La Penna degli Altri

Harry Goodley: il pioniere dimenticato del calcio italiano

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Abbiamo trovato davvero interessante questo articolo, pubblicato alcuni giorni fa sul sito calcioengland.com (Musings from the world of Italian football – classic and contemporary). L’articolo è il frutto delle ricerche di Roger Stirland e Victor Vegan, quest’ultimo nostra vecchia conoscenza nonchè amico e collaboratore de GliEroidelCalcio.com, con la collaborazione di Robert Nieri. Abbiamo deciso di proporvelo dopo averlo tradotto dall’inglese. Buona lettura…

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Questa è la storia di uno dei pionieri dimenticati del calcio italiano. Un uomo di origini umili di Nottingham, in Inghilterra. Il suo lavoro lo ha portato nel nord Italia più di un secolo fa, dove ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo del gioco nazionale italiano, il calcio appunto. Anche se la narrazione può suonare familiare, il nome probabilmente non lo sarà. Questa è la storia di Harry Goodley.

C’era una volta nelle East Midlands

Henry “Harry” Goodley è nato il 30 marzo 1878, in una famiglia della classe operaia del centro di Nottingham. Harry era cresciuto, insieme ai suoi tre fratelli, in una modesta casa a schiera al 55 di Gawthorne Street, Basford. Il lavoro di suo padre come ingegnere meccanico nell’industria del merletto offriva alla famiglia una certa agiatezza, nonostante ciò anche sua moglie andava a lavorare nelle fabbriche di merletti.

La produzione di merletti era un grande business a Nottingham in quel periodo, rappresentava il cuore pulsante della città. C’erano centinaia di produttori e buona parte degli abitanti erano impiegati nell’industria. Goodley Senior lavorava per Birkin’s, un produttore di successo i cui interessi viaggiavano dall’Europa all’America. Harry aveva visto in prima persona le opportunità offerte a un uomo dotato delle competenze richieste da questa nuova alba industriale. Il lavoro del padre lo aveva portato in Francia alla fine del XIX secolo, dove era nato il fratello minore di Harry.

Harry capì che quel lavoro poteva essere il suo passaporto per soddisfare un senso di avventura profondamente radicato in lui. Dopo aver lasciato la scuola, seguì le orme del padre come apprendista ingegnere nella Birkin. La sua scelta fu ben ripagata. All’età di 17 anni, Harry era in viaggio verso l’America per installare macchinari per la produzione di merletti a Boston, Massachusetts. All’età di vent’anni, Harry stava costruendo la sua strada nella vita, lasciando la sua famiglia e la sua città natale per iniziare a lavorare come montatore di motori a Sheffield.

Tuttavia, questi sporadici viaggi all’estero avevano solo intensificato l’appetito del giovane Harry per l’esplorazione e l’avventura. Nel 1903, all’età di 25 anni, accetta un lavoro per l’imprenditore tessile svizzero Alfred Dick a Torino. Con una conoscenza limitata della lingua e della cultura italiana, fu una decisione coraggiosa, anche se non priva di precedenti.

La città natale di Goodley, Nottingham, e Torino avevano stretto forti legami come conseguenza della loro comune esperienza nella produzione tessile. Un decennio prima, Herbert Kilpin, l’uomo che fondò l’AC Milan, aveva percorso la stessa strada. La casa d’infanzia di Kilpin in Mansfield Road era a un chilometro e mezzo da Gawthorne Street e, sebbene non contemporanei, erano membri dello stesso circolo professionale e avevano calciato un pallone sullo stesso terreno Forest Recreation Ground.

La casa d’infanzia di Goodley (in alto), l’ultima casa (27 Central Ave) e il luogo di lavoro (Victoria Lace Works)

L’approdo allo Juventus Football Club

Mentre Goodley faceva le valigie per affrontare il suo viaggio in Italia, ricevette una richiesta inaspettata da Torino. Un altro nativo di Nottingham facente parte anche lui del mondo del tessile, Tom Gordon Savage, era in procinto di acquistare un nuovo set di magliette da calcio per sostituire i capi rosa e neri sbiaditi indossati dalla sua squadra, la Juventus Football Club.

