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Libri: “Cavalli selvaggi” – 1979, il piombo non dorme mai. Fine di un decennio

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Pubblichiamo, come preannunciato (vedi video-intervista con l’autore qui), il secondo estratto del libro “Cavalli selvaggi” di Matteo Fontana, edito per Eclettica Edizioni. Il testo, tratto dall’omonimo capitolo, racconta del 1979 a Milano tra Beccalossi e Rivera che si è ritirato mentre la città attraversa un forte stato di tensione, tra Toni Negri e Giorgio Vale. Ringraziamo ancora l’autore e la casa editrice per averci dato la possibilità di pubblicare anche questo estratto in esclusiva per i lettori de Gli Eroi del Calcio.

Buona lettura.

Federico Baranello

1979, il piombo non dorme mai. Fine di un decennio

dal libro di Matteo Fontana “Cavalli selvaggi”

Il 1979 in Italia è stato un elenco di drammi e tragedie, ma anche di risposte. O, almeno, così sembra che sia, in quel momento. Il 23 febbraio, il processo di Catanzaro per la strage di Piazza Fontana porta a un verdetto: Franco Freda e Giovanni Ventura sono condannati in primo grado all’ergastolo come organizzatori dell’attentato. La stessa pena viene irrogata a Guido Giannettini, reclutato dal SID e chiamato, sotto copertura, Agente Zeta, considerato il tramite tra gli estremisti di Ordine Nuovo e i servizi segreti. Freda e Ventura, però, nel frattempo sono fuggiti: saranno arrestati in agosto, l’uno individuato in Costa Rica, l’altro in Argentina. Ad aprile, a Roma, un iscritto all’MSI, Claudio Minetti, già militante in Avanguardia Nazionale, entra nella sezione del PCI del quartiere di Torpignattara e accoltella Ciro Principessa, aderente alla FGCI, ammazzandolo. Le Brigate Rosse uccidono a Milano, a Roma e Genova. Prima Linea a Torino. I NAR continuano a sparare e maturano un avvicinamento con alcuni componenti di un altro gruppo neofascista, Terza Posizione. A fondarlo sono stati tre attivisti di ultradestra, Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Giuseppe Dimitri. È una forza che si colloca in equidistanza tra la NATO e il blocco sovietico e che marca la differenza dall’MSI, ritenuto sempre più vicino all’atlantismo e incline a scelte moderate. Quando nasce e comincia a radicarsi sul territorio, da Roma al Nord Italia, soprattutto nei quartieri popolari e nelle scuole, non è assimilabile ai NAR. Ne sono colonne portanti molti ragazzi della destra radicale: i fratelli Nanni e Marcello De Angelis, Massimo Taddeini e Andrea Insabato. Si consolida anche in Sicilia, attraverso l’adesione di un insegnante di lettere che ha un passato all’interno di Ordine Nuovo, Francesco Mangiameli. Il transito di settori della struttura all’area del terrorismo comincia proprio negli ultimi mesi del 1979 e porterà agli arresti di tre esponenti della formazione: con Dimitri, Roberto Nistri e Alessandro Montani. In un edificio da cui sono passati, in via Alessandria, a Roma, vengono reperite armi ed esplosivi. Di qui in poi degli aderenti a Terza Posizione inizieranno ad agganciarsi ai NAR. Il più spregiudicato e duro di loro è un diciassettenne, eritreo per parte di padre, soprannominato “il Drake”. Si chiama Giorgio Vale e la sua vita sarà una corsa folle che durerà poco. I camerati che sparano sono sempre di più, sempre più sanguinari, sempre più spietati, sempre meno guardinghi di fronte al rischio che per loro è una dipendenza quotidiana. Attirano ragazzi giovanissimi. Non soltanto Vale, ma anche Luigi Ciavardini, che già a sedici anni, da frequentatore delle sezioni romane dell’MSI, è stato arrestato per rapina. Ognuno di loro ha un’unica ossessione, ovvero armarsi e colpire.

Nell’ultrasinistra, invece, sono giorni di caos. Il 7 aprile scatta un’operazione di polizia che mette sotto attacco tutta l’area di Autonomia Operaia. Una retata che porta all’azzeramento di chiunque sia individuato come una possibile presenza sovversiva. Le leggi speciali introdotte in seguito al sequestro Moro hanno reso più strette le possibilità di diffondere materiali e pensieri ideologicizzati. Negli anni precedenti il fulcro dell’attività degli autonomi era diventata l’università di Padova, nelle cui aule diversi docenti, a cominciare da Toni Negri, professore di Dottrina dello Stato alla facoltà di Scienze Politiche, predicano la lotta alle istituzioni. Le dichiarazioni di Negri sono un incitamento allo scontro e al rovesciamento del sistema sociale esistente: “Immediatamente mi sento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna”, afferma. Le sue posizioni sono il riferimento per studenti che si tramutano in seguaci e che invadono le piazze, praticando atti di violenza che trovano una fitta eco sulle frequenze di un emittente, Radio Sherwood, diretta dal giornalista Emilio Vesce. La stampa parla di “cattivi maestri”, mentre la magistratura indaga e, in capo all’inchiesta, il giudice Pietro Calogero, sostituto procuratore di Padova, emette una lunga serie di ordini di cattura, colpendo Negri, Vesce e gli altri principali referenti dell’Autonomia, fino a Oreste Scalzone. È l’inizio di una stagione che condurrà a inquisire, arrestare e incarcerare migliaia di attivisti di sinistra, mentre il Partito Comunista, fin dai primi atti applicati da Calogero, condanna gli autonomi. Il giudice teorizza che ci sia una collusione tra tutti i segmenti che agiscono per la sovversione e che pone al vertice le Brigate Rosse, di cui Negri, inizialmente, è reputato come l’ideologo. La tesi di Calogero ruota attorno alla finalità che il magistrato, nei provvedimenti presi il 7 aprile 1979, indica come l’obiettivo cui mirano gli esponenti della sinistra extraparlamentare, che essi siano operativi, fiancheggiatori o soltanto simpatizzanti: l’insurrezione armata contro lo Stato.

