Passarella, l'ultima rete al Franchi del caudillo - Gli Eroi del Calcio
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Passarella, l’ultima rete al Franchi del caudillo

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Il racconto di Passarella

E’ il 6 aprile del 1986. Si gioca la 27esima giornata di Serie A. Si gioca Fiorentina-Juventus. La partita, in quel di Firenze, rappresenta la più attesa dell’anno. Fuori e dentro lo Stadio Comunale i tifosi gigliati e bianconeri danno vita a scontri, che soltanto la polizia, schierata in massa, riesce, almeno, a controllare. La giornata è proprio quella delle grandi occasioni. Sugli spalti non ci sono posti liberi. Tutti i biglietti andati esauriti. Nessuno si può aspettare che Passarella potrà essere l’uomo determinante.

I cori dei sostenitori di fede viola non mancano e non mancheranno per gli interi 90 minuti. E, soprattutto, questo non mancherà: “E chi non salta è un bianconero… ohohohohoh… E chi non salta è un bianconero… ohohohohohoh!”. Su questo sfondo si sta per consumare una delle sue ultime partite con la maglia della Fiorentina. Lo chiamano El Caudillo, appellativo che, in Spagna, veniva usato per indicare un certo Francisco Franco. Già da qui si dovrebbe formare nella nostra mente una vaga idea della indole innata di questo tipo qua. 

Non è alto e nemmeno fisicato. Eppure affonda il tackle, accetta lo scontro fisico con avversari più grossi di lui. Non ha paura il ragazzo. Casomai ce l’hanno quelli, i più grossi. Sono loro a perdere i contrasti. Sono loro ad avere paura. Leader in campo e nello spogliatoio. Diverrà il secondo difensore più prolifico di sempre (davanti a lui solo Koeman) e il libero più forte che la storia del calcio possa narrare. Ha quella visione di gioco magnifica con cui sa servire i compagni con lanci precisi. Batte punizioni micidiali e, dato il suo carattere, si prende anche la responsabilità di calciare rigori.

La nascita di Daniel Passarella

Nasce nelle Pampas, precisamente a Chacabuco, il 25 maggio 1953. La sua famiglia è emigrata da Moliterno, in provincia di Potenza, fin nelle pianure argentine.  Il bambino, fin dai primi passi, ha questa voglia precoce e matta di rincorrere il pallone. Pensare che, dopo un incidente d’auto, con la gamba destra ingessata, volle allenarsi per imparare ad usare il mancino. Tutto un programma Daniel. Sì, questo è il suo nome.

Adesso, torniamo al match. Da una parte abbiamo la Fiorentina di Aldo Agroppi. Tecnico che non ha avuto grandi avventure a Firenze. Nella stagione che stiamo raccontando, porterà i gigliati al quarto posto in classifica. Tutto normale, ma quello che farà scalpore, sarà l’aggressione subita da sei ultras. Il motivo? Secondo loro, Agroppi sarebbe stato irrispettoso nei confronti del capitano viola, Giancarlo Antognoni. In quel frangente, l’uomo fu fortunato: accanto a lui c’era Daniel. Come riportò La Repubblica: “E’ passato al contrattacco, ha menato un paio di pugni ed i sei vigliacchi se ne sono andati”. Il tecnico tornò anche nel 1993, ma i risultati non furono dalla sua parte: venne esonerato a poche giornate dal termine e la Fiorentina retrocesse in Serie B.

Dall’altra ci sono i bianconeri del Decennio d’Oro del Trap. Squadra che, si ricorda bene a Firenze, fu autrice dello scudetto rubato. Con Giovanni Trapattoni alla guida, la Juventus vinse, tra le altre, la sua prima competizione europea: la Coppa UEFA del 1977. Successivamente, la sua prima Coppa Campioni e la Supercoppa UEFA nel 1985. Trofeo, quest’ultimo, scenario dell’orribile tragedia dell’Heysel. La stagione in cui si svolge la partita, fu l’ultima del Decennio d’Oro al club torinese. Comunque, riuscì a vincere, oltre al campionato, la Coppa Intercontinentale. Tornerà nel 1991, restando fino al 1994. Durante la sua ultimissima permanenza sulla panchina bianconera vincerà la Coppa Uefa del 1993.

Le formazioni:

FIORENTINA: Galli, Contratto, Carobbi, Oriali, Gentile, Passarella, Massaro, Battistini, Monelli, Antognoni, Iorio. Allenatore: Aldo Agroppi.

JUVENTUS: Tacconi, Favero, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Mauro, Manfredonia, Briaschi, Platini, Laundrup. Allenatore: Giovanni Trapattoni.

A dirigere la gara c’è Paolo Casarin della Sezione di Milano. In carriera ha diretto 300 match tra la Serie A e la Serie B. In campo internazionale da annotare: Francia-Cecoslovacchia e Germania Ovest-Spagna al Mondiale 1982; la finale di Coppa delle Coppe 1985 tra Everton e Rapid Vienna; la semifinale di Coppa Campioni 1985-86 tra Barcellona e IFK Goteborg; la semifinale di Coppa UEFA 1983-84 tra Tottenham e Hajduk Spalato.

L’AIA lo punì più volte per motivi disciplinari. Infatti, Casarin aveva rilasciato più volte interviste non autorizzate alla stampa, dove non parlava proprio bene degli arbitraggi e della categoria a cui apparteneva. Nel 1981 venne squalificato per 6 mesi, perché non rilasciò dichiarazioni “carine” inerenti il Direttore di Gara Lo Bello. Altri 9 nel 1983, dopo aver criticato, all’interno di un’altra intervista non autorizzata, il mondo degli arbitri.

