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Argentina – Italia ’82 … inizia il “Girone della Morte”

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Argentina – Italia ’82 … inizia il “Girone della Morte” …

per GLIEROIDELCALCIO.com Francesco Zagami

Nel “girone della morte” con Brasile e Argentina, all’Italia balbettante e avara del primo turno non era concessa alcuna chance di qualificazione. Ma era sicuro che l’Argentina fosse davvero insormontabile? Essa, in realtà, era carente in difesa, a centrocampo aveva il solo Ardiles capace di disegnare lineari e proficue geometrie (gli altri calciatori erano solisti non tanto in sintonia tra di loro), e in attacco Diaz e Bertoni non erano al massimo. Inoltre, Kempes non era quello del ’78. D’altronde, la biancoceleste non è che avesse condotto il primo turno tanto più brillantemente dell’Italia. Con il Belgio all’esordio aveva perso e contro il modesto El Salvador, ovvero la squadra più debole del torneo, aveva sì vinto, ma era stata anche aiutata da un rigore dubbio, concesso con molta larghezza dall’arbitro Barrancos, poi depennato dal Mundial. E il regolamento aveva voluto che la prima partita del girone fosse Italia-Argentina, ovvero contro l’avversario più abbordabile.

E, allora, questo, poteva essere veramente il momento più adatto e propizio per affrontare il girone della morte. Se lo si fosse superato, le avversarie più ostiche sarebbero andate a casa e la strada sarebbe stata in discesa, al contrario di quanti successo in Argentina nel ’78, quando l’Italia aveva speso molto nelle prime partite con avversarie di un certo livello, per poi ritrovarsi stanca o, comunque, meno in forma alla fine con le squadre più dure. Questo Bearzot lo sapeva, per cui non gli dispiaceva del tutto il girone con le sudamericane e per cui avrebbe raschiato tutte le risorse pur di spuntarla. In ogni caso, Bearzot non aveva nessuna intenzione di subire senza restituire il colpo: non avrebbe dato tregua alle contendenti. Ma alla sua maniera: razionale, lucida, senza scoprirsi ed esporsi. I due avversari si sarebbero dovuti affrontare ragionando, riflettendo a trecentosessanta gradi, soppesando la loro forza, i loro limiti, le loro caratteristiche, le loro dinamiche tattiche. Egli, dunque, non vedeva dappertutto nero: ma la stampa, e non solo quella italiana, alla vigilia di Italia-Argentina temeva “il ciclone Maradona”. Ma contro l’Argentina, pur essendo i giornalisti nella quasi unanimità d’accordo che l’Italia per forza di cose dovesse soccombere, tuttavia non mancava chi non escludesse in via di ipotesi la possibilità di qualche colpo di scena derivante da quella che si potrebbe chiamare “l’illogicità del pallone” che qualche volta conduce a vincere la squadra ritenuta peggiore. A questo punto per la stampa sarebbe stato essenziale solo “il saper perdere”, ovvero essere sconfitti salvando la faccia, e la vittoria dell’Argentina era facilmente pronosticabile; e solo l’illusione poteva far credere che riuscissimo, come il Belgio, a battere i sudamericani: credere si poteva credere, ma solo come atto di fede.

Ma non si taceva che l’Italia potesse usare la sua arma migliore, ovvero il contropiede, che la nostra nazionale potesse aver trovato nel suo isolamento quello spirito di corpo e quella voglia di rivincita, tali da rivitalizzarla, e che l’Argentina dipendesse molto da Maradona: bloccare solo lui era compito più facile che paralizzare tutta la squadra. Inoltre l’Italia, avendo sempre giocato nel clima atlantico di Vigo, poteva risultare più fresca dei nostri avversari, essendo, peraltro, con il tempo maturata la forma ideale. Importante che non giocassimo arroccati in difesa con una tattica rinunciataria. E se per l’Italia si poteva parlare di speranze, l’Argentina era sicura di vincere: solamente, riconosceva la solidità della difesa italiana (anche Maradona aveva consapevolezza della forza della retroguardia azzurra). Menotti, CT argentino, raccomandava quindi di stare attenti al contropiede italiano, pensando che l’Italia avrebbe edificato il bunker difensivo. Dunque, Italia-Argentina. Data della tenzone (e battaglia sarebbe stata) il 29 giugno. Chi perdeva avrebbe incontrato il Brasile il 2 luglio, chi vinceva avrebbe giocato con i carioca il 5 luglio.

