Luigi Nobile: da Tursi al Tricolore - Gli Eroi del Calcio
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Luigi Nobile: da Tursi al Tricolore

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Il 24 febbraio 1921, al civico 61 di Via Garibaldi a Tursi, nasceva Luigi Nicola Nobile, figlio di Francesco Nobile e Cornelia Nicoletta De Pietro.

La storia di Nobile, per lunghi anni impressa solo negli almanacchi calcistici, è una favola d’altri tempi in un clima funesto come quello della seconda guerra mondiale.

Luigi è figlio di un maresciallo di stanza a Tursi in quegl’anni e, a differenza dei beniamini moderni del gioco del pallone, non è impegnato esclusivamente solo sul rettangolo di gioco ma anche negli studi tanto da conseguire la laurea in medicina che lo porterà ben presto a salvare molte vite in un Paese flagellato dal conflitto mondiale.

Ritornando alla parabola calcistica del nativo tursitano che conquistò lo scudetto, tutto ha inizio quando mister Schaffer, che sta per portare la Roma al primo titolo tricolore, lo fa giocare in alcune amichevoli notandone le buone doti calcistiche (in campo è talmente calmo e autoritario da essere definito “il commendatore”) ma gli impegni legati alla professione medica gli precludono la continuità di prestazioni. Nobile, tuttavia, scende in campo nella gara decisiva ai fini della vittoria finale contro il Torino. La partita, che si rivela un vero e proprio assedio alla porta difesa da Bodoira nonostante sedici calci d’angolo e tre pali, finisce sullo 0-0.

Su “Il Littoriale” nella cronaca di Eugenio Danese leggiamo anche di Bodoira che «devia con una mano la palla sopra la traversa (punizione di Nobile)». Il giorno seguente lo stesso Danese dirà di lui: «Ieri il calmo Nobile, che sostituiva il focoso Andreoli, a grado a grado, ha migliorato la sua prestazione sino a meritarsi la classifica di “buono”».

La presenza contro il Torino permette comunque a Luigi Nobile di far parte a tutti gli effetti della Roma che il 14 giugno 1942, battendo per 2-0 il Modena allo “Stadio del Partito Nazionale Fascista”, si laureò Campione d’Italia.

Stasera a Tursi sarà apposta una targa celebrativa in Via Garibaldi, dove appunto nacque Nobile, e si terrà un incontro nel quele si parlerà del Campione d’Italia con la Roma con l’ausilio di alcune foto fornite da Luca Pelosi dell’Archivio Storico della Roma.

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Di seguito l’intervista a Nobile di Massimo Izzi effettuata il 27 gennaio del 1995. Grazie a Izzi per la gentile concessione.

L’intervista a Nobile di Massimo Izzi

Alle pareti della casa di Luigi Nobile c’è una foto autografata da tutti i giocatori della Roma campione d’Italia. Nobile mi disse che altri cimeli erano nelle mani della sua piccola nipotina. Una sua foto con la maglia dello scudetto e il portachiavi che gli venne consegnato in quei giorni, in ricordo di quel leggendario successo. E’ una persona speciale che non vive certo ancorata nel passato. Mi disse anzi che era il figlio che si occupava di raccogliere in un album tutte le foto della sua attività sportiva.

D: “Quando è entrato nella Roma?”.

R: “Avevo 12 anni, nel 1932/1933. Ce fecero: ‘Volete venì a vedè la partita?’. Capirai, noi ragazzini, in tribuna: ‘Siii’. Tutti a godere la partita no? : ‘Allora domani sera venite in società’. Ce fecero firmà il cartellino, senza preavviso, senza niente. Per noi era bello essere arrivati alla Roma. Allenatore dei ragazzi era Scardola, che era bravo, sapeva organizzare le cose”.

D: “In piena zona Testaccio”.

