Storie di Calcio

Maradona, Platini, Baresi e la sublimazione 

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 Maradona, Platini, Baresi e la sublimazione

“La vanità è decisamente il mio peccato preferito. Kevin, è elementare. La vanità è l’oppiaceo più naturale.” Per sublimazione, in psicologia, si intende un meccanismo per spostare una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta non sessuale o non aggressiva. In chimica un processo di sublimazione è il passaggio di stato di un corpo dallo stato solido a quello aeriforme, senza passare attraverso lo stato liquido. Infine, secondo i dettami sacri della grammatica italiana, la sublimazione è un sostantivo femmine per esprimere elevazione soprattutto in senso spirituale o morale.

Diverse sono le attività e le rappresentazioni umane per raggiungere uno stato di elevazione spirituale o morale. Alzi la mano chi – immaginando di essere ancora uno studente tra i banchi di scuola – non ha mai sublimato durante un’impresa sportiva del ciclista, romagnolo, Marco Pantani?

“Scatto di Pantani!”. È stato il grido di battaglia per una generazione di provetti ciclisti tra gli anni Novanta e quelli Duemila. Sul passo del Mortirolo, ben 1.852 metri sul livello del mare, con uno strappo poderoso un indomito Pirata – in attacco sistematicamente sui pedali per toccare il cielo con un dito – lasciava tutti in fondo alla salita; tutti con la lingua penzolante alla stregua di un vecchio bue alla fine dei suoi giorni tristi vissuti in stalla, compreso il super campione spagnolo Miguel Indurain. In carriera, Marco Pantani ha vinto il Giro d’Italia nel 1998 e il Tour de France sempre nel 1998.

Un’altra forma di elevazione spirituale potrebbe essere quella di ascoltare il sommo maestro Ennio Morricone durante un viaggio spirituale alla ricerca di sé stessi. C’era Una Volta In America, The Mission, C’era Una Volta Il West, Nuovo Cinema Paradiso e Gabriel’s Oboe sono soltanto alcuni pezzi – tra i capolavori assoluti del maestro romano – che hanno fatto la storia del cinema italiano e mondiale. “Devo cercare di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere a me perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica.”

L’Oscar alla carriera nel 2007 e quello alla migliore colonna sonora nel 2016 (The Hateful Eight) sono soltanto alcuni dei tanti riconoscimenti – assolutamente meritati – ricevuti dal sommo maestro. Non solo la musica, ma anche il cinema può portare a un’elevazione dello spirito. Non credo, difatti, sia possibile restare indifferenti agli ideali proposti dal film l’Attimo Fuggente con protagonista un virtuoso Robin Williams. Tra le tante scene del film, degne di nota, vorrei ricordare quella in cui l’illuminato professor Keating decide di salire in cattedra per sensibilizzare i propri alunni a vedere la vita da un’altra prospettiva rispetto a quella abituale.

“Perché sono salito quassù? Chi indovina? Per sentirsi alto! No. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”. Ebbene, detto questo, anche il calcio – e lo sport in generale – può elevare lo spirito di un essere umano.

Maradona: El Pibe De Oro

Tra gli scugnizzi napoletani ce n’era soltanto uno di adozione; Diego Armando Maradona nacque il 30 ottobre 1960, oltre 60 anni fa, nel quartiere disagiato di Villa Fiorito in Buenos Aires. 1,65 cm di altezza per un peso forma di 67 kg. Piccoletto di statura, ma era dotato di muscoli esplosivi e ben due cesoie al posto delle gambe. Capelli ricci e di colore nero, come la notte più buia della vita, a ricordare la forza bestiale e la bellezza tipica della migliore gioventù. I lineamenti del viso del Pelusa non erano educati come quelli di un figlio di papà; meglio non incontrare Diego nel momento e nel posto sbagliato. Anche grazie al suo immenso talento, Maradona seppe stringere amicizie con politici molto “influenti” tra cui Carlos Saùl Menem, Fidel Castro e Hugo Chàvez.

Inoltre, il campione argentino – fregandosene delle stupide regole del bon ton imposte da una società rigida e bigotta – non nascose mai una sincera ammirazione per Ernesto ‘Che’ Guevara, ex leader della rivoluzione cubana. Personalità eccentrica e polarizzante, fuori e dentro il campo di gioco, controcorrente come pochi altri sportivi al mondo (l’unico vivente è Djokovic perché non è da tutti combattere contro i mulini a vento) – il campione argentino manifestò apertamente una forte antipatia per la ricca e potente famiglia Bush. Insomma, Diego è stato l’anticonformista per eccellenza nel mondo del pallone.

Fase di Riscaldamento San Paolo

Durante la fase di riscaldamento, allo Stadio San Paolo di Napoli, sono sempre presenti 50 mila, forse di più, spettatori di fede partenopea. Sono migliaia le anime perse in uno stato psichico di sospensione ed elevazione mistica della mente. I napoletani – da sempre sudditi al gioco del calcio come pochi altri popoli al mondo – sono stretti alla corte del San Paolo, schiavi del calciatore più forte di tutti i tempi. Maradona chiamò; risponde il suo popolo fedele con cori omofoni, marcando il tempo col battere delle mani: “Olé Olé Olé Diego Diego. Olé Olé Olé Diego Diego. Olé Olé Olé Diego Diego”. E’ un boom sonico.

