugno 1968 a Napoli fra Italia e Unione Sovietica. Quel sorteggio, come noto, favorì gli Azzurri, che poi avrebbero vinto l’unico titolo europeo della loro storia nella doppia finale giocata a Roma contro la Jugoslavia. Da allora sono fiorite infinite leggende sul conio, la nazionalità e il destino di quella monetina. Fino a oggi e alle pagine di questo bellissimo libro. Buona lettura


Tutta la verità su quella famosa monetina

Se uno di cognome fa “Franchi” la cabala sembra dirci che con una monetina da cinque “franchi” la sorte potrà solo sorridergli. Così viene da dire ascoltando la testimonianza di Francesco Franchi, il figlio del grande Artemio, Presidente della Figc che rivestì un ruolo fondamentale nell’assegnazione a Roma degli unici Europei, quelli del 1968, fino a oggi vinti dall’Italia. E vinti, come è noto, con il decisivo apporto della sorte, ovvero della monetina usata per designare la vincitrice della semifinale giocata a Napoli contro l’Unione Sovietica. Una metallica reliquia di cui Francesco Franchi, 53 anni dopo, consegna l’immagine alle pagine di questo libro.

“Quella sera del 10 giugno 1968 non ero allo stadio Olimpico di Roma per la finale-bis tra Italia ed Jugoslavia. Mi sarebbe piaciuto andare, ma ero piccolo e così sono rimasto a casa con tutta la famiglia per assistere alla partita davanti al televisore, rigorosamente in bianco e nero. Ricordo la grande emozione collettiva al fischio finale, per la prestigiosa vittoria. Ma anche l’orgoglio verso papà: era il primo trofeo importante per la Federazione dal dopoguerra. Che avrebbe potuto essere bissato due anni dopo quando, sempre sotto la sua gestione, sfiorammo il titolo mondiale in Messico perdendo la finale con il Brasile”.

Francesco Franchi, figlio di Artemio, che assieme al Presidente del Coni Giulio Onesti è stato uno dei due più grandi dirigenti sportivi italiani del secolo scorso, riannoda i fili della memoria per raccontare quello straordinario periodo di successi calcistici. “Il babbo era stato da poco eletto presidente della Federcalcio, dopo essere stato capodelegazione ai campionati del mondo in Cile nel 1962, e in Inghilterra nel 1966. Sua fu la scelta di promuovere Valcareggi alla guida della squadra azzurra. Si sentiva il fratello maggiore di quel gruppo di ragazzi. Tanto che io ero arrivato ad essere geloso per l’affetto che lui nutriva nei confronti di Gigi Riva”.

Storico rimase l’episodio della monetina nella semifinale contro l’Unione Sovietica giocata allo stadio San Paolo di Napoli. “Col suo modo di fare riservato, non troppo espansivo, è tuttavia riuscito a trasmetterci l’emozione di quel giorno. Perché se è vero che per raggiungere grandi risultati servono capacità e determinazione, è altrettanto vero che il tutto dev’essere condito da un pizzico di buona sorte. Quella monetina magica da cinque franchi svizzeri, donatagli dall’arbitro Tschenscher a fine partita, è da allora conservata in casa nostra come una reliquia”.

L’avvento di Franchi ai vertici federali è coinciso con il grande sviluppo del centro tecnico di Coverciano. “Era il pallino del mio babbo. Voleva che diventasse non solo la casa degli allenatori e dei calciatori, ma anche un centro di riferimento per il calcio internazionale. L’obiettivo era di renderlo il più universale possibile in modo da diventare apprezzato in tutto il mondo”.

Formare in casa i manager, ecco l’altra idea rivoluzionaria di Artemio Franchi.  “Nacquero proprio negli anni Settanta – ricorda il figlio – i supercorsi a Coverciano. Insieme ad Italo Allodi fu uno degli ideatori del corso specializzato per il patentino di allenatore, successivamente allargato a quello per i direttori sportivi”.

Franchi ricoprì l’incarico di presidente della Figc dal 1967 al 1976. Nel marzo del 1973 diventò presidente dell’Uefa e nel 1974 vicepresidente della Fifa. Dal 1978 all’80 tornò nuovamente alla guida della Federcalcio, quando Franco Carraro fu eletto presidente del Coni. “Incarichi prestigiosi che lo portavano spesso in giro per il mondo. Ci raccontò che per arrivare in Cile, dovette effettuare ben cinque scali aerei prima di atterrare a Santiago. La mamma, temendo che mangiasse poco e male, quando rientrava gli preparava ottimi manicaretti. Ma spesso sbagliava menù perché se il babbo rientrava dal Sudamerica gli faceva trovare l’avocado e la carne, mentre se tornava dall’Asia lo riempiva di riso. Pietanze che, invece, aveva mangiato quotidianamente in quei Paesi”.

Purtroppo Artemio Franchi morì a soli 61 anni, vittima di un tragico incidente stradale, avvenuto il 12 agosto 1983, mentre si stava recando a Siena per il Palio dell’Assunta.

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