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L’addio a Michelotti su tutti i quotidiani …

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Corriere delle Sport – Michelotti fischi di classe – Michelotti, l’arbitro sereno

Alberto Michelotti era del ’30, aveva sei anni meno di Concetto Lo Bello, il tiranno di Siracusa. Lo Bello in campo accentuava le punte spigolose del suo carattere, Michelotti aveva un modo di arbitrare meno rigido, raramente si metteva al centro della scena, ma riscuoteva il rispetto di tutti. Erano gli anni in cui gli arbitri italiani per tutto il mondo erano “i migliori del mondo” […]

Il San Paolo è lo stadio che porterà per sempre nel suo cuore. ‘Tredici anni dopo il debutto è li che chiude la carriera il 17 maggio 1981, Napoli-Juventus 0-1, Zoff è nella porta della Juve. In curva spunta uno striscione tutto per lui, mai successo prima per un arbitro, accadrà più spesso negli anni seguenti ma solo per offendere i fischietti. Quella volta no, per Michelotti lo striscione è una carezza: “Albé, tu si cosa grande”. Alla gente piace quel modo di arbitrare sempre sereno, anche se mai remissivo…[…] 

La Gazzetta dello Sport – Principi e personalità: addio a Michelotti, una vita in campo

Alberto Michelotti, a novantun anni, ha salutato la compagnia, ha fischiato tre volte e si è diretto verso gli spogliatoi. Fine della partita. Di lui, arbitro di livello internazionale negli anni Settanta e Ottanta, restano episodi passati alla storia del calcio. Quando Mariolino Corso, capitano dell’Inter, in una partita contro il Verona a San Siro, lo tampinò perché non aveva fischiato un’ entrata dura di un avversario sulle sue nobili caviglie, Michelotti lo spedì lontano con una spinta. «Lei non arbitrerà più a San Siro» gli disse Corso. E Michelotti lo sistemò alla sua maniera: espulso. Siccome il fuoriclasse dell’Inter non voleva uscire dal campo, l’arbitro risolse così la questione: «Se non te ne vai tu, me ne vado io», e prese la strada degli spogliatoi. L’intervento di un dirigente nerazzurro rimise a posto le cose. Era l’aprile del 1969 e Michelotti arbitrava da un anno in Serie A […]

Giorno – Carlino – Nazione Sport – Michelotti, addio all’arbitro che amava l’opera e Verdi – Addio Michelotti, l’arbitro diviso tra calcio e Verdi

[…] non è stato soltanto uno dei più grandi arbitri nella storia del calcio italiano ed internazionale. Chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo può rendere testimonianza della vitalità di un personaggio che avrebbe reso felice, con le sue esuberanze, uno scrittore come il conterraneo Giovannino Guareschi. Con il fischietto in bocca, Michelotti segnò un’epoca. Dal 1968 (un Napoli-Varese) al 1981 (un Napoli-Juventus) diresse 145 partite di serie A, 115 di serie B e 86 sui palcoscenici internazionali. Non di rado paragonato, per gestualità e metodi imperiosi, al leggendario Concetto Lo Bello, in realtà Alberto era già un arbitro moderno, nel senso migliore del termine. Non era autoritario: era autorevole, che è cosa molto diversa. I maneggioni e gli intrallazzatori sapevano di dover girare al largo: Michelotti veniva da una infanzia aspra, aveva fatto la fame e aveva imparato in fretta il piacere dell’onestà. Anche nelle polemiche, immancabili a proposito di rigori e fuorigioco, non si lasciava intimidire.

Gazzetta di Parma – Grande arbitro E autentico simbolo della parmigianità – Ciao Alberto grande parmigiano

“Sei nato al numero 17 di via Imbriani, dove mamma Elsa viveva con la madre e i fratelli, numerosi quasi quanto una squadra di calcio. Sei nato otto anni dopo le Barricate, hai respirato quell’aria e non l’hai più dimenticata, nemmeno quando hai fatto i soldi, spaccandoti la schiena quindici ore al giorno in officina, o quando sei diventato famoso. Anni duri, vissuti da sovversivi. Uno zio morto in piazza Garibaldi, schiacciato sotto un camion dei tedeschi, un altro di crepacuore, scappando dai fascisti. Raccontavi sempre di aver fatto anche la staffetta parmigiana, ti spedivano in bici dai tuoi zii, e al ritorno ti davano un po’ di lardo pesto o un pezzo di burro, per poterti giustificare se ti avessero fermato a un posto di blocco. Un giorno, alla Cornaccina, vicino a Noceto, non ti hanno creduto: ti hanno caricato su una camionetta e portato al Comando della Polizia di sicurezza-SD, di fronte al Tardini. È partito il tam-tam. «Hanno fermato Alberto, hanno fermato Alberto». Quando la voce è arrivata a mamma Elsa, ha inforcato la bici e si è precipitata da te. («Hai presente Anna Magnani, in Roma città aperta, quando le portano via il marito? – dicevi – Tale e quale»). «A gh’ i un bél corag, mascalsón (Avete un bel coraggio, mascalzoni). Vergognatevi. E te – puntando il dito verso Bragon, uno della compagnia dei suoi fratelli che era diventato fascista – non ti vergogni? Andavi a scuola con quei ragazzi. Vergogna». È riuscita a convincere le camicie nere che eri semplicemente andato a prendere un po’ di burro per lei e per i fratellini. E ti ha riportato a casa.”

 

 

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