Arte & Società

Cuoio e sangue – Tra il sogno e i “Vuelos de la Muerte”

GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera) –

 Argentina.

200 km. Tanto dista l’insenatura atlantica di Santa Teresita da Buenos Aires.

Là, dove le onde dell’oceano incontrano le rocce e la sabbia di una terra tanto bella quanto martoriata, il mare ha restituito, in tempi diversi, alcune spoglie di quei poveri sventurati conosciuti semplicemente come “desaparecidos”.
Il mare, già, molto più pietoso di chi, come il regime Videla, dal 1976 al 1983, ha cercato invece di occultare, in tombe di acqua, tutti coloro che erano semplicemente considerati “problemi”.

L’Argentina di Videla, la terra del tango, di Evita Peron e di Diego Armando Maradona, si trasforma in un immenso campo di concentramento dove si scompare nelle ombre della notte.

Donne, uomini, anziani e giovani, dalle suore e professionisti alle madri di Plaza de Mayo , senza distinzione di classe sociale e età.
Persone prima imprigionate, poi torturate, stuprate, sottoposte a indicibili sofferenze.
Infine narcotizzate, non in maniera totale, spogliate e trasportate su aerei.
Dagli aeroporti argentini partivano, per quel breve tratto di 200 km, questi carichi umani.
Arrivavano, in breve tempo, sulla superficie dell’Atlantico, e lì, ufficiali e soldati comuni, assistiti da cappellani “pietosi” e compiacenti, scaricavano il loro carico di corpi umani, gettati dall’alto durante il volo, a volte incoscienti, a volte (spesso, secondo le testimonianze) coscienti.
Magari con una coltellata al ventre, così da attirare la curiosità degli squali.
L’ Atlantico come un nuovo, immenso Colosseo dove scaraventare quei sventurati così come i Romani usarono fare per i primi cristiani nelle arene in pasto alle belve.
Ma il mare dell’Atlantico è più pietoso della sabbia del Colosseo.
E ogni tanto restituisce qualche corpo a qualche affranto parente superstite, che il suo personalissimo oceano l’ha creato con le lacrime versate.

200 km. Tanto dista l’insenatura atlantica di Santa Teresita da Buenos Aires.
Troppi per poter pensare che quel 25 giugno del 1978, con un paese sospinto nel sogno calcistico di una vita intera, voluto e pianificato da un regime sanguinario come pochi, le grida di gioia dei tifosi presenti allo stadio Monumental di Buenos Aires e di un paese intero, anestetizzato per un mese con l’oppio calcio, possano essere arrivate sino a lì.

Anzi, quelle grida di gioia coprivano le urla di dolore, i pianti di chi era imprigionato, torturato e ucciso nelle carceri che erano a poche centinaia di metri dagli stadi.

Proprio come l’Esma, l’officina meccanica che distava appena seicento metri dallo stadio Monumental di Buenos Aires.

C’è anche il lato grottesco: durante i 90 minuti delle partite dell’Argentina torture e uccisioni venivano sospese, le radiocronache trasmesse con l’altoparlante ai prigionieri, per poi riprendere come se niente fosse con la picana (il pungolo elettrico usato dai gauchos per controllare il bestiame) a fare da mattatrice più dei gol di Kempes, del gesto raffinato di un Ardiles, del tackle del “caudillo” Passarella.

Che dannato intreccio, cuoio e sangue, la gioia per un goal e il pianto di una madre.

Quelle grida non arrivano a Passerella, il “caudillo” che alza la coppa ricevendola dal dittatore Videla, non arrivano a un giovanissimo Diego Armando Maradona che mai perdonerà Menotti («vinciamo per allievare il dolore del popolo», hai visto mai…) di non averlo convocato nel mondiale della vergogna.

Pochi quelle urla le hanno ascoltate, come Jorge “El Lobo” Carrascosa, capitano della “albiceleste”, colui che avrebbe dovuto alzare quella coppa di sangue e che invece rinuncia ai mondiali giocati in casa «perché quello che stava accadendo mi faceva stare male. Non avrei potuto giocare e divertirmi, non sarebbe stato coerente».

Troppi, 200 km, anche per pensare che le grida di orrore di quelle persone gettate nel vuoto, possano essere tornate, qualche volta, come un eco di disperazione, indietro a Buenos Aires e nel resto d’Argentina, dai loro cari che non hanno mai smesso di cercarli, di disperarsi per la loro scomparsa.
Le urla sono fatte ossa frantumate, corpi spezzati nell’urto con l’acqua dal 1977 in poi e cadaveri seppelliti frettolosamente.
Le urla sono diventate udibili quando, nel 1995 , l’ex repressore dell’ ESMA (uno dei centri dell’orrore), Adolfo Scilingo, raccontò in modo particolareggiato ad un giornalista la metodologia di sterminio.
Le urla allora ebbero giustizia nei nomi delle vittime e dei carnefici.
Le urla furono conosciute come appartenenti ai 5.000 sfortunati vittime dei “vuelos de la muerte”, i voli della morte.
Una stramaledetta storia maledetta di cuoio e sangue.
Tutta umana.

Antonio Mattera

Nato a Roma, classe ’68, residente a Ischia. Diplomato Capitano di Lungo Corso, ex sergente Radiotelegrafista M.M. Collaboratore del sito www.acam.it, con pubblicazioni su riviste del settore (Archeologia e Misteri). Autore del sito www.pensolibero.it, Web Writer. Autore di racconti brevi pubblicati in varie antologie come “Dritto al Cuore”, “Lasciami Andare”, “L'Altro”, “Brevi Autori” e “Il Bene o il Male”. Autore dei romanzi “Nel bene, nel male”, “ Genocidio civile” e “Storie di uomini. E di calcio”.

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Antonio Mattera

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