La scuola danubiana: dove nacque il calcio odierno (Parte 1) - Gli Eroi del Calcio
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La scuola danubiana: dove nacque il calcio odierno (Parte 1)

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Manuel Cordero) – Il gioco del calcio, per come lo conosciamo noi, se lo possono disputare, nell’idea, Inghilterra e Scozia.

Ma il calcio, nella sua scientificità, nella sua specificità, ha, come matrice, le nazioni dell’Impero Austro-Ungarico.

Il kick and rush creò una necessità: la fluidità. Un passaggio lungo ha meno probabilità di riuscita, rispetto ad un passaggio corto. Dunque, la palla deve muoversi, cioè fluire, ma, per farlo, si deve abbassare il rischio di errore nei passaggi. La circolazione del pallone diventa materia di studio, di approfondimento. Questa necessità fu la conseguenza dell’incremento del pubblico negli stadi, causato dall’interesse che l’attrazione per la novità suscitò sulle masse. Hugo Meisl e il suo Wunderteam furono la prima, almeno in Europa, compagine a estremizzare questa risposta. Il possesso del pallone, sviluppato attraverso una fitta rete di passaggi, e lo scambio di posizioni dei giocatori, che cambiavano modulo e ruoli, garantivano la circolazione della palla. Sintomi antesignani del calcio totale, del quale, successivamente, un certo Ernst Happel, allenatore austriaco, ne fu il fautore. Anche se, durante gli anni ‘30, non era ancora stato approfondito il concetto di spazio. Concetto che, in Europa, da Happel in poi acquisì sempre più scientificità.

Matthias Sindelar fu il primo falso nueve della storia del calcio e fu la stella del Wunderteam. Realizzatore, dribblatore e ottimo passatore. Negli anni ‘50 del ‘900, cioè nel secondo dopoguerra, nacque e illuminò l’intero mondo calcistico l’Aranycsapat, la Grande Ungheria. Nandor Hidegkuti fu un altro falso nueve che nel 3-2-3-2 dell’allenatore, Gusztav Sebes, favoriva la convergenza delle ali. Si abbassava sulla linea dei centrocampisti, liberando lo spazio per gli inserimenti e creando la manovra. A quei tempi, le difese marcavano soltanto a uomo e questo movimento le disorientava. Da qui si ha un primo spostamento dell’oggetto conoscitivo. Si ha un accenno rudimentale della comprensione dello spazio: come e dove ricevere la palla per facilitare l’efficacia sotto porta. Nasce il regista (es. Puskas e Hidegkuti), cioè quella figura concentrata esclusivamente a creare, a intessere l’azione. Oggigiorno sostituito dallo “impostatore”, cioè quella figura che ripete esteticamente schemi imposti dal tecnico e imparati attraverso esercizi mnemonici fatti sul campo.

Nel calcio contemporaneo i ruoli sono sintetizzati e distinguibili in due tipologie: impostatore (detto sopra) ed esterno. Mentre nel calcio passato si aveva un’operazione di diversificazione più specifica. Ma di ciò se ne parlerà in un altro momento. Entrambe queste compagini ebbero un destino comune. Un destino che delinea il confine tra l’inaccettabilità del “giocare bene” (scopo di queste squadre) e l’accettabilità del divertire (scopo delle squadre contemporanee). Wunderteam e Aranycsapat estremizzarono, per conseguenze dettate sia dalla natura dei calciatori che degli allenatori, in maniera deleteria per lo spettacolo, dunque per gli occhi dei tifosi, la loro filosofia. Il calcio appartiene a chi lo gioca. Nella mentalità di Meisl e Sebes era il sistema ad appoggiare i calciatori, ad esaltare le loro caratteristiche, e non viceversa, come accade oggi, soprattutto all’interno dei nostri confini. Questo designa la differenza tra tecnico (es. Dionisi, Italiano e Gasperini) e allenatore (es. Meisl e Sebes).

Nel Mondiale ‘34, l’Austria dovette cedere all’Italia di Vittorio Pozzo in semifinale, dopo un arbitraggio “dubbioso”. Nel Mondiale ‘54, l’Ungheria dovette cedere alla Germania Ovest in finale, dopo un match con non pochi dubbi su “l’elevato stato di forma fisico” dei calciatori tedeschi. Né Italia né Germania furono e neanche adesso sono rinomate per il “bel calcio”. Il gusto, la meraviglia e la bellezza appartengono a stati oggi non proprio in cima al Ranking. Inoltre, se andassimo a vedere l’albo d’oro della Coppa Mitropa, antenata della Champions League, potremmo notare quanto abbia dominato il calcio danubiano, rispetto a quello italiano. E prima che qualcuno possa obiettare, certo delle proprie congetture, che il Metodo fosse un’idea esclusiva del nostro paese, dovrà fare i conti, invece, con la realtà. Arpad Weisz, allenatore ungherese, fu protagonista negli anni ‘20 e metà ‘30 del ‘900 con l’Ambrosiana (Inter) e col Bologna. Portò l’idea della dieta e della preparazione atletica, oltre a quella degli schemi tattici. Gettò le basi, sia organiche, credendo molto nei giovani (es. Giuseppe Meazza), sia tattiche, dell’Italia vincitrice di due Mondiali consecutivi. Fu il primo allenatore ad aggiudicarsi il campionato italiano a girone unico e, tuttora, il più giovane straniero ad esserci riuscito. Per le leggi razziali sugli ebrei dovette abbandonare il paese. In Olanda, venne ingaggiato dal Dordrecht, influenzando non poco il calcio olandese ancora dilettantistico. Nel 1942 venne arrestato, assieme alla sua famiglia, dalla Gestapo e mandato nel campo di transito di Westerbork. I suoi figli e sua moglie furono spediti ad Auschwitz, dove morirono nelle camere a gas. Weisz venne portato nei campi di lavoro in Polonia e il 31 gennaio 1944, dopo essere stato condotto ad Auschwitz, morì anch’egli nelle camere a gas.

Ma il calcio danubiano non termina qui. No. Esso ha continuato e continua ad influenzare questo gioco, che la domenica ci tiene attaccati agli schermi.

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Vivo a Cerreto Guidi, cittadina della campagna toscana in provincia di Firenze. Sono uno scrittore e un aspirante giornalista sportivo. Cerco di raccontare il calcio alla Foucault. La storia e la tattica sono i miei mezzi. Appassionato del football in tutte le sue forme.

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