Storie di Calcio

8 dicembre 1985 – La Juventus diventa … Intercontinentale

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera) –

«Aquella final fabulosa en la que sólo ganó el fútbol »

(Quella finale favolosa in cui ha vinto solo il calcio)

L’8 dicembre è una data differente da tutte le altre.

Non è solo il giorno, apripista al Natale, dove si festeggia l’Immacolata Concezione.

È una data che ha spesso scritto pagine importanti della nostra storia, nel bene e nel male.

Tanto per ricordarci è un 8 dicembre drammatico, come quello del 1941, quando gli USA dichiarano guerra al Giappone dopo l’attacco di Pearl Harbor

Nel 1970 è la data di un giallo tutto nostrano con il fallito tentativo di colpo di Stato in Italia tentato da Junio Valerio Borghese

Poi ci sono le gioie come nel 1976, dove l’8 dicembre coincide con la pubblicazione di “Hotel California” (The Eagles), uno dei dischi più venduti della discografia mondiale.

Piangiamo, l’8 dicembre 1980, quando ci svegliamo con la notizia dell’assassinio di John Lennon

E poi, per chi ama il calcio, c’è l’8 dicembre 1985, la domenica dove la Juventus si innalza sul tetto del mondo calcistico, «Aquella final fabulosa en la que sólo ganó el fútbol», alla fine di un percorso che l’ha vista piangere 32 morti italiani (su 39 totali) in quella dannata serata all’Heysel, quella della coppa vinta, tra mille polemiche, contro il dolore e l’orrore.

«Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio.»
(Albert Camus)

No, non sempre è vero.

Quella sera del 29 maggio, pochi mesi prima della finale dell’Intercontinentale, all’Heysel, non muoiono solo 39 persone, vittime di una bestialità senza fine e senza ragione.

Muore il calcio che, schiacciato tra paure e interessi economici, dà vita a una sceneggiata surreale: la partita è surreale, l’esito è surreale, i festeggiamenti sono surreali.

Il calcio, dopo l’infausta serata, ha bisogno di recuperare credibilità, ripulirsi da quel sangue misto a vergogna; ha bisogno di uscire dalla sceneggiata e rientrare nello spettacolo più puro.

Juventus e Argentinos Jr, squadra argentina teatro delle prime magie di un certo Diego Armando Maradona, più o meno consapevolmente, sanno di avere addosso questa responsabilità.

Rappresentano l’esperienza di chi è abituato a vincere contro la giovanile arroganza, il pragmatismo italiano contro la sensualità del tango argentino.

Nella Juve, rifondata dopo quella maledetta notte, non ci sono più Boniek, Tardelli, Pablito Rossi, c’è sempre Le Roi Platini, e poi una nidiata di possibili future promesse (Laudrup, Mauro) e altre in cerca di consacrazione dopo alti e bassi (Serena, Manfredonia), più il solito nocciolo duro come gli Scirea, i Brio, i Cabrini, i Bonini.

Nell’Argentinos Jr non c’è più Maradona da tempo (oramai a mostrar magie in Italia a Napoli da due anni), ma ci sono un ex campione del mondo (1978), Olguin, e un futuro campione del mondo (1986), Batista.

E c’è soprattutto lui, Claudio Daniel Borghi, colui che Platini definì “Picasso” dopo la partita e che fece litigare Berlusconi e Sacchi al Milan nella sua fugace esperienza italiana.

Quell’8 dicembre del 1985 segna anche una altra svolta.

La partita non è trasmessa dalla Rai ma da Canale 5 della Fininvest berlusconiana, primo evento calcistico ufficiale che sfugge ai tentacoli di Viale Mazzini.

Il prezioso tagliando dell’incontro (Collezione Matteo Melodia)

«Tutte le mattine, in ogni angolo del mondo, dalla praterie dell’Islanda ai confini della Terra del Fuoco, dalla Siberia più orientale al Brasile, il calcio abbraccia i cuori di miliardi di uomini che si svegliano.»
(René Frégni)

Per noi italiani, quella domenica mattina, ci si sveglia a Tokyo, in Giappone, e i pochi che riescono a vederla in diretta (solo in Lombardia) si trovano a manipolare telecomandi e manopole del volume per cercare di eliminare quel fastidioso rumore che proviene dalla tv.

