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“Quella Polonia ci distrusse… Contro questa risorgiamo”

IL FATTO QUOTIDIANO (Massimo Filipponi) – Contro la Polonia finì un ciclo, contro la Polonia se ne apre un altro. Quell’Italia-Polonia 1-2 del 23 giugno 1974 non segnò solo l’eliminazione dai mondiali tedeschi. La sconfitta contro i biancorossi, rivelazione del torneo, concluse traumaticamente l’era-Valcareggi, la Nazionale che nel ’70, grazie alla tv (ormai elettrodomestico immancabile in ogni casa italiana) conquistò il popolo dei tifosi con l’impresa sfiorata a Città del Messico. L’umiliazione nella finale contro il Brasile di Pelè non oscurò del tutto la semifinale epica, quel 4-3 alla Germania, passata alla storia come la partita con la P maiuscola. Sandro Mazzola era in campo sia nel ’70, protagonista involontario della ‘staffetta’ con Rivera che avrebbe animato il ritorno in patria degli Azzurri e riempito di polemiche le colonne dei giornali, sia nel ’74 quando i vicecampioni in carica si ritrovarono eliminati dopo tre gare.

Lei terminò la sua avventura con la Nazionale proprio contro la Polonia. Che ricordi ha di quel match?

Porca miseria quanto erano forti! Avevano dei giocatori di straordinario valore. Deyna, Lato, Szarmach, Zmuda… Arrivarono fino al terzo posto battendo il Brasile, persero solo con la Germania Ovest…

D’accordo ma alla vigilia del mondiale l’Italia veniva considerata tra le favorite. Dal settembre del 1972 fino all’esordio mondiale con Haiti nessuno aveva fatto gol a Dino Zoff…

Fu l’errore più grande. Non solo gli esperti ci indicavano come favoriti, ma anche noi ci consideravamo tali. Pensavamo che per vincere certe partite non fosse necessario faticare troppo. Ma il vero problema fu un altro…

Quale?

Il gruppo non era unito. Eravamo divisi in gruppi distinti e non furono fatti tutti gli sforzi possibili per creare quell’amalgama necessaria per trasformare un insieme di buoni giocatori in una squadra vera e propria.

Quella spedizione sfortunata in Germania determinò la chiusura con la Nazionale per lei e altri big come Burgnich e Anastasi. Degli Azzurri in campo quel giorno solo Zoff e Causio ebbero l’opportunità, 8 anni dopo, di sollevare la Coppa…

Beh, io avevo 32 anni e all’attivo già 70 presenze. Dovendo rifondare, era giusto ripartire da un gruppo più giovane.

Delle sue 70 presenze, cinque furono speciali: indossò la fascia da capitano…

Fu un’emozione unica perché quello era un altro modo di seguire le orme di mio padre, Valentino Mazzola. Il giorno della tragedia di Superga, quando persero la vita i calciatori del `Grande Torino’, io non avevo nemmeno 7 anni. È un onore per me essere stato 5 volte capitano dell’Italia. Anche mio padre portò cinque volte quella fascia.

Come fu la prima volta da capitano degli Azzurri?

Non ricordo qual’era la partita (Romania-Italia 3-3 del 17giugno 1972, ndr) e non ricordo chi fosse il povero compagno di squadra che divise con me la camera. Ricordo solo che non chiusi occhio per tutta la notte: non sono riuscito a dormire un tubo. Giravo per i corridoi…

Quell’esordio Azzurro contro Pelè?

Mamma mia, il più forte di tutti. Avevo 20 anni e me lo sono trovato di fronte nel sottopassaggio di San Siro. Rimasi imbambolato a guardarlo. Mi passò vicino Cesare Maldini e mi disse: `Noi intanto andiamo in campo, casomai ci raggiungi dopo’…

[…]

L’intervista integrale è stata pubblicata su ”Il Fatto Quotidiano” del 3 settembre 2018

Redazione

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