D: “Stavo a Testaccio e giocavo nei pulcini. Poi passai ai ragazzi, dove subito diventammo una squadra potente, in cui giocavano Ippoliti, Grassi, Amadei, Jacobini, Alzani, Bianchi, Urilli, Piccinini, Amadei e Carmellini. La prima squadra contro di noi non ci voleva giocare, perché avevamo 16 anni, ed eravamo capaci di fare tre partite una appresso all’altra. Sa come era. Perfino Serantoni non voleva giocare contro di noi e quando c’era Serantoni che giocava a mediano li faceva rimbecillì. A quei tempi, giocavamo il campionato ragazzi e ci dicevano: ‘Se fate più di 5 gol vi diamo 200 lire, più di 10 vi diamo ..’. Avevamo una squadra forte e difatti un anno ci fecero fare un salto. Le minori erano organizzate in 13 squadre; 1^, 2^, 3^ divisione, riserve … Una settimana giocammo a Bologna, Milano e Torino, prendemmo 5 punti e l’anno dopo entrammo tutti nella rosa titolare. Io Amadei, Piccinini, Jacobini. Schaffer non guardava mica se tu eri un campione affermato. Non gliene fregava niente. Aveva carta bianca. Difatti io feci la prima partita sostituendo Allemandi … prima di me c’erano 13 giocatori, però quello non guardava in faccia a nessuno. Vedeva che noi giocavamo e chi giocava entrava in campo. Io poi, di quella squadra, ero il capitano. Tiravo le punizioni, i rigori. Dunque, con Bazzini presidente, entrai nella rosa titolare e prendevo 1.600 lire al mese, che a quei tempi erano soldi. Papà mio, che era impiegato alla previdenza sociale, mi disse: ‘Pe dà 4 calci al pallone tutti sti soldi?’. Essendo nella rosa, anche se non giocavo, prendevo i premi partita. A Venezia ci dettero 4 mila lire tonde. Lei immagini che una automobile costava 10 mila lire, la Balilla … per noi era un sogno. Quando portai i soldi a casa, papà prese il telefono e chiamò il Direttore Tecnico Biancone che lo tranquillizzò: ‘Signor Nobile, Luigi ha giocato, i soldi sono il premio che ha avuto’. Mio padre era tremendo, per carità. Lo benedico sempre, perché c’ha dato un’educazione. Quella che ci vuole per un ragazzo”.

D: “Per lo scudetto il premio quale fu?”.

R: “Il premio fu minimo. Chi ha avuto più di tutti avrà intascato quelle 20-30 mila lire”.

D: “Ha accennato a Carmellini, che giocatore era?”.

R: “Era un ala sinistra bravissima. Poi c’era Urilli che era un poco gracilino, poveretto, perché le condizioni familiari erano un po’ critiche allora. Mancava il nutrimento proprio. Era gracile, però giocava molto bene”.

D: “E Piccinini?”.

R: “Quando giocavamo fuori Roma io vedevo Piccinini, Alzani, questa gente ..Giocavano bene. Ma i giornalisti scrivevano che giocavano male … e scrivevano male. Quando la sera andavo a riferire a Biancone, che non ci seguiva sempre, gli dicevo: ‘Guardi signor Biancone che tizio ha giocato bene’. Capito? Ma fuori casa non li vedeva nessuno. Piccinini fu bistrattato per tanto tempo ed invece giocava bene. Era un po’ come Serantoni … non era un giocatore di classe, però alla fine della partita aveva fatto il suo dovere. Chi era di classe era Alzani. Un po’, in piccolo, un Bernardini”.

D: “Il campo della Roma a Testaccio”.

R: “Bellissimo … perché era fatto a schiena d’asino. Poteva diluviare e non s’allagava mai. Gli scoli erano perfetti, più pioveva, più il campo era bello … capito”.

D: “Borsetti ci ha raccontato che le altre squadre sul terreno di Testaccio affondavano”.

R: “Noi lo conoscevamo. Poi il problema era diverso. Quando andavamo a giocare a Milano, ci trovavamo bene, perché il campo era grande e noi eravamo abituati ai lanci. Quando andavamo nei campi di provincia, che erano piccoli, ci trovavamo male. Ricordo con Amadei quando andammo a giocare a Modena. Io terzino sinistro e lui ala sinistra. Io passavo la palla fra il mediano e i terzini, in mezzo, lui fiondava, arrivava nell’area del portiere … poi tirava, 20 30 tiri. Ce fece 3 gol in 20 minuti, poi me venne vicino e me fece: ‘Gigi, non me passà più la palla perché ho fatto 3 gol’. Era una sagoma, ce fece ride da matti. Perché c’era una comitiva, un’allegria fra i giocatori e ce volevamo bene”.

