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Libri: “Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale”. La nascita della Federazione Italiana del Football. I primi campionati

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GLIEROIDELCALCIO.COM – Per la rubrica “Libri”, la scorsa settimana, abbiamo raggiunto e intervistato un amico de GliEroidelCalcioMauro Grimaldi, Consigliere Delegato della Federcalcio Servizi, scrittore e autore del libro “Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale – Uomini, Fatti, aneddoti (1850-1949)”, edito da Lab DFG (Qui puoi trovare l’intervista)

L’opera è un percorso che si articola nel periodo più drammatico della nostra storia, attraversato da due guerre mondiali, dal fascismo alla caduta della Monarchia fino alla nuova Italia repubblicana.

Nell’appuntamento odierno vi proponiamo un estratto relativo alla nascita della Federazione e all’organizzazione dei primi campionati.

Ringraziamo ancora Mauro Grimaldi e la Lab DFG per averci concesso questa possibilità.

Buona lettura

Il Team de GliEroidelCalcio.com

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La nascita della Federazione Italiana del Football. I primi campionati

“La gabbia costruita dalla Federazione Ginnastica attorno al football ben presto iniziò a sgretolarsi di fronte all’insofferenza da parte di alcuni appassionati che iniziarono a ragionare sulla costituzione di un organismo autonomo. Il 6 settembre 1896, anche se in una forma sperimentale, si cercò di dare vita a una prima forma associativa con l’obiettivo di coagulare attorno a sé le diverse realtà del football, ma i tempi non erano ancora maturi. Siamo ancora molto lontani dal coinvolgimento delle masse che rispetto al football avevano ancora un atteggiamento più di curiosità che d’interesse. Il fatto che non potesse ancora essere considerato uno sport popolare è confermato da un articolo apparso sulla Gazzetta dello Sport – allora di colore verde chiaro – che il 15 marzo del 1897 pubblicò una lista dei vari sport ordinati per importanza dove il calcio si collocava solo al quindicesimo posto. Prima c’erano il ciclismo, l’ippica, la scherma, la ginnastica, la caccia, il tiro a segno e al volo, l’alpinismo, le corse a piedi e così via. Eppure, qualcosa stava cambiando e quella di istituzionalizzare il football moderno al pari delle altre discipline, per quanto prematura potesse essere, fu un’intuizione vincente che rappresenterà il vero volano della diffusione del calcio in Italia.

Una prima genesi di questo progetto era maturata nel gennaio del 1898 in occasione di un triangolare tra Genoa, Alessandria e Torino, organizzato in contrapposizione alla consuetudine che voleva che il football fosse organizzato da società di ginnastica e si giocasse nei mesi primaverili ed estivi. Il torneo, in realtà, era nato per favorire un incontro tra i dirigenti delle poche società “pure” esistenti con l’obiettivo di creare un ente che coordinasse l’attività dei club che praticavano il football. Nei mesi che seguirono, gli incontri si fecero più intensi fino alla nascita, nel marzo del 1898, della Federazione Italiana del Football.

Molte fonti storiografiche attribuiscono la prima Presidenza della Fif al professor Enrico D’Ovidio, accademico e studioso di fama internazionale allora vicepresidente della Reale Ginnastica Torino, una delle prime società che aderirono alla neonata Federazione, che ricoprì la carica per non più di undici giorni, tra il 15 e il 26 marzo. Sui motivi che portarono questo illustre studioso ad accettare, seppure temporaneamente questo ruolo, si può ipotizzare il fatto che la sua figura, molto conosciuta negli ambienti torinesi e non solo, potesse in qualche modo attirare l’attenzione verso questo nuovo gioco. È più probabile che a convincerlo ad assumere questo ruolo siano state le pressioni del suo amico e allievo, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, che D’Ovidio aveva preparato per gli esami di matematica all’Accademia Navale. Il Duca degli Abruzzi, infatti, fu uno dei più autorevoli promotori del football in Italia e lo troviamo nei primi organi dirigenziali della Federazione. L’esperienza di D’Ovidio, come accennato, durò pochissimo e al suo posto fu eletto Mario Vicary, un ingegnere non legato ad alcuna associazione sportiva, assessore ai lavori pubblici nel Comune di Torino, che tenne la presidenza fino al 1905.