In caso di pareggio, sarebbe stata l’Italia a incrociarsi con il Brasile il 2. L’Argentina schierava 4 attaccanti: Maradona al centro, Kempes dietro, Bertoni ala sinistra, Diaz ala destra (pare che quest’ultimo non fosse particolarmente gradito a Maradona per motivi che forse non erano neanche tecnici, probabilmente  legati al passaggio dello stesso al Napoli, per la cui operazione non era intervenuto l’agente di Maradona, Jorge Czisterpieller). La biancoceleste era certa di vincere (in fondo, Menotti vedeva l’Italia già dilaniata dalla propria stampa e, quindi, ancor più debole) e per bocca dello stesso CT dileggiava la squadra di Bearzot, affermando che l’Italia era una squadra squilibrata, con una mentalità passatista. Il trainer argentino, che non poteva impiegare Valdano in attacco al posto di Diaz, come nei desideri di Maradona, poiché il primo non si era ancora ripreso dai postumi di una distorsione a una caviglia, sospettava che sullo stesso Maradona montasse la guardia Tardelli (e accentrando il Pibe de oro, pensava di mettere in difficoltà lo juventino) e che gli italiani giocassero per lo 0-0; ma contava di potersi imporre perché riteneva che la squadra argentina potesse far valere un gioco di scambi automatici tale da superare la difesa italiana. Ma Bearzot ponderava più logico che Menotti facesse giocare Diaz a destra, Kempes a sinistra e Bertoni al centro con Maradona davanti, e non forniva la formazione.

Bearzot voleva tenere il segreto il più a lungo possibile, non volendo dare all’avversario alcuna possibilità per intuire le proprie mosse: ma una cosa era sicura, Bearzot non voleva fare catenaccio, voleva aggredire l’avversario. Inoltre, egli affidava non a Tardelli ma a Gentile il compito di marcare Maradona, ingannando Menotti: in caso di necessità, qualora Gentile fosse stato saltato, sarebbero intervenuti Oriali e Scirea. Gentile si sarebbe incollato a Maradona, con una ferrea ed efficace applicazione che lo avrebbe ora portato ad anticipare l’argentino, ora a compiere qualche fallo per fermarlo, ma mai nessuno realmente grave. Maradona avrebbe sofferto quel controllo rigido e avrebbe provocato Gentile con ogni insulto. Rimaneva, quindi, spiazzato chi si aspettava che il marcatore di Maradona potesse essere Tardelli, come era capitato nel ’79 nella partita tra Argentina e Resto del mondo, durante la quale l’Italiano era stato espulso, tanta la sua “attenzione” nei confronti del pibe de oro era stata feroce. A proposito della marcatura nei confronti di Maradona, che si presupponeva sarebbe stata dura, i tifosi del Barcellona (in quell’estate Maradona era stato acquistato proprio dal predetto club catalano), quasi ci supplicavano di non rovinare un giocatore costato un miliardo e duecento milioni di pesetas dell’epoca. Come fossimo dei distruttori di gambe, oltre che di gioco, come ci definiva Menotti. Peraltro, qualche giornalista ipotizzava che Tardelli avrebbe controllato Maradona a centrocampo per poi lasciarlo a Gentile in caso fosse pervenuto nell’area italiana. In realtà, e questa è stata la mossa geniale di Bearzot, per sopperire all’ancor non ottimale forma di Rossi, Tardelli avrebbe fatto da incursore d’attacco, avrebbe fatto da uomo in più nel centrocampo avanzato, a supporto delle punte.

Collovati e Cabrini potevano scambiarsi le marcature nelle zone del campo che avrebbero occupato, per evitare che gli attaccanti argentini Diaz e Bertoni potessero trascinarli in settori a loro abitualmente poco avvezzi. Dunque, a parte Gentile su Maradona, al livello del reparto arretrato non vi sarebbero state marcature strettamente fisse, come congetturato da un poco fantasioso Menotti e dalla maggior parte dei giornali italiani, che vedevano Cabrini appiccicato a Bertoni e Collovati ferreamente a guardia di Diaz. Conti e Graziani sarebbero retrocessi quando necessario per dare una mano alla difesa. Al centro Oriali, mediano arretrato, avrebbe controllato Ardiles, e avrebbe fatto anche da trait-d’union tra difesa e attacco. Tardelli e Antognoni a zona avrebbero dovuto fermare l’avversario che via via si fosse presentato davanti a loro. Tardelli, come detto, faceva anche da incursore, come Cabrini, e Antognoni si sarebbe proposto da rifinitore per il compagno che risultava smarcato. In attacco Rossi, senza consegne di carattere difensivo, e Conti e Graziani come tornanti, con il compito di galoppare lungo le rispettive fasce di destra e di sinistra, allo scopo di difendere e di attaccare.