D: “Che rapporto c’era con il quartiere Testaccio?”.

R: “Ah … bello, bello. Testaccio era con noi, insomma, tutto il Monte dei Cocci. Il famoso Monte dei Cocci che chi non aveva i soldi se ne andava lassù a vedere la partita da un lato. I testaccini erano tutti romanisti. Il più grande era il maestro Bernardini. Noi lo chiamavamo ‘Maestro’, perché era veramente un grande campione, in tutti i sensi”.

D: “Mi parli di Volk”.

R: “Tirava in porta da 30 metri. Ma allora giocavano tutti con il cuore. Fusco, oggi sarebbe diventato un gran giocatore, però ad un certo momento se perse. Ma come tecnica c’aveva una classe grandissima. Come anche Carpi giocava bene e lo stesso Eusebio”.

D: “Come era il gioco della Roma?”.

R: “Il gioco nostro sai com’era, all’attacco diventava sistema, io andavo sull’ala destra. Ognuno marcava un uomo, però al rientro eravamo 8 in difesa. Chi faceva … erano le due mezzale e i due mediani. Ricordo la prima volta che abbiamo giocato con il Torino a casa loro. A un certo momento, non sapevamo … ce ne venivano 8 addosso. Allora Masetti me fa: ‘Luigi tu marca questo’ … e li bloccammo. All’ultimo momento quasi andiamo a vincere la partita, perché in contropiede Pantò se trovò la palla a un metro dalla porta. Per tirare la cannonata, che ha fatto, ha tirato il corpo indietro e la palla è andata a finì alle stelle. Bastava che l’accompagnava in porta … Invece ha voluto tirare la cannonata. Si girò indietro col corpo e logicamente la palla andò sopra la traversa. Però fu una grande partita. Alla fine ci dettero la mano”.

D: “Zi Checco e la Sora Angelica”.

R: “Che fenomeni … e quelli erano i padri padroni, se mettevano là in poltrona. Zi Checco c’aveva due sedie, perché era talmente grosso che non poteva sta su una seggiola”.

D: “Lei in precedenza ha detto che Schaffer aveva carta bianca nell’allestire la formazione. Ma Monzeglio e Biancone non interferivano?”.

R: “Interferire? Non è che interferivano. Monzeglio era una persona molto seria … che pure lì, ogni tanto, c’erano interferenze, ma interferenze che venivano da fuori. Però sul gioco …Monzeglio voleva far giocare e favoriva chi giocava”.

D: “Che ricordo conserva di Attilio Ferraris IV?”.

R: “Ero nei pulcini allora. Ferraris è stato grande, il più grande fra i mediani e in difesa. C’aveva la famosa rovesciata. Poi lei deve sapere che nel 1934, io e Alzani, fummo prescelti come raccattapalle della finalissima dei campionati del mondo fra Italia e Cecoslovacchia. Eravamo in campo e abbiamo vissuto quella partita. Poi ci sono stato anche nel 1938. Combi, Rosetta, Caligaris, Monti, Ferraris IV, Bertolini, Biavati, Meazza, Guaita Ferrari, Orsi, che fece un gol da fantascienza. Personalmente ho anche avuto modo di giocare contro Guaita in allenamento. Noi lo conoscevamo, non ce fregava mai. Se tu eri con Guaita, lui buttava la palla 5 metri avanti e in 5 metri, sullo scatto, te ne fregava due. Allora, prima che buttasse la palla, noi scattavamo. Con noi faceva l’allenamento bene, non è che giocavamo scorretti o che …”.

D: “Fusco mi ha detto che Guaita sapeva anche essere piuttosto scorretto”.

R: “Guaita è Guaita e insomma giocava a centravanti, ala destra. Una volta ruppe il braccio e l’avambraccio a Bacicalupo”.