Nel 1990 divenne Designatore degli Arbitri di Serie A e B. E’ grazie a lui, se abbiamo potuto osservare in campo uno come Pierluigi Collina. Entrò a far parte anche delle commissioni arbitrali di UEFA e FIFA. Fu Designatore degli Arbitri per il Mondiale 1994. Ebbe contrasti col Presidente FIFA, Joao Havelange, che voleva a tutti i costi avere voce in capitolo sulle scelte di Casarin.

Nel 2000 disse addio al mondo dei Direttori di Gara, a seguito dell’ennesima punizione disciplinare da parte dell’AIA: aveva rilasciato un’intervista non autorizzata a Rigore. Nel 2012 è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano: categoria Arbitro Italiano. Dal 2015 è opinionista su Rai 2.

I primi 45 minuti sono dominati dalla prudenza. La Fiorentina appare leggermente più briosa rispetto alla Juventus. La squadra bianconera si concentra a non subire e a riversarsi in contropiede appena possibile. Qualche parata, anche abbastanza impegnativa, per Galli e Tacconi, ma da tiri che non possono di sicuro far vacillare le loro certezze. Fischio di Casarin ed entrambe le compagini vanno negli spogliatoi col risultato a reti bianche.

Nel secondo tempo le idee tattiche non si discostano molto da quelle inerenti il primo. La Juventus tiene palla per addormentare ritmi, già di per sé, non proprio sostenuti. La viola prova ad aggredire come può. Poi salgono in cattedra Carobbi, Gentile, Oriali e, soprattutto, L’Unico 10. E’ proprio Giancarlo Antognoni che, al minuto numero 57’, va a calciare la punizione decisiva. Sistema il pallone con entrambe le mani. Non prende neanche la rincorsa. Non ne ha bisogno. Lui è Il ragazzo che giocava guardando le stelle. Casarin alza il braccio sinistro. Fischia e si scosta. Giancarlo la mette dove vuole. Veramente dove vuole. Pennella un cross che… Lo abbiamo detto: “Non è alto”. Ma ciò che è stato omesso, rappresenta la caratteristica identitaria che distingue il calciatore protagonista di questa storia.

Ha siglato, nella sua carriera tra Argentina e Italia, ben 178 reti. A quella cifra non ci si arriva per caso e non soltanto per le punizioni e i rigori. Lui è alto 1.77. Il suo stacco da terra va ben oltre quella cifra. Inoltre, questa propensione al gol l’ha sempre avuta. Pensare che nella squadra della sua cittadina, l’Argentinos, giocava ala.  Quando divenne libero? Fu l’allenatore del Sarmiento, squadra, oggi, nella seconda divisione argentina, a reinventarlo in quel ruolo. Dopo di che le sue doti non passarono inosservate. Il River Plate si fece avanti e lo acquistò. Coi Millonarios siglò 90 reti in 226 partite di campionato. 

Nel ‘78 fece parte della Nazionale Argentina di Luis Cesar Menotti. Selezione che vinse il Mondiale casalingo. Dopo quello del 1982 si trasferì alla Fiorentina. Con la viola si legò fino a questa stagione, quella che narriamo: 1985-86. E ne fu anche il capocannoniere con 11 centri. Infine, passò all’Inter, dove non ebbe grandi annate. Annate macchiate da questo episodio: 8 marzo 1987, Sampdoria-Inter. Un raccattapalle ritarda la ripresa del gioco. Daniel perde le staffe e gli sferra un calcio. 6 giornate di squalifica, ridotte, poi, a 5 e 5 milioni di lire date al ragazzo dalla proprietà nerazzurra.

Nel 1988 Passarella tornò nel suo amato River, dove concluse la sua carriera di calciatore l’anno seguente. Ma torniamo a quel cross. A quella pennellata del pittore col numero 10 sulle spalle. La palla prende la traiettoria discendente. Attraversa tutta l’area di rigore per poi finire sulla cabeza del Caudillo. Lo stacco è imperioso. Sicuro. Eppure c’è una cosa che dovremmo notare: nessuno salta, perché Giancarlo “la mette dove vuole”, certo, però, per metterla lì, deve passare da parte a parte la porta. Deve evitare almeno 5 o 6 teste. Ah! Ecco… Deve evitare anche che il portiere intervenga.

Quindi, l’altezza raggiunta dalla sfera è elevata, oltre che precisa. Chissà perché, ma è il solo Daniel Alberto Passarella, alto 1.77, che riesce ad impattare. Il Comunale è una bolgia. Saltano tutti in piedi, mentre El Gran Capitan corre come un matto, agitando i pugni, lasciandosi trascinare dal momento. Volevano quel gol. No, aspettate! Lui lo voleva. Passarella è un trascinatore. Porta con sé non solo il pubblico. Porta con sé l’intera Fiorentina, l’intera Firenze. 

Quella squadra e quella città che adesso salta e urla con lui: “Gol!”.

Oggi, l’argentino delle Pampas con sangue potentino compie 69 anni. Auguri Daniel. Auguri Daniel Alberto Passarella. La partita terminerà 2-0 per i viola. Nel mezzo ci sarà un palo di Massaro e una parata felina di Galli su punizione di Platini. Infine, allo scadere del match, arriverà il definitivo raddoppio con la rete del subentrato Berti.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Manuel Cordero)

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Vivo a Cerreto Guidi, cittadina della campagna toscana in provincia di Firenze. Sono uno scrittore e un aspirante giornalista sportivo. Cerco di raccontare il calcio alla Foucault. La storia e la tattica sono i miei mezzi. Appassionato del football in tutte le sue forme.

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