Abbiamo affrontato spesso il tema di Pasolini e il calcio, oggi Repubblica propone un articolo di approfondimento davvero importante, di seguito vi proponiamo un estratto …

REPUBBLICA (Gabriele Romagnoli) – Pier Paolo Pasolini e il calcio: storia di un amore grande, insolito e chiacchierato. Come ogni cosa sua, un po’ fuori dal tempo, sempre avanti e di lato. Mai sopra: dentro. L’intellettuale in campo. Con lo sguardo partecipe, il sopracciglio disteso, il taccuino aperto […] Pasolini non si siede per osservare, si mischia per capire […] Questi nove articoli, sei di suo pugno e tre interviste, usciti tra il 1956 e il 1975, sono una piccola grande antologia, un discorso aperto

[…] il calcio ha una natura difficile da cogliere, fermare, addomesticare. Scorrendo le pagine di Pasolini troviamo queste possibili definizioni: «È uno sport più un gioco», «è un sistema di segni, quindi un linguaggio», «è un concetto», «è un oppiaceo terapeutico», «è una rappresentazione sacra, l’ultimo grande rito» […] Un diverso occhio non coglierebbe l’una o l’altra e sarebbe inutile insistere. C’è chi percepisce il gioco, chi afferra il concetto, chi partecipa al rito. Solo l’esperienza multiforme di Pasolini poteva cogliere tutti gli aspetti in un sol colpo. È come se davanti a un solido qualcuno ne vedesse alcune facce e lui l’intera complessità. La sua osservazione percorre ogni lato. A cominciare dal campo, inevitabilmente di periferia, dove scende come giocatore. Molte foto ce lo restituiscono con una maglia semplice, attillata, le maniche lunghe, i risvolti una riga controcolorata, pantaloncini corti, calzettoni abbassati alle caviglie. È un’ala destra e questo già vuol dire: mettersi di lato, lavorare di fantasia, cercare il senso per porgerlo ad altri, vanificarsi, infine farsi del male, annientarsi.

[…] Pasolini conosceva bene anche altri due ambienti fondamentali: il bar e lo stadio. Il primo si è dissolto, ma era il forum di quei tempi, la chat dove oggi si celebrano risse virtuali. Lì si concepivano i neologismi e i soprannomi. Scaltri giornalisti li riportavano come invenzioni proprie, ma erano gli anonimi del sublime accanto alla cassa dei gelati a partorirle […]

Di fronte a Giacomo Bulgarelli sembrò avere una visione. «Come avesse incontrato Gesù Cristo», racconterà Sergio Citti, uno dei suoi attori di fiducia. Gli propose addirittura di recitare per lui nel Racconti di Canterbury. Invano. Gli occhi cerulei di Bulgarelli erano fissi sul pallone. Pasolini vedeva altro e altro sentiva. Per lui il capitano del Bologna era letteratura pura. Scriverà nel 1971 che «Bulgarelli gioca un calcio in prosa: è un “prosatore realista”». Così come Rivera è un «prosatore poetico» e Riva un «poeta realista». La poesia si connette invariabilmente al gol: è «invenzione, sovversione del codice, folgorazione». Il campione è colui che ha questa capacità: illuminato dall’alto, crea, strappa, rimodella, riscrive la storia a modo suo. Questa sua grandezza gli è tanto familiare quanto incontrollabile. È lei a possederlo, non viceversa.

foto Repubblica (Pasolini il primo in basso da sinistra, Capello il secondo da sinistra in piedi) 

Redazione

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