Conti doveva sorvegliare Tarantini, di cui si predicava una certa pericolosità qualora si fosse affacciato nell’area azzurra. E Causio, che aveva alle sue spalle una certa esperienza contro l’Argentina, avendola affrontata nel mondiale del ’78 e nell’amichevole del ’79, nel corso della quale aveva segnato un gran gol al volo, dopo essersi “bevuto” proprio Tarantini, poteva prodigarsi in consigli nei confronti di Conti. Quest’armonia non poteva che fare felice Bearzot, che avrebbe compensato Causio facendogli giocare gli ultimi scampoli della finale con la Germania Ovest. Dato conto di ciò, si potrebbe dire che lo schema del CT azzurro non era di tipo difensivistico, ma molto eclettico, con giocatori che ora fungevano ora da difensori, ora da attaccanti, permettendo contropiedi precisi e rapidi. La soluzione consentiva di creare fastidi e attacchi micidiali, assicurando contemporaneamente il sostanziale ridimensionamento se non annullamento dei cinque uomini di più classe dell’Argentina, ovvero Maradona, Bertoni, Diaz, Kempes e Ardiles. Un capolavoro tattico che avrebbe permesso i gol di Tardelli e Cabrini, gli incursori venuti da dietro. In barba alle previsioni di Menotti, che si aspettava che gli italiani facessero il classico catenaccio stile anni ’60 con marcature a uomo fisse in sovrabbondanza. La partita ha presentato un primo tempo abbastanza tattico, di studio, con le due squadre piuttosto guardinghe. Qualche calcio piazzato sia da una parte che dall’altra, tutti ininfluenti. Un primo tempo equilibrato: un’Italia più chiusa; l’Argentina dava l’impressione di maggiore forza, ma non sembrava impensierire. Ma tanti falli: in genere, quelli italiani a gioco in atto, quelli argentini talvolta a match fermo. Solo al 36’ un sussulto italiano scuoteva la partita con una convincente azione: la palla finiva ad Antognoni che dava a Graziani, il quale si produceva in un cross su cui Rossi anticipava il portiere argentino Fillol, non riuscendo però a mirare giusto. Si arrivava all’intervallo sullo 0-0. Comunque, l’Italia appariva più vivace rispetto al primo turno. Ma nel secondo tempo il match saliva di tono. E l’Italia letteralmente si trasformava, cresceva e faceva vedere belle trame, frutto di meccanismi che cominciavano a funzionare con automatismi discretamente collaudati. Già al 3’ un lancio da lontano di Scirea favoriva Rossi, che metteva in mezzo.

La respinta di Olguín diveniva preda di Conti, che allargava sulla sinistra per Graziani, che con un tiro al volo mandava sul fondo. Pochi minuti dopo, a seguito di un recupero del medesimo Graziani, veniva servito Oriali, che dava a Rossi, il quale apriva per Tardelli: il suo tiro al volo, veniva deviato da Fillol. Dopo undici minuti dall’inizio della ripresa, Rossi, ricevuta palla dalla difesa, dava a Conti, che partiva in contropiede a razzo, tagliando in due un’Argentina sbilanciata. Passava a Tardelli, che triangolava con Antognoni e con un diagonale mandava in rete, con il portiere argentino Fillol a terra a gambe divaricate. Dopo un paio di minuti, a seguito di un fallo di Graziani su Ardiles e alla successiva punizione battuta da Olguín al 13’, una sponda di testa di Passarella dava la possibilità a Bertoni di concludere sempre di testa, impegnando Zoff. Al 17’ occasionissima per l’Argentina. Un fallo di Gentile su Maradona veniva sanzionato con una punizione praticamente dal limite: tirava Maradona, che con un tiro formidabile scheggiava un palo, con Zoff battuto. Al 22’ un fallo di Oriali su Ardiles causava una punizione calciata da Olguín. Un forte colpo di testa di Passarella veniva bloccato da un grande Zoff, che si aiutava con la traversa. Ma al di là di questo, l’Argentina non dava segni di miglioramento. Al 23’ gol dell’Italia. Tardelli porgeva a Graziani, che serviva Rossi. E da Rossi, anzi da una non riuscita conclusione a rete di Rossi nasceva il secondo gol azzurro: dopo aver abilmente evitato il fuorigioco, si presentava davanti a Fillol. Sbagliava, forse ancora preda di quella tenaglia di tipo psicologico che sinora lo aveva paralizzato. Ma sulla respinta del portiere un eccezionale Bruno Conti recuperava nella parte sinistra dell’area e, dopo aver messo fuori causa con una finta Fillol, dava dietro all’accorrente Cabrini. Il secondo gol era servito. Qualche minuto più avanti, a seguito di una punizione battuta da Antognoni e respinta dalla barriera, Tardelli cercava di tirare, ma una carambola stava per far finire la palla nei piedi di Rossi, però Fillol anticipava in uscita. Al 38’ Passarella segnava. Gol, peraltro, irregolare, anche se di pregevole fattura. A seguito di un fallo di Marini ai danni di Olguín, Passarella batteva una punizione, mentre l’Italia era impegnata a predisporre la barriera. Zoff, che in quel momento era distante, non poteva far nulla e inutili si rivelavano le proteste azzurre.