Prova a innamorarsi, l’Italia del 1979. Prova a sognare sentimenti puri, romantici, delicatamente dolci. Quelli di cui parla Adriano Celentano, che riconquista i vertici delle classifiche di vendita con la sua nuova canzone, “Soli”: “È inutile chiamare/Non risponderà nessuno/Il telefono è volato fuori/Giù dal quarto piano/Era importante sai/ Pensare un poco a noi/Non stiamo insieme mai/Ora sì ora qui/Soli/La pelle come un vestito/Soli/Nel cuore guarda chi c’è/Io e te/Soli/Le briciole nel letto/Soli/Ma stretti un po’ di più/Solo io solo tu”[1]. Ed è anche un’Italia che ride al cinema con “Un sacco bello”, travolgente film con un attore comico che crea dei personaggi esilaranti, Carlo Verdone. Prova a divertirsi, l’Italia, e lo fa anche con il calcio, con il genio di quel ragazzo che l’Inter aveva ingaggiato dal Brescia nel 1978, Evaristo Beccalossi. È un destro naturale, ma da bambino stravedeva per Omar Sivori, portentoso mancino, e così, per imitarlo, durante le pause, a scuola, si esercitava a usare il sinistro, calciando la palla contro il muro. Quel piede diventa, per lui, come il pennello di un pittore astratto: disegna qualcosa che ritrae e immagina. Beccalossi è un visionario, un poeta che non compone versi in rima, ma distribuisce endecasillabi che si mescolano con ditirambi, sestine alternate a quaternari, sonetti che si accavallano a madrigali. Il Milan è senza Rivera, l’Inter ha Beccalossi: c’è la sembianza di una nemesi, in un passaggio che attraversa la Milano che scappa dal piombo per abbracciare le speranze ancora incerte degli anni ‘80. Gianni Brera incide il cambiamento nel soprannome che dà a Evaristo: “Driblossi”, lo chiama, per la maniacale dedizione alle serpentine, all’irridente giocata che supera l’avversario, ripetuta spesso oltre la necessità dettata dalla tattica. All’Inter l’aveva segnalato un osservatore, Mario Mereghetti, che a Beccalossi confiderà, poi, di essere stato colpito da un’azione in cui dopo aver dribblato cinque uomini era arrivato da solo davanti al portiere, calciando fuori. Proprio questa combinazione di smisurato talento e incontenibile sregolatezza conquistano la sua attenzione. Il trasferimento all’Inter aprirà un’era di umorali bellezze e assenze cosmiche. I suoi stessi compagni, consci di quanto Beccalossi fosse volubile in campo, prima delle partite lo guardavano e si chiedevano se quel giorno avrebbero giocato in dieci e in dodici, perché quando Evaristo aveva la luna dritta decideva da solo il destino di una gara: “Ci stiamo facendo il culo per te, vedi di inventarti qualcosa e di farci vincere”, gli dice spesso, sul campo, Gabriele Oriali, infaticabile mediano che con Giampiero Marini e Beppe Baresi è uno dei pretoriani che permettono a Beccalossi di giocare secondo la propensione dell’attimo, senza che la squadra ne sconti le incalcolabili pause. Anche Eugenio Bersellini, ruvido eppure paterno allenatore interista, tollera le sue abitudini per nulla da atleta: la sigaretta sempre accesa, il piacere per gli svaghi serali, l’idiosincrasia per i codici. Perché lui, il Becca, quando gli gira, non lo tiene nessuno. Nel 1979 inizia la seconda stagione in nerazzurro e fin dalle prime partite il suo estro è la catapulta che scaglia in alto l’Inter. La sua intesa con Alessandro Altobelli, che si sta consacrando come uno dei più forti attaccanti della Serie A, è quella di un duetto che sa andare a tempo qualsiasi sia la musica da suonare, dal jazz al swing, dal blues al rock. Menestrello dai molti strumenti, Beccalossi fa segnare caterve di gol ad Altobelli, senza mancare di farne pure lui. Alla terza giornata, a San Siro, arriva la Lazio. Becca sblocca la partita con un destro fiondato in porta appena all’ingresso dell’area. Quando Giordano pareggia, sulle tribune c’è qualche brontolio. L’Inter non vince lo scudetto dal 1971 e spesso, in quegli anni, ha giocato gare simili, all’apparenza in discesa e, all’improvviso, divenute complicate. Beccalossi, però, comincia a scrivere un’altra storia. Il suo marcatore non sa come fermarlo, così lo martella fino a prendere due ammonizioni in pochi minuti e a lasciare il campo. L’Inter, con un uomo in più, vince con un gol di Marini. Sarà il via a una marcia che si trasformerà in trionfo.

[1] “Soli”, testo e musica di Miki Del Prete, Cristiano Minellono e Toto Cutugno, Clan Celentano, 1979

Qui puoi leggere il primo estratto pubblicato il 5 gennaio u.s. dal titolo “Roma spara. La Lazio di Giordano”

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