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Didí, Vavá, Pelé: la prima filastrocca imparata

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Didí, Vavá, Pelé: la prima filastrocca imparata

Per quelli della mia generazione la prima filastrocca imparata a memoria non era San Martino oppure una sul Natale ma “Didí, Vavá, Pelé ” che sentivi spesso ripetuta dai nostri genitori come un jingle calcistico che poi dal campo si trasformava in note musicali con il Quartetto Cetra. Non era uno scioglilingua tipo capra e panca, e nemmeno un inno tipo Padre Nostro. Aveva, però, la sua solennità, accidentaccio. Era la Cassazione calcistica, anche per chi non li aveva mai visti giocare e al prato verde dell’Azteca, ultima grande recita di Pelé, doveva per forza di cose preferire uno scalcinato spiazzo di un rione oppure qualche polveroso campetto di periferia.
Imparavamo che il suo nome intero era Edson Arantes do Nascimento con arrabbiatura allegata dei nostri insegnanti che non si spiegavano come non riuscissimo a ricordarci i nomi dei sette re di Roma (altra filastrocca, ma se Roma fosse stata edificata sullo spazio di un campo di calcio invece che su quello di una pelle di bovino, te li avrei voluti vedere contro Didi, Vavà e Pelé).
Alzi la mano chi di noi, allora pischelli pivelli polverosi (sempre con la P di Pelé) ma gioiosi (se non con i suoi piedi, ma col suo eterno sorriso), non si sia incavolato contro il solito compagno di squadra reo di non “passare” il pallone: ” ma chi ti credi di essere? Pelé?” Col passare degli anni, quel jingle, che sapeva di magia, noi lo trasformammo in “Maradona è meglio di Pelé” che è il comparativo assoluto in campo calcistico e un palindromo che non scade di qualità se letto al contrario. Sempre lui, però, c’era in mezzo. Così ci facemmo bastare qualche scampolo della sua classe, ormai 46enne, alla Coppa Pelé del 1987 per over 35. D’altronde, come altro volevi chiamarla?

Calcio, musica e cinema

Nel mezzo il cinema, con “Fuga per la vittoria”e, tra la mascella quadrata di Stallone e la “bicicletta” di Ardiles, aspetti due ore per vedere un fantastico goal in “rovesciata”. Guarda caso, di Pelé. E quelli della mia età che sostengono l’esame di maturità o giù di lì con le note di “Giulio Cesare” di Venditti del 1986? “Era l’anno dei mondiali quelli del ’66, la regina d’Inghilterra era Pelé”. Sempre lui. Nel mezzo della nostra avventura, di vita e calcistica, ci sono stati Best, Rivera, Cruijff, Maradona , Platini, Zico, Zidane, Baggio, Totti, Messi, Cr7, Neymar…
No, va bene fermiamoci a Totti e tiriamo una linea finché il calcio era una cosa seria fatta anche di botte, sangue e sudore e non un gioco per educande, dove la grandezza dell’asso calcistico si rispecchiava e si esaltava nel valore del suo antagonista difensivo e nella loro singolar tenzone dura, arcigna, spesso non leale: Moore, Beckenbauer, Passarella, Krol, Scirea, Baresi, Aldair, Thuram, Nesta, Cannavaro. Comunque, nonostante una pletora di campioni, campionissimi e presunti tali, il mito era sempre lui, Pelé. Era al contempo il mago, la sua bacchetta e la magia che ne scaturiva di un mondo meraviglioso, quello del calcio. Ha attraversato generazioni nell’immaginario collettivo, rimanendo però la stella polare.
Forse avvicinato, per alcuni superato, ma da nessuno eguagliato perché le parole Pelé e calcio sono indivisibili. Ecco perché, me lo si lasci dire, oggi con la morte di Pelé si è definitivamente chiuso il ‘900, che aveva nella Regina Elisabetta e in Pelé gli ultimi due simboli, come cantati in “Giulio Cesare” da Venditti. E con Pelé va via il calcio, quello serio e magico capace di regalare sogni anche attraverso una radiolina e una filastrocca: “Didí, Vavà, Pelé”.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera)

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