D: “Del passaggio di Attilio dalla Roma alla Lazio che mi dice?”.

R: “Ma niente, ormai Ferraris era finito. E lui aveva questo vizio del gioco, almeno per quello che ho sentito. Allora per necessità è dovuto andare alla Lazio che lo pagò. Ma comunque già stava al tramonto”.

D: “L’episodio in cui Sacerdoti lo accusò di aver venduto un derby?”.

R: “Forse Sacerdoti neanche sapeva …”.

D: “Scopelli come lo ricorda?”.

R: “Scopelli era forte. Però Scopelli era l’idea … la mente. La forza ce l’aveva Guaita”.

D: “Bernardini”.

R: “E’ stato il più grande, ma il più grande di tutta Italia. Lo sai le punizioni che tirava …s’alzavano da terra un palmo e andavano tutte all’angoletto. Prendeva la palla e la metteva sulla testa dell’ala sinistra, sul piede dell’ala destra. Ma al centimetro proprio. Difatti noi lo chiamavamo il maestro di musica. Poi era una persona seria. Con Bernardini ci siamo rivisti una volta al 50° anniversario della Roma. Allora mi si avvicina e mi dice: ‘A Gigi, tu sei diventato campione e io no’. Era grande, per me è stato il più grande”.

D: “Come mai poi, a 21 anni, lei ha interrotto la sua carriera?”.

R: “Ero già medico, interno al Forlanini. Un mio professore che per me era un padre, mi disse: ‘Nobile, tu il medico lo potrai fare fino ad 80 anni, il ‘pallonaro’ (come diceva lui), lo fai fino a 34 anni’. Aveva ragione e allora scelsi di fare il medico. Alla fine della guerra avevo 26 anni, l’Italia era divisa in due …”.

D: “Dei suoi compagni della pattuglia scudetto mi parli di Mornese Cappellini e Bonomi”.

R: “Mornese, centromediano, era molto serio, veniva dal Novara. Come uomo era serissimo. Non so se lei ricorda Monti … su per giù. Non come lui, Monti era insuperabile. Cappellini aveva anche lui il vizio delle donne. Faceva delle partite da gran campione, poi faceva le cappellate … perché con la vita … Pensa che alle 9 te telefonavano a casa. Cerretti: ‘Che te serve il massaggiatore?’ Per vedere se stavi a casa … non potevi andare a ballare, non potevi andare in piscina, non potevi fa niente. Perché eri sorvegliato speciale. Facevamo molta ginnastica. A Testaccio c’era una palestra favolosa, sotto la tribuna, tutta coperta. Era enorme. C’era una corda, una pertica di 8 metri e un affare … un tubo di legno di 8 metri. La cavallina, il quadrato svedese. Ne facevamo di ginnastica. Per tornare a quello che mi avevi chiesto, Bonomi era un mediano. Molto in gamba, molto serio”.

D: “Su Amadei può aggiungere qualcosa?”.

R: “Lui c’aveva scatto e tiro in porta. Non c’aveva né gioco de testa, né dribbling. Però dall’area di rigore faceva quei trenta, quaranta tiri a partita e c’aveva una fucilata. Che poi lui era ambidestro. Era forte, un grande giocatore, poi serio”.

D: “Che impressione le faceva venire fuori dalla botola di Testaccio?”.

R: “Niente, niente. Ormai c’eravamo abituati da ragazzini. Questo è il discorso. Noi a 12 anni già giocavamo contro la famosa Lazio che andò a Vienna. Alle nostre partite c’erano anche 15 mila spettatori. Poi, il rapporto fra compagni, era veramente bello. Adesso se te possono fa le calzette, te le fanno”.

D: “Nell’anno dello scudetto Masetti continuava a meritare di essere il titolare di fronte ad un esplosivo Risorti?”.

