Moacir Barbosa - La pena perpetua - Gli Eroi del Calcio
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Moacir Barbosa – La pena perpetua

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)

Per il portiere non esistono perdono, né compassione, né pietà

Una squadra di calcio è formata da tante unità, ognuna delle quali rappresenta un universo, un vissuto, che diventa un tutt’uno sul prato verde.

Tutti, tranne uno: il portiere rappresenta un mondo altro, un universo a parte che vive di vita propria all’interno della squadra e della partita di calcio. Andando anche contro natura del gioco, la cui essenza è quella di fare gol, mentre il compito del portiere è quello di evitarli.

Un non senso affascinante.

Forse anche per questo in Brasile, terra del Futebol Bailado, in cui conta la gioia, il divertimento, che portano i gol, quello del portiere è stato un ruolo sempre laterale, a parte, spesso bistrattato.

Fu qui, nel 1921, che nacque Moacir Barbosa Nascimento, un nero, o “negro” se vogliamo contestualizzare e restare fedeli alla dizione dell’epoca, destinato al lavoro duro, alla sofferenza., con l’unica valvola di sfogo del calcio.

Era prestante fisicamente, e presto iniziò a mostrare importanti doti calcistiche: da attaccante, proprio perché a quelle latitudini era quasi inconcepibile che si iniziasse a giocare a calcio in un ruolo diverso, addirittura in porta.

Tra i pali finì quando fu acquistato dal Club Atletico Ypirangua, perché il suo allenatore capì che quelle braccia forti, irrobustite dal lavoro da operaio, potevano rendere di più in quel ruolo.

Fu con il suo trasferimento ai bianco neri del Vasco da Gama che iniziarono ad arrivare anche i successi, nazionali e internazionali, come la Coppa dei Campioni del Sudamerica vinta nel 1948.

Arrivò anche la chiamata in nazionale, nel gruppo dei convocati per i mondiali del 1950, che furono organizzati proprio nel paese carioca.

E si dovevano vincere.

L’attesa per quella competizione che avrebbe portato sicuramente il primo titolo mondiale al Brasile era spasmodica, la squadra in campo tenne fede alle aspettative, inanellando vittorie su vittorie, a suon di gol.

La formula di quel torneo era piuttosto strana rispetto agli standard, per molte squadre europee che da soli cinque anni si erano pacificate dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, era complicato raggiungere il lontano Sud America.

La stessa Italia, campione in carica dal 1938, che aveva appena subito il trauma dell’incidente aereo di Superga che si era portato via il Grande Torino e, in pratica, la nazionale, raggiunse il Brasile con una lunga traversata in mare, con conseguente eliminazione immediata.

Quella formula, poi, prevedeva la disputa di un girone finale, la cui vincente sarebbe stata proclamata campione del mondo.

A quel girone si qualificarono Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay, il caso volle che l’ultima partita fosse anche quella decisiva.

Di fronte, il 16 luglio del 1950, il Brasile e l’Uruguay, nell’immenso palcoscenico dell’Estadio Mario Filho, conosciuto come Maracanã.

Ai bianchi padroni di casa, che non avrebbero più indossato quei colori dopo quella partita, poteva bastare anche il pareggio, ma no, quella partita doveva essere vinta.

Il primo tempo, tra la gioia popolare, trascorse veloce e con poche emozioni, il risultato inchiodato sul nulla di fatto, poco lavoro per Barbosa.

Dopo due minuti dall’inizio della ripresa Friaça portò in vantaggio il Brasile, la gioia si trasformò in tripudio, bisognava aspettare solo il fischio finale dell’arbitro inglese George Reader, continuando ad attaccare perché l’Uruguay era solo vittima sacrificale, per far esplodere la gioia di un intero Paese.

Ma di tempo c’era ancora tanto, e le partite cambiano. Come cambiò quella.

Al 66’ i riorganizzati platensi trovarono il pareggio con Juan Alberto Schiaffino, che superò l’incolpevole Barbosa al termine di un contropiede orchestrato da Alcides Ghiggia, poteva ancora andare bene ai brasiliani, ma non fu così, la partita si doveva vincere, di gestire non erano capaci, e non lo voleva il popolo.

Era il minuto 79 quando si compì il delitto perfetto.

Ghiggia partì in contropiede sulla fascia destra, preparandosi a crossare.

Moacir intuì e fece un passo alla sua destra per intercettare il cross.

In un attimo fatale, però, l’uruguagio cambiò idea e tirò verso la porta, verso quell’angolo rimasto fatalmente sguarnito.

Beffando Barbosa.

Forse furono gli dei del calcio a suggerirgli quell’azione, forse volevano punire l’arroganza di una squadra, di un popolo, che si riteneva già campione.

E iniziò la condanna di Barbosa.

Fu il gelido silenzio assordante di 203.000 anime ad accogliere quel gol, insieme a quello di un’intera nazione, il risultato non sarebbe più cambiato, il fischio finale di Reader sancì l’incredibile vittoria dell’Uruguay che diventava campione del mondo per la seconda volta.

Per Moacir Barbosa iniziava la discesa all’inferno, gli anni non avrebbero mai lenito la condanna di quella tragedia sportiva, da tutti additato come l’unico colpevole della sconfitta.

Era stato un ottimo portiere, Barbosa, ma quell’unica partita ne avrebbe segnato il resto della vita.

“In Brasile la pena massima è di trent’anni, ma io sto pagandone più di quaranta per un crimine mai commesso!”, questo il suo pensiero, ma la sua vicenda può essere sintetizzata nelle parole di Eduardo Galeano: “In genere il pubblico venera tutti i giocatori, tranne il portiere. Per il portiere non esistono perdono, né compassione, né pietà.”

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allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore. Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.). Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016). Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.

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