Savage era stato un calciatore affermato, che aveva avuto successo con il Torino FCC, l’Internazionale Torino e infine la Juventus, per la quale divenne il primo giocatore straniero nel Campionato Italiano nel 1901. Savage ormai impegnato con la Juventus, si avvalse dei suoi contatti professionali a Nottingham per procurarsi un kit di ricambio. La leggenda vuole che abbia cercato delle maglie rosse, ma si sia accontentato dell’unica alternativa disponibile: le strisce bianche e nere del Notts County.

Il nuovo capo di Goodley, Alfred Dick, non era solo un industriale di successo, ma anche un manager della Juventus. Era noto per intrecciare gli affari con il piacere, come dimostra il flusso costante di uomini dal suo stabilimento al campo di calcio. A Goodley, in viaggio da Nottingham a Torino, gli fu chiesto di trasportare il nuovo kit in Italia, il primo kit bianco e nero della Juventus, e così facendo legò il suo nome alla nascita dei bianconeri.

Un fedele servitore  

Da giovane, Goodley era stato un giocatore di calcio amatoriale entusiasta con i Basford Wanderers e i Notts Rangers nei campionati locali. Quindi, una volta arrivato a Torino, quale modo migliore per inserirsi in una nuova città se non quello di entrare a far parte della società calcistica del suo datore di lavoro? Nonostante l’evidente fervore di Harry per il gioco e gli standard di gioco un po’ più bassi, la sua carriera a Torino fu di breve durata.  Infatti, la sua unica apparizione arrivò subito dopo il suo arrivo dall’Inghilterra, in una partita amichevole contro il Club Athletique di Ginevra nell’aprile del 1903. Il giorno seguente la Juventus disputava la finale del Campionato Italiano e non venne considerato all’altezza.

Goodley rimase imperterrito. Questa battuta d’arresto non avrebbe soffocato la sua passione per il gioco e continuò ad offrire i suoi servizi alla Juventus. La gestione della società di calcio in quell’epoca si basava sulle capacità, l’impegno e la flessibilità di un gruppo relativamente piccolo di persone per far funzionare il tutto. Lui era pronto ad aiutare il club in ogni modo possibile. Il calcio italiano era ancora agli inizi in questo periodo. C’erano pochi spettatori, un piccolo numero di persone giocava regolarmente e un numero ancor minore aveva una piena conoscenza delle regole. Per questo motivo, ogni club era tenuto a fornire un arbitro affiliato, di solito un membro del club o un giocatore in pensione, che officiava altre partite, e a volte quelle della propria squadra. Questo era il ruolo ideale per Goodley. Conosceva le regole a menadito e il suo atteggiamento austero era perfetto. Prendere il fischietto gli permetteva di assecondare il suo interesse per il gioco, ma anche di migliorare la sua posizione all’interno del club. 

Goodley non vestirà più la maglia della Juventus ma, avendo allenato in modo informale i giocatori più giovani e dimostrando una naturale attitudine alla strategia di gioco, Goodley fu formalmente invitato ad allenare la squadra senior nel 1907-08. In questa veste, guidò la Juventus alla vittoria del Campionato Federale – un campionato presumibilmente inferiore che permetteva la partecipazione di giocatori stranieri – sconfiggendo in finale l’Andrea Doria.

L’inglese aveva anche previsto i vantaggi evolutivi di contrapporre il suo club a un livello di avversari più elevato. Goodley era stato determinante nell’incoraggiare la Federazione Italiana a invitare le squadre straniere in tournée in Italia. Uno di questi esempi, in cui il Goodley è stato ritenuto fondamentale, è stato il Trofeo Sir Thomas Lipton. Si trattava di un precursore della competizione calcistica paneuropea, che vedeva squadre inglesi, svizzere e tedesche recarsi a Torino per gareggiare contro il suo club.