R: “Masetti meritava di essere in Nazionale. Chi l’ha visto lo sa. C’erano le partite, come a Torino, in cui levava le palle a Gabetto così … come serietà … Ero ragazzino, però delle cose mi sono rimaste in mente. Perché poi quando io giocavo, dormivo in camera con Masetti. E quindi parlavamo. Io avevo 17 anni, lui era … Masetti. Tanti consigli li apprezzavi proprio perché venivano da lui. Ci venivano dati per il nostro bene. Per gente come me, Amadei, Piccinini, stare in camera con Masetti …embè era bello. Diceva: ‘A Luigi, chiunque telefona digli che non ce sto’. Perché dovunque andavamo le donne gli venivano tutte appresso. Come portiere era grande. Quando giocammo a Torino, con 11 gradi sotto zero, ci tolsero i tacchetti da sotto le scarpe perché coi tacchetti andavamo proprio male. Fece un tuffo e con il naso andò a finire sul ghiaccio. Manco era caduto, me chiede: ‘Gigi er naso nun ce l’ho!’ : ‘Stai zitto che il naso sta attaccato. Gioca’. Non lo sentiva più perché quando respiravi avevi la sensazione che del ghiaccio t’entrasse dentro. Poi, chi c’aveva mai giocato a 11 sotto zero. Prima della partita, qualcuno che non lo sapeva, era andato a mettere i capelli sotto l’acqua … Appena usciti per entrare in campo gli venivano i ghiaccioli in testa … è tremendo”.

D: “Fra i presidenti chi ricorda?”.

R: “Quello che era forte era Bazzini. Bazzini era come Berlusconi, era il capo di una azienda di petroli … a Genova. (…). E Bazzini aveva dato carta bianca a Schaffer”.

D: “Nel 1940 scoppia la guerra”.

R: “Io avevo fatto la domanda per andare in Russia. Sennonché arrivò un provvedimento del ministero. Tutti gli studenti in medicina dovevano essere addetti al servizio sanitario. E difatti, durante i bombardamenti, quanta gente abbiamo salvato. Io ho anche salvato un amico mio dalle SS. Mi trovavo di servizio a Viale Giulio Cesare e avevo il tesserino internazionale. Io giravo senza armi, senza niente, perché facevo parte della crocerossa internazionale. C’erano anche le SS che facevano servizio qui. Fecero una retata e fra questi vidi che c’era anche un mio amico d’infanzia. Questo me voleva abbraccià. Gli dico: ‘Statte fermo, vattene al bagno e buttate per terra’. Ormai c’eravamo accattivati le simpatie del comandante della piazza. Vado da lui e c’era l’interprete. Gli dissi che c’era uno che c’aveva le convulsioni e che bisognava portarlo in ospedale. : ‘Ja, ja, ja’. Firma, ed è stato ricoverato in ospedale. Lì, poi, se l’è squagliata. L’importante era uscire da quella situazione … Ricordo, dopo, la mamma di questo mio amico. Gli dissi: ‘Non avrebbe fatto anche Elio quello che ho fatto io?’. Però se ce facevamo scoprì …la guerra è brutta …voi siete giovani”.

D: “Avete mai avuto problemi alimentari?”.

R: “No. Quando mangiavamo sul vagone ristorante era una favola. C’erano i comò, i tavolini. Tutto, no. Potevamo lasciare le valige, non toccava niente nessuno. Quando giocavamo alle 14:30 si mangiava alle 12:00. Classico brodino con una fettina di pane dentro. Poi bistecca bella sostanziosa, purè di patate, spinaci e acqua minerale”.

D: “Che rapporto aveva con gli arbitri?”.

R: “Mi chiamavano ‘Il commendatore’. Ero talmente calmo, tanto il giudizio dell’arbitro è insindacabile. Non c’è niente da fare. Chi viene cacciato via prende la multa. Multa che ai tempi nostri era sulle 100,200,300 lire”.

D: “Krieziu ci ha detto che Schaffer non vi faceva allenare molto dal punto di vista atletico ma era un grande psicologo”.

R: “Bravo …a chi gioca, l’allenatore non è che gli insegna a giocare. Parliamoci chiaro. Lui sapeva … quando facevamo la ginnastica: ‘Tu basta, tu continua, tu fai 5 giri di campo, tu ne fai 10’. Sapeva indirizzare tutti i giocatori”.

D: “Chi era lo sgobbone della squadra?”.

