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Ciccio Graziani si racconta: “Il gol è un’emozione meravigliosa”

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Ciccio Graziani e l’amore per il gol

Tra le pagine del Corriere della Sera, di martedì 18 ottobre, potete trovare un’interessantissima intervista a Ciccio Graziani: dal suo amore per il gol, al ricordo di Paolo Rossi e tanti altri aneddoti.

Ecco alcuni estratti.

[…]Agli inizi fu scartato perché troppo gracile.

“Non passai il provino con Roma, Lazio e Juve, ero così secco che mi facevi la radiografia con un accendino. Mi presero al Bettini Quadraro, zona Cinecittà, e dopo all’Arezzo. Nel frattempo ero cresciuto, forte e robusto. Ma papà non ha mai visto una mia partita, nessuna, nemmeno in Nazionale, gli veniva l’agitazione. Però quando segnavo pagava da bere agli amici dell’osteria”

Nel Torino, in coppia con Pulici, diventaste i Gemelli del Gol: 200 reti in 8 campionati (102 Paolo, 98 Francesco), lo scudetto nel 1976.

“Eh sì, ma senza gli assist straordinari di Claudio Sala non saremmo andati da nessuna parte. Pulici era il compagno ideale, eravamo complementari, in campo non ci parlavamo nemmeno, bastava uno sguardo d’intesa. <Ne fermi uno e ti segna quell’altro>, si disperavano gli avversari”

Com’è fare gol?

“Una felicità enorme, un emozione meravigliosa che ti scoppia nel cuore. Dura poco, sette, dieci secondi, ma sono i più belli della tua vita” […]

Una volta infilò i guantoni e giocò in porta.

“Coppa dei Campioni 1976-77, gara di ritor­no, Torino contro Borussia Monchengladbach, in trasferta. Minuto 71. Eravamo rimasti in otto, espulsi Caporale, Zaccarelli e pure il portiere Lu­ciano Castellini. Il mister Radice scelse me. <Cic­cio, vai tu in porta> La mantenni inviolata. Il pubblico di Dusseldorf alla fine tifava per noi, a ogni mia parata partiva l’applauso”

[…]Lisci sotto porta ne ha collezionati?

“Lisci veri e propri no, certo ho sbagliato qualche pallone a quattro metri dalla rete”

O da undici, come il rigore spedito sulla traversa in Roma-Liverpool del 1984.

“Me lo sogno ancora la notte”

Il “suo” Paolo Rossi.

“Paolo era gentile, solare, sempre con il sorri­so. Dopo l’Argentina lo vidi triste, solitario, a bordo piscina. <Che ti prende?. Non sto gio­cando bene, ho paura che il mister contro il Bra­sile mi lasci in panchina. “Stai tranquillo, vedrai che giochi”. Giocò e segnò tre gol. Dopo, negli spogliatoi, mi abbracciò in silenzio e io quell’ab­braccio non lo dimenticherò mai». […]

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