Harry Goodley presenzia la Sir Thomas Lipton Cup – Si ringrazia Roger Stirland per la foto

Attività e ruolo in Federazione

Goodley si era saldamente affermato come figura chiave non solo alla Juventus ma anche nel calcio italiano in senso lato. Nella sua attività di arbitro in tutto il nord Italia, si era fatto conoscere per la sua compostezza e la sua integrità, sia in campo che fuori. Mentre la Nazionale italiana si preparava per il suo primo incontro internazionale del maggio 1910 contro la Francia, si rivolse al Goodley per arbitrare la gara.

La sua nazionalità lo rese una scelta più neutrale rispetto a quella di un ufficiale italiano. In effetti, Goodley prese molto sul serio la sua imparzialità e, desideroso di allontanare ogni mormorio di favoritismi da parte dei francesi, insistette nel voler pagare un panino e una birra che i padroni di casa gli avevano offerto. L’Italia scese in campo all’Arena Civica con la divisa bianca, e si aggiudicò l’incontro per 6-2. La storia è stata fatta e Goodley, letteralmente, è stato al centro di tutto. 

Gli arbitri erano visti come figure di grande importanza in quei primi tempi. Il ruolo quasi da nomade che ricoprivano nei viaggi tra le città, nel dirigere le varie gare, dava loro anche una prospettiva unica sugli standard di gioco e sui giocatori stessi. Oggi non sembra comprensibile una simile modalità, e cioè che la Federazione possa rivolgersi a un gesto gruppo di arbitri esperti per prendere le decisioni di selezione della Nazionale. Anche in vista delle Olimpiadi del 1912 e di nuovo nel 1913, Goodley fu invitato a far parte del comitato di selezione tecnica della nazionale italiana.

L’imparzialità di Goodley venne messa a dura prova quando gli fu chiesto di arbitrare la nazionale un’ultima volta. L’Italia affrontava il Belgio nella cerimonia di apertura dello Stadio di Torino Piazza D’Armi nel maggio 1913. Sotto lo sguardo attento dei dignitari, l’Italia era sotto pressione per registrare la sua prima vittoria in casa. La scelta di Goodley come arbitro nella sua città natale fu presa per reale merito, ma fu comunque una decisione controversa, visto il suo continuo ruolo nel comitato di selezione della Nazionale.

In una gara molto combattuta, l’Italia riuscì a prevalere per un gol a zero. Mentre gli spettatori e i giocatori italiani si rallegravano intorno a lui, Goodley rimase impassibile, apparentemente indifferente alla grandezza di quel momento storico nella sua città adottiva. All’uscita dal campo, Goodley si rivolse ai colleghi della Juventus e disse: “Sono contento di aver concluso in questo modo la mia permanenza a Torino. Ora posso tornare soddisfatto nella mia patria”.

La casa di Goodley a Torino, durante Italia – Francia (1912), la Juventus sfoggia la sua nuova divisa a righe (1903) – Si ringrazia Roger Stirland per le foto

Un brusco addio

Fu uno shock per molti alla Juventus il fatto di perdere questo fedele servitore. Era stato un torinese per un decennio e qui aveva messo radici. Aveva conosciuto e sposato la sua fidanzata italiana, Erina Parigi, poco dopo essere arrivato dall’Inghilterra e insieme avevano creato la loro famiglia. Prima vennero le figlie Evelina (1905) e Ida (1907), poi ci fu un figlio, Carlo, nel 1912. Torino era la sua casa, ma il travolgente spirito d’avventura di Goodley era tornato a chiamarlo.

Un gruppo di bianconeri decise di onorare la partenza del loro amico regalandogli un orologio d’oro come riconoscimento per i suoi servizi al club e raccolsero i contributi dai soci. Nel frattempo, anche i colleghi del quotidiano locale Gazzetta del Popolo, per il quale Goodley aveva redatto una rubrica sportiva regolare, si offrirono di contribuire. 