R: “Ma lo sgobbone …niente, giocavano tutti, correvano tutti. Non c’era uno sgobbone nel vero senso della parola”.

D: “Andreoli mi ha detto che lei perse il treno che doveva portarla A Genova e così lui potette entrare in campo e conquistare la maglia da titolare”.

R: “Allora, le cose non stanno così. Monzeglio era amico dei figli di Mussolini: Fece arrivare al comando in cui ero distaccato un telegramma che mi concedeva tre giorni di licenza per andare a giocare a Torino. Il telegramma era firmato da Mussolini. Mi chiama il comandante e mi fa: ‘Io ti mando a Gaeta’. Io zitto, non parlavo: ‘Come ti sei permesso?’. Io veramente non sapevo niente. Me schiaffò davanti questo telegramma con la firma di Mussolini: ‘Ecco, il capo del governo … tre giorni di licenza, quando qua c’è gente che muore’. Io zitto, in questi casi non bisogna fiatare. Devi sapere che quando andavamo in libera uscita alle 6, questo comandante se metteva sul podio e il capitano gli doveva fare il saluto a regola d’arte per poter uscire. Fermava gli ufficiali, non li faceva uscire. Comunque, alla fine, mi diede questi tre giorni di licenza e potei andare a giocare a Torino. La settimana dopo dovevo andare a Genova, ma io neanche ci provai a chiederglielo. Perché me mandava a Gaeta per davvero. Non c’era niente da fare. Dissi anche ad Eraldo Monzeglio di lasciare perdere. Quindi Andreoli prese il mio posto. Io, poi, con il fatto che studiavo medicina e stavo in ospedale … quindi”.

D: “Da dove saltano fuori le chiacchiere sullo scudetto favorito da Mussolini?”.

R: “Erano invidiosi. Tutti quanti … chi è che parla male? Quelli che non erano romanisti parlano male della Roma. Come per farle un esempio c’è Berlusconi e ci sono gli antiberlusconiani”.

D: “Borsetti ci ha detto che l’unico tifoso romanista della famiglia era Bruno, il figlio del Duce”.

R: “Il figlio di Mussolini, si … amico intimo … Ma non vuol dire, non poteva mai interferire nei risultati delle partite”.

D: “Mussolini, poi, era fuori di queste beghe”.

R: “No, non gli interessava. La Roma vinse perché chiunque metteva in campo, io, Jacobini, che non era un campionissimo ma rendeva l’accidente suo e s’è guadagnato il posto in prima squadra”.

D: “La gente del suo quartiere la festeggiò per quel successo?”.

R: “Si, eee … ma era bello, perché lo sport, a quel tempo, quando si trasmetteva una partita per radio, si riempivano le piazze. Quando l’Italia fece i mondiali nel 1934 e nel 1938, nelle piazze vennero istallati degli altoparlanti”.

D: “Brunella mi ha detto che non vi frequentavate molto fuori dal campo”.

R: “Non c’era modo di frequentarsi fuori dal campo. Perché io, per esempio, studiavo, facevo l’allenamento e dovevo tornare a casa, che era a Via delle Sette Chiese, dallo stadio Torino. Quindi tornavo a casa alle 6. Il Lunedì in società, il Martedì, Mercoledì, Venerdì allenamento. Quando la sera tornavo, erano le 6 le 7 e dovevo studiare fino a mezzanotte, a volte fino alle due. Dove andavo girando?”.

D: “Pantò che giocatore era?”.

R: “Pantò giocava bene, però, come tutti gli argentini non s’impegnava. Per me il più grande come ala sinistra è stato Orsi. Mamma mia, era un mostro, un mostro d’abilità. Durante i mondiali fece un gol da metà campo, fra la porta e il centrocampo (..)”.

D: “Avete mai avuto la sensazione di poter perdere lo scudetto quell’anno?”.

R: “No … perché non era un assillo come oggi”.

D: “Per il tipo di gioco che c’è oggi, chi si adatterebbe meglio della sua generazione?”.

R: “Amadei potrebbe giocare. Andrebbe benissimo con il tipo di gioco che aveva”.

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