Col tempo capiremo che quel baccano è frutto dell’utilizzo di trombette suonate da entusiasti tifosi del Sol Levante, commiste a rumori di fondo trasmessi dagli altoparlanti dello stadio per sopperire a eventuali mancanze di tifo.

Il primo tempo scorre lentamente in una fase di studio fra due avversari che si rispettano e si temono allo stesso tempo.

Il secondo tempo, però, è tutt’altra cosa.

C’è tutto il calcio in quei secondi 45 minuti, tecnica e agonismo compressi in un terreno allentato dalla pioggia, dove sudore, fango e sforzo fisico diventano elementi importanti quanto quel pallone che rotola.

Incomincia Ereros che beffa Tacconi al 55° con un pallonetto.

Pochi minuti e Platini trasforma il rigore per la Juventus per atterramento di Serena.

Poi è “Picasso” Borghi, autore di un’ottima partita, a inventarsi un corridoio per Castro che ringrazia e riporta in vantaggio gli argentini a un quarto d’ora della fine

Le Roi Michel non vuol essere da meno del suo giovane e irriverente dirimpettaio e appena 7 minuti dopo mette Laudrup in condizione di pareggiare il conto.

Nel mezzo c’è il tempo di un gol per parte annullato per fuorigioco e di un capolavoro di controllo tecnico, agilità fisica e balistica calcistica cancellato da una segnalazione sciagurata del teutonico arbitro Roth.

«Un’altra caratteristica che avvicina la bellezza di un gol a un’opera d’arte è la sua unicità. Un gol fatto è un gol che svanisce subito nel nulla.»
(Giancristiano Desiderio)

Ci sono immagini che definiscono, più di altre, un calciatore, fissandolo per sempre nell’immaginario collettivo come lo stacco imperioso di Pelè su Burgnich oppure la “mano di Dios” per Maradona.

Oppure Michel Platini sdraiato in mezzo al campo, una posa a metà via tra l’eleganza marmorea di Paolina Borghese cesellata dal Canova e l’ironico Benino, pastore dormiente del presepe napoletano.

Elegante e ironico al contempo come lo sapeva essere solo lui, il francese di Joeuf, tre volte consecutivamente Pallone d’oro, tre volte consecutivamente capocannoniere in Italia, privato ora di un goal, forse il più bello della sua carriera.

Siamo sull’ 1-1, c’è un calcio d’angolo per la Juventus, Platini riceve palla fermandola di petto, palleggio di destro a scavalcare con un sombrero un difensore e poi sinistro all’incrocio a battere il portiere argentino.

Prima l’esultanza subito stroncata e poi quella posa, tra Paolina e Benino, elegante ma polemicamente ironica.

Probabilmente il gol annullato più bello di sempre.

 «Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica.»
(Pier Paolo Pasolini)

«Non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.»
(La leva calcistica della classe ’68 -Francesco De Gregori)

 La partita arriva al 90° senza vinti e vincitori e sono necessari i supplementari per decidere chi alza il trofeo.

Le squadre, però, sono stanchissime, la paura di perdere è forte, hanno imparato a rispettarsi e temersi reciprocamente.

Quasi sembra che nasca un patto di non belligeranza, una decisione condivisa di affidare i propri destini a una lotteria, quella dei rigori, cosa che accade per la prima volta in una Coppa Intercontinentale.

Vince chi sbaglia meno, chi è più fortunato, chi ha i nervi più saldi.

Vince chi ha, in questo caso, come portiere Tacconi che ne para due.

Vince chi ha in campo Michel Platini che segna quello decisivo, elegante come Paolina, ironico come Benino, spietato come un Roth qualsiasi.

Alle 6,30 della domenica mattina, quando mezza Italia forse è ancora sotto le lenzuola, la Juventus si innalza sul tetto del mondo.

La Juventus ha vinto, il calcio ha vinto ritornando spettacolo puro e non squallida sceneggiata.

Ora tutto ha di nuovo un senso.

Tranne quei 39 morti, senza i quali chissà se saremmo qui a raccontare questa storia.

«Può succedere che una partita venga dilatata a saga, a poema epico, e che ogni suo episodio si colori come nessuno avrebbe mai pensato assistendovi o addirittura prendendovi parte.
Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso, non compatito; e va magari invidiato, non deriso. Il calcio è davvero il gioco più bello del mondo per noi che abbiamo giocato, giochiamo e vediamo giocare.»
(Gianni Brera)

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