Il ragazzo d’oro si presenta al popolo partenopeo – Diego proviene direttamente dalle stelle e per questo a Napoli è accostato al Dio Ra – col pallone incollato al piede sinistro e le stringhe delle scarpe sempre slacciate. Sulle note di Life is Life di John Vass tutto lo Stadio San Paolo diventa una bolgia festosa. A Napoli non si capisce più niente, peggio del solito. Lo Stadio è un corpo unico in simbiosi con quello di Diego. In quelle fasi concitate col cuore in gola, durante il riscaldamento del miglior calciatore al mondo, Diego Armando Maradona affianca un certo Antonio de Oliveira Filho meglio noto come Careca. Con l’asso brasiliano c’è un grande feeling; Diego ci scambia sorrisi di compiacimento e sembra sussurrargli in un orecchio nel bordello generale: “Siamo i più forti di tutti!”.

Antonio Careca ricambia ma solo per cortesia – sebbene anch’egli sia un grandissimo calciatore, ma a differenza di Maradona è nato sulla terra – perché non è cosa buona e giusta, anche se dotato di un grande talento, salire sullo stesso gradino degli DÈI del calcio. Meglio non scherzare col fuoco del Vesuvio che da sempre domina il golfo di Napoli: Maradona e’ meglio ‘e Pele.

“Ole Ole Ole Diego Diego, Ole Ole Ole Diego Diego,Ole Ole Ole Diego Diego, Ole Ole Ole Diego Diego!!”

Michel Platini: gol annullato

1985, città di Tokyo. La Juventus di Michel Platini si gioca la Coppa Intercontinentale contro i temibili argentini dell’Argentinos Junior.

Platini riceve palla da Bonini e, in meno di un battito di ciglio, il genio francese stravolge la forza di gravità e la legge di gravitazione universale di Newton. Il capolavoro insperato di Le Roi provoca una riduzione parziale della resistenza delle cellule nervose – i neuroni – di Nando Martellini, il bravissimo e mitico giornalista della Rai: “Mauro poi Bonini, poi Platini ha anticipato tiro e reteeee, Platini capolavoroooo!”.

Nemmeno il tempo di esultare che il gol è annullato dall’arbitro per fuorigioco passivo di Aldo Serena. Le Roi cosa fa? Un altro capolavoro, ma questa volta di grande valore artistico. Un quadro en plein air dove Michel in una posa plastica, con la testa leggermente piegata verso il basso e sorretta dalla mano destra (simbolismo dal fascino decadente sospeso tra realtà e sogno), si beffa elegantemente dell’intera terna arbitrale. Solo i grandi uomini sono dotati, dinanzi all’ingiustizia palesata da un altro essere vivente della stessa specie, di tanta e amabile grazia. A distanza di anni, quel goal annullato è rimasto nella storia del calcio mondiale così come un’opera d’arte di Claude Monet; nessuno più ricorda il risultato di quella partita di calcio.

Le lacrime di un campione

Usa, 1994.

Tra i convocati della Nazionale Italiana c’è un calciatore di 34 anni, a fine carriera, bandiera, faro e capitano del Milan. Col Club di Milano ha vinto tutto quello che c’era da vincere in Italia e in Europa. Nel match d’esordio al Mondiale, contro la Norvegia, il forte difensore centrale si rompe il crociato.

Competizione iridata praticamente finita sul nascere per il forte difensore italiano. No per Franco Baresi che inizia una folle corsa contro il tempo. Tutto in poche settimane, anzi giorni, il tempo necessario in cui si svolge un Mondiale di Calcio. Sembra il titolo di un film famoso di Hollywood. Invece è l’opera diabolica del destino che, prima o poi, ti presenta il conto, fin troppo salato da pagare, anche se sei Franco Baresi.

Albert Einstein sosteneva che tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo, vale per l’insetto come per gli altri esseri viventi. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa suonata da un pifferaio invisibile. Ma Einstein non lo poteva proprio sapere: Franco è l’uomo d’acciaio e al pifferaio magico gli fa un baffo.

Allora che si fotta il pifferaio magico e, pure, la teoria di A. Einstein, avrà pensato Franco Baresi.

Franco Baresi: l’operazione a tempi di record

Il libero rossonero va sotto i ferri, appena 24 ore dopo il terribile infortunio. A tempo di record – grazie a una determinazione fuori dal comune – l’uomo d’acciaio ce la fa a ritornare in campo tra i fili d’erba, sazi d’acqua, che oscillano al vento come il pelo di una grande bestia sul punto di balzare, da un momento all’altro, sulla povera preda inerme. Ce la fa giusto in tempo – il destino di un campione – per giocare la finalissima dei Campionati del Mondo contro il super Brasile di Romario, Aldair, Dunga e Bebeto. Arrigo Sacchi, dopo un’attenta riflessione, decide di non poter fare a meno del suo miglior difensore centrale. Fa la cosa giusta perché, dopo 120 minuti di gioco, la porta dell’Italia resta inviolata, anche grazie a una prestazione sontuosa del miglior difensore italiano di tutti i tempi.

Si va i calci di rigore;

E non è dai calci di rigore che si può valutare un calciatore, come giustamente sostiene da una vita, il maestro, Francesco De Gregori.

Il primo e l’ultimo calcio di rigore lo tirano sempre i migliori calciatori della rosa. Franco Baresi conosce bene quella regola del calcio, anche se implicita. Da grande calciatore qual è – sebbene avesse tutte le ragioni del mondo per non farlo – Franco si dirige stremato, ma coerente con sé stesso (la qualità dei grandi uomini), verso il dischetto di rigore; la sublimazione è stata già compiuta. Si fotta pure

Νίκη, il Dio della vittoria.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Donato Claudione)

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