Storie di Calcio

Carlo Bigatto…sigarette bianconere

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Simone Cola) – Quando oggi si dice Juventus si pensa alla squadra più forte d’Italia, capace da sette stagioni di vincere puntualmente lo Scudetto, di sfidare le grandi d’Europa e di ingaggiare Cristiano Ronaldo, il miglior calciatore al mondo.

Difficile immaginare come un tempo incredibilmente lontano questa gloriosa squadra sia nata per volere di un pugno di amici, studenti folgorati da “quel nuovo sport venuto dall’Inghilterra” e per questo decisi a creare una squadra che nei primi anni di vita, come molti club in quei tempi pionieristici, avrebbe faticato non poco per sopravvivere.

Tutto sarebbe cambiato con lo Scudetto del 1925-1926, il primo con la famiglia Agnelli al comando e precursore del famoso “Quinquennio d’Oro” che dal 1930 al 1935 avrebbe visto i bianconeri conquistare 5 Scudetti, un risultato che avrebbe sancito la definitiva trasformazione della Juventus in un grande club, sempre più amato e tifato.

Di tutta questa storia Carlo Bigatto sarebbe stato protagonista e testimone oculare, primo vero e proprio simbolo di una squadra che avrebbe annoverato tra le sue fila straordinari campioni e ultima bandiera di un calcio pionieristico che, al suo ritiro, aveva ormai già da tempo lasciato spazio ai soldi, alle imprese, ai professionisti.

Nato a Balzola, nella provincia di Alessandria – e cresciuto dunque all’interno del calcisticamente famoso “quadrilatero piemontese” – nel 1895, il piccolo Carlo cresce insieme allo stesso gioco del calcio, destreggiandosi nel Piemonte al punto da guadagnarsi una chiamata da parte della Juventus, che diventerà la squadra della sua vita.

I primi anni sono tutt’altro che semplici: un infortunio lo blocca a lungo e ne condiziona le prestazioni, il ruolo di centravanti non sembra il più adatto. Scoppia la prima guerra mondiale e il pallone smette di rotolare: come tanti, come tutti, Bigatto deve partire per il fronte, dal quale tornerà vivo a differenza di molti altri, tra cui ad esempio Enrico Canfari, storico fondatore e presidente di una Juventus che, come tutte le altre squadre, riparte dopo il conflitto presentando notevoli cambiamenti.

Tra questi c’è il fatto che in attacco il reparto risulta più che coperto, ed è così che a 24 anni Bigatto è bravo nel riciclarsi come centrocampista, ruolo che ricoprirà con grandissime fortune entrando finalmente nel mito di quella che si appresta a diventare la “fidanzata d’Italia”.

Dopo anni di lenta crescita la Juventus centra finalmente lo Scudetto, vinto in precedenza in una sola occasione, nel campionato 1925-1926: lo fa superando il Bologna nella finale di Lega, penultimo atto prima dello scontato trionfo contro i campioni del Meridione, l’Alba Roma. Bigatto è l’anima e il capitano di una squadra che schiera campioni straordinari come Combi, Allemandi, Munerati, Vojak, Pastore, i magari Hirzer, detto “la Gazzella” per la sua velocità, e Violak, centromediano che nell’ultimo atto sostituirà mister Jeno Karoly, prematuramente scomparso.

C’è anche Rosetta, “Viri” Rosetta, difensore dalla classe cristallina che ha abbandonato la Pro Vercelli per vestire il bianconero in cambio di soldi, diventando così il primo professionista nella storia del calcio italiano e aprendo così la strada a tutti gli altri.

Negli anni che seguiranno il calcio assumerà una forma sempre più simile a quella che conosciamo: sdoganato il professionismo, i dilettanti spariranno letteralmente dal campo lasciando il posto alle nuove stelle, sempre più famose e sempre più ricche. In mezzo a queste, in un mondo così cambiato rispetto a quello che ha conosciuto da ragazzo, resisterà stoicamente Carlo Bigatto.

Sempre più capitano, sempre più simbolo, continuerà a mantenere il proprio posto in squadra macinando chilometri, buttandosi su ogni pallone, giostrando in ogni posizione del centrocampo con grande profitto, sempre indossando il caratteristico berretto “alato” griffato con i colori societari e trascinando la Juventus nella sua epoca d’oro.

È ancora in rosa nel campionato 1930-1931, quello che apre il ciclo di 5 Scudetti consecutivi, pur giocando una sola partita a causa dell’età ormai avanzata e di un logorio inevitabile dovuto in parte anche alle oltre 100 sigarette che si dice fumi abitualmente e per cui non verrà mai ripreso dal club, che del resto non può multarlo: non percepirà infatti mai nessuno stipendio dal club tanto amato, ultimo simbolo di quella libertà che i professionisti non potranno mai provare.

Professionista, sigarette a parte, lo sarà sempre nell’applicazione, nell’allenamento, nella capacità di farsi sempre trovare pronto, presente quando la battaglia infuria e il suo carisma, la sua grinta, sono qualità che servono più dei mezzi tecnici che comunque non gli fanno difetto e gli permetteranno anche di giocare 5 gare con l’Italia senza mai conoscere sconfitta.

Carlo Bigatto nel 1935.

Appesi gli scarpini al chiodo alla bella età di 36 anni, rimane alla Juventus come consigliere, si occupa della sezione bocciofila e poi torna al calcio nelle vesti di allenatore, sostituendo il grande Carlo Carcano durante il campionato 1934-1935, naturalmente vinto, prima di lasciare il posto in panchina proprio a Virginio Rosetta, compagno di mille battaglie e simbolo di quel professionismo così lontano dal suo modo di intendere il calcio e la vita.

Scompare nel settembre del 1942, l’Italia è nuovamente in guerra e il suo nome è ormai dimenticato dalla maggior parte degli appassionati. Le cronache parlano di una lunga malattia, forse dovuta alle migliaia di sigarette fumate in una vita breve – al momento della dipartita ha appena 47 anni – ma senza alcun dubbio straordinaria.

Carlo Bigatto è stato il primo vero simbolo della Juventus e l’ultimo grande eroe dell’unico calcio che può essere definito come “quello di una volta”, quello di chi prendeva a calci un pallone per il puro piacere di farlo e si legava a una squadra, a dei colori, esclusivamente per amore. Alla sua memoria il club ha intitolato, e non poteva essere diversamente, una delle cinquanta stelle presenti nello Stadium, teatro moderno di una squadra che divenne grande proprio grazie a questo campione unico e irripetibile.

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