Tuttavia, Goodley lasciò Torino in fretta e furia, prima che i suoi colleghi avessero l’opportunità di consegnargli l’orologio. Il club cercò invano di contattarlo attraverso amici, parenti, ma i loro sforzi non portarono a nulla. Scoppiò poi la Grande Guerra nel 1914, che mise tutti quegli sforzi in attesa. Naturalmente, il destino del loro amico non fu mai lontano dai loro pensieri.

Nel 1917 arrivò la notizia che tutti temevano. A Torino giunsero notizie non confermate che Harry Goodley era morto in prima linea in Francia. Tutti rimasero comprensibilmente sconvolti, soprattutto perché non avevano mai avuto la possibilità di dirsi addio. I suoi amici attaccarono un biglietto da visita all’orologio con la scritta “Destinato a Mister Goodley, forse morto” e lo affidarono ai colleghi degli uffici della Gazzetta del Popolo, dove fu messo in un cassetto apparentemente dimenticato.

Il più inaspettato dei ritorni

Passarono diciassette anni e il ricordo di Goodley a Torino aveva cominciato a svanire prima che la sua storia prendesse la piega più bella. Un giorno, nel 1930, un signore di mezza età arriva senza preavviso alla sede della Juventus. Aveva uno sguardo distinto, parlava un buon italiano, ma con un accento straniero. Si presentò come Harry Goodley. Harry Goodley!

Un’ondata di eccitazione si diffuse nel club e ben presto si sparse la voce tra i suoi ex amici che era tornato. Naturalmente, la sua inaspettata ricomparsa fu accompagnata da un fiume di domande sugli anni trascorsi. Perché lasciò Torino così bruscamente? E le storie della Francia? Come stavano Erina e i bambini?

La sua destinazione originaria era stata Pietrogrado (San Pietroburgo) in Russia per affari. Ma il suo arrivo lì coincise con i primi eventi della Rivoluzione Russa. Quando la monarchia russa cadde, Goodley rimase intrappolato nel paese, impiegando un po’ di tempo prima di poter tornare in Inghilterra. Poco dopo lo scoppio della guerra venne chiamato in servizio in Francia. Mentre Goodley raccontava stoicamente la sua storia, qualcuno si ricordò improvvisamente dell’orologio. Si precipitarono negli uffici del giornale dove, dopo una frenetica ricerca, lo trovarono, nel cassetto dove era stato lasciato più di dieci anni prima. L’orologio fu finalmente consegnato a Goodley… a quel punto la sua caratteristica espressione poco emotiva si incrinò. I suoi amici non l’avevano mai visto così. Goodley confessò: “Quest’orologio mi ricorda i giorni più belli della mia vita”. 

Con questa chiusura tardiva del suo periodo alla Juventus, finisce la storia di uno dei pionieri dimenticati del calcio. Dopo la sua breve visita a Torino, Goodley fece ritorno a Nottingham per dedicarsi al suo lavoro. Insieme al figlio fondò la Goodley Electric Jacquard Company, società che brevettava macchine per la produzione di merletti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, operando proprio dalla stessa Victoria Works di Nottingham, dove ebbe inizio il suo apprendistato tanti anni prima.

L’atto finale

Nel gennaio 1951 apparve su La Stampa Sportiva di Torino un trafiletto che annunciava la scomparsa di Harry Goodley, all’età di 72 anni. Nonostante il ruolo decisivo che Harry aveva avuto nella costruzione di una delle grandi istituzioni calcistiche mondiali, morì in un relativo anonimato. Vide i suoi ultimi giorni con la sua Erina, al 27 di Central Avenue a Nottingham, un modesto bungalow situato a poche centinaia di metri dalla sua casa d’infanzia.

Grazie mille a Roger Stirland e Victor Vegan per aver condiviso le loro ricerche e a Robert Nieri per il suo incoraggiamento.

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