Il primo segretario fu Adolf Jourdan, un commerciante inglese di abbigliamento, appassionato di calcio, da molti anni residente a Torino, che assumerà anche il ruolo di direttore di gara nei primi campionati, il quale inizialmente ospitò la sede della Fif nel suo negozio, Old England, a Piazza Castello. Alla Federazione aderirono, da principio, sette società, ma di fatto solo quattro, di cui tre piemontesi – l’Fc Torino, l’Internazionale di Torino, la Società Reale Ginnastica di Torino e il Genoa – daranno vita a una prima attività agonistica. Il Genoa, convenzionalmente, può essere definita la prima associazione a praticare il football moderno in Italia in una forma costituita, cioè nell’ambito di una vera e propria struttura societaria. Convenzionalmente perché è quella di cui resta una traccia documentale della sua costituzione. Sul punto, almeno storicamente, qualche riflessione in più va fatta.

Nel 1887 Edoardo Bosio aveva creato un primo sodalizio che dalla fusione con un’altra società in cui militavano alcuni giovani dell’aristocrazia torinese diede origine all’Internazionale Football Club – da non confondere con la società milanese – da cui nasceva, nel 1894, una società Torinese, presieduta dal Duca degli Abruzzi che darà vita nel tempo, a seguito di un’altra serie di fusioni che è inutile ricostruire, al Football Club Torino. In ogni caso, tornando al Genoa, va detto che la società inizialmente era formata esclusivamente da cittadini inglesi. In realtà, la sezione del football era nata il 7 settembre 1893, da una costola del Genoa Cricket and Athletic Club, che solo un anno dopo la sua costituzione aveva incluso nella propria ragione sociale il football. L’ambiente in cui nacque il Genoa è dei più suggestivi, il Consolato britannico di via Palestro al civico 10. Proprio il Console, Charles Alfred Payton divenne il primo presidente onorario, mentre Charles de Grave Sells fu eletto presidente operativo con Jonathan Summerhill suo vice e H.M. Sandy nelle funzioni di segretario e cassiere. Insomma, l’imprinting britannico del nostro calcio è fuori discussione anche se, a partire dal 1898 si assiste alla presenza di molti svizzeri. Questi flussi stranieri derivavano dal fatto che a Genova, a cavallo tra i due secoli, c’era la Borsa più importante d’Italia assieme a Milano per volumi e scambi di titoli ed era sede di importanti banche tra cui il Credito Italiano. Va aggiunto che nella prima fase industriale la città era ricca di industrie per la lavorazione e la trasformazione del cotone, il che aveva influito moltissimo sull’espansione del porto di Genova. Il fermento e gli interessi attorno a Genova, quindi, erano enormi e attraevano importanti investitori stranieri. Proprio il porto, per questi continui scambi commerciali con l’Inghilterra, divenne il luogo privilegiato delle prime partitelle improvvisate sui moli con i marinai della marina britannica. Solo successivamente i footballeurs genovesi avviarono i contatti con le società sportive piemontesi. Il primo incontro che si ricordi, di fronte a duecentododici spettatori, avvenne il 6 gennaio del 1898, sul campo della pista velocipedistica di Ponte Carrega, nel quartiere di Marassi, contro il Fbc Torinese. Per la cronaca, la partita, arbitrata dal pastore protestante R.D. Douglas, terminò 1 a 0 per gli ospiti, con rete di Savage. Uno stralcio della cronaca di questa partita la troviamo sul Caffaro, un foglio che si stampava verso la fine del xix secolo, che testimonia l’impaccio dei primi cronisti nel descrivere questo sport: «Il giuoco piacque assai e gli spettatori presero vivissima parte a quel palleggiamento in cui è tutta ginnastica del corpo e per cui è d’uopo possedere ottimi polmoni e gambe degne di un Bargossi», che all’epoca era un famoso maratoneta detto “l’uomo locomotiva”.

Il resoconto finanziario di quella partita è una rara testimonianza dei primi modelli organizzativi di incontri di calcio. Tra le spese appare quella di un fischietto, costato 2 lire e 50, che evidenzia un primo passaggio importante che supera le conduzioni di gara in uso fino ad allora, basate su urla e gesti. L’ingresso fu stabilito in una lira, meno i soci, per i quali il corrispettivo era ridotto della metà. L’incasso complessivo fu di 280,50 lire contro 179,05 lire di uscite. Il bilancio registrò, quindi, un attivo di 101,45 lire. Alcune voci, relative alle spese, dimostrano come le leggi statali prestassero già attenzione a questo tipo di manifestazioni: 8 lire furono spese per “tassa spettacoli” e 7 lire e 20 centesimi per il “permesso in carta bollata”. Anche il “servizio di polizia” con 5 lire, entrava a far parte dei costi.”

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