Un minuto dopo Gallego veniva espulso per un fallo su Tardelli. Ma non era l’unico episodio di durezza da parte degli argentini: lo stesso Gallego aveva martoriato con unghiate Marini ed era passato con i tacchetti delle scarpe sulle mani di Scirea a terra, dopo un anticipo. E quando Altobelli aveva sostituito Rossi, Passarella aveva trovato l’occasione di dargli il benvenuto con un pugno. Gli argentini si giustificavano dicendo di vendicare Maradona. I sudamericani provavano qualche attacco, ma si esponevano al contropiede: al 43’ Antognoni conquistava una palla a metà campo nella parte destra, si involava verso la porta accentrandosi, ma tirava fuori. Poco dopo una triangolazione Antognoni-Altobelli-Antognoni, con tiro di quest’ultimo, terminava al lato. A tempo scaduto gran bella azione azzurra: Tardelli recuperava a metà campo su passaggio sbagliato di Maradona, partiva e poi serviva Conti, che si esibiva in dribbling ubriacanti. In area cercava di beffare Fillol con un pallonetto, ma il portiere riusciva ad arpionarla. La partita si concludeva. L’Italia aveva vinto e avrebbe potuto confezionare nel finale la goleada. In fondo, l’Argentina aveva fatto vedere solo le punizioni di Maradona e Passarella. Nulla di più. L’Italia l’aveva imbrigliata per bene e dominata. Ma Menotti non voleva riconoscere il valore degli azzurri, assegnando tutto il merito della vittoria avversaria alla sola fortuna, ribadendo le accuse di difensivismo, di non-gioco, di non-squadra, di calcio vecchio di 25 o 50 anni, ecc.. Anche qualche giornale di lingua spagnola avrebbe ripetuto questa litania, parlando anche di assassinio calcistico ai danni di Maradona (cosa che avrebbero fatto in Spagna l’anno dopo, con Goikoetzea che per poco non lo azzoppava per sempre). Bearzot metteva in chiaro come l’Italia fosse stata superiore all’Argentina, non mancando di ribadire che la propria compagine aveva giocato bene anche nella prima fase, con la differenza che in quest’ultima erano mancati i gol, ora arrivati.

Non era vero che l’Italia antecedentemente avesse giocato bene e il CT lo sapeva: e anni dopo lo avrebbe ammesso, ma Bearzot, rendendosi conto che il problema degli azzurri poteva essere di tipo psicologico e non fisico, aveva tutto l’interesse a tenere il morale alto. Bearzot successivamente, a mondiale vinto, avrebbe ritenuto la vittoria sull’Argentina fondamentale, ancor più importante di quella successiva sul Brasile: l’Italia si era sbloccata psicologicamente, avrebbe preso coscienza dei propri mezzi, non avrebbe avuto alcun timore reverenziale verso nessuno, avrebbe riposato 3 giorni in più del Brasile (il che non era poco con quel caldo, oltre al fatto che avrebbe avuto più tempo per smaltire e recuperare eventuali acciaccati). Rossi, è giusto dirlo, non era (ancora) ritornato a essere il vero Rossi, ma i progressi, anche grazie all’opera di Graziani e in parte di Conti, al fine di servirlo, erano evidenti: più corsa e maggiore senso della posizione, che gli avevano consentito più volte di ritrovarsi in agguato nell’area argentina. Era mancato il gol. Nella successiva partita ne avrebbe segnati tre.

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