Le Penne della S.I.S.S.

La Grande Ungheria e la Morte di Puskas: essere morto mi ha fatto ridere

Un nuovo appuntamento con le penne della S.I.S.S.: in questo articolo viene descritta la Grande Ungheria.

La Grande Ungheria e la Morte di Puskas: essere morto mi ha fatto ridere

La Storia del Calcio ci propone, nel suo sviluppo, straordinari periodi di dominio di una o l’altra Nazionale, una o l’altra idea di gioco, ma anche quelli che possono essere definiti errori storici, cioè nazionali che hanno caratterizzato il periodo in cui sono state protagoniste, senza però riuscire a vincere il massimo trofeo che ne attestasse quel predominio.

Nel primo caso possiamo partire con il ricordare l’Uruguay, la nazionale sudamericana fu regina assoluta tra il 1924 e il 1930, vincendo due edizioni dei Giochi Olimpici, che all’epoca rappresentavano la massima competizione calcistica per nazionali, e la prima edizione del mondiale, che si svolse in casa loro.

Ungheria 1954

Gli succedette l’Italia che, tra il 1930 e il 1938, fu capace di vincere tutto quello che era possibile: due Coppe Internazionali, antesignane del campionato Europeo, i Giochi Olimpici del 1936, ben due titoli mondiali.

Il dominio del Brasile di Pelé è durato quasi incontrastato tra il primo mondiale del 1958 e il terzo del 1970, quello della Germania è stato lunghissimo.

I tedeschi, infatti, tra il 1966 e il 1996, salirono sul podio quasi sempre tra mondiali ed europei, vincendo i primi nel 1974 e nel 1990, i secondi nel 1972, nel 1980 e nel 1996, più svariati secondi e terzi posti.

Oggi il calcio dominante è sicuramente quello di Francia e Spagna, ma che solo in tempi recenti hanno risolto il loro errore storico.

I francesi, che hanno dato i natali agli inventori di tutte le massime competizioni sportive mondiali, Giochi Olimpici (Pierre De Coubertin), coppa del mondo di calcio (Jules Rimet), campionato europeo (Henri Delaunay), è solo nel 1998 che hanno vinto il loro primo titolo mondiale, in casa, bissato venti anni dopo in Russia; gli iberici ancora più tardi, nel 2010 in Sud Africa.

La stessa Inghilterra, pomposa inventrice delle regole moderne del calcio, ha dovuto aspettare l’edizione casalinga del 1966 per alzare il suo primo e unico trofeo in assoluto.

Gli errori storici possono essere incarnati dall’Olanda, tre volte finalista mondiale, ma mai vincente, pur dominando con il suo calcio totale gli anni Settanta e con la sua influenza tuttora, ma l’errore storico più venato di romanticismo è quello che riguarda l’Ungheria e i suoi campioni.

Il calcio magiaro già aveva vissuto un ruolo da protagonista negli anni Trenta, quando il calcio danubiano formò una vera e propria scuola insieme a quello austriaco e cecoslovacco, che però fu scarno di vittorie perché in quel decennio, come abbiamo già scritto, il dominio assoluto fu dell’Italia.

Nel 1938 l’Ungheria raggiunse la finale nel mondiale francese, subendo la sconfitta dagli Azzurri (4-2), ma fu quasi un decennio dopo che iniziò la leggenda della Grande Ungheria, che prese forma quando ne divenne Commissario Tecnico Gusztav Szebes, che costruì la sua nazionale cercando giocatori intelligenti, secondo questo suo credo: “L’allenatore può fare un lavoro efficace solo se il giocatore dispone di un’intelligenza di gioco speciale.

La capacità non è tutto e non serve a molto se non si accompagna all’esercizio, all’allenamento, a un corretto modo di comportarsi e di vivere. Un calciatore che non fa una vita da sportivo può avere anche un titolo di studio, ma non potrà mai chiamarsi un giocatore intelligente”. 

Seguendo questa regola, Szebes trovò i giocatori giusti in Gyula Grosics, Jozsef Bozsik, Zoltan Czibor, Jozsef Zakarias, Nandor Hidegkuti, Sandor Kocsis, soprattutto Ferenc Puskas.

Non solo, perché Szebes portò anche alcune variazioni tattiche, mantenendo la classica “emme” difensiva del Sistema, sostituì la “doppiovu” offensiva con un’altra “emme”, il cui perno era il centravanti arretrato, Hidegkuti, e le bocche da fuoco Kocsis e Puskas.

Quest’ultimo avrebbe incarnato lo spirito dell’Aranycsapat, diventandone il simbolo.

Nato in una famiglia povera, iniziò a giocare giovanissimo nel Kispest allenato dal padre Franz, mettendosi subito in mostra come prolifico e veloce attaccante, nonostante l’aspetto piuttosto tarchiato.

Pochi anni dopo il Kispest fu assorbito dall’esercito, diventò Honved e i giocatori avviati alla carriera militare.

In questo modo Ferenc scalò le gerarchie fino ad arrivare al grado di Colonnello, con i colori rosso neri vinse cinque titoli ungheresi, contribuendo a costruire la leggenda anche della nazionale, che pure grazie a lui diventò la Grande Ungheria.

Quella squadra iniziò la sua corsa il 4 giugno 1950, quando superò in amichevole la Polonia a Varsavia (5-2), e proseguì per altri trentuno incontri senza conoscere sconfitte, con tutte vittorie ricche di gol inframmezzate da qualche sporadico pareggio.

In quella stessa data Puskas indossò per la prima volta i galloni di capitano dopo aver collezionato già ventisei presenze, alla fine saranno ottantacinque, con ben ottantaquattro reti realizzate.

Tante vittorie, con le più prestigiose conseguite contro l’Inghilterra, sconfitta per la prima volta in casa da una nazionale del Continente, il 25 novembre del 1953, un sonoro sei a tre con, tra le altre, due reti di Puskas, superiorità ribadita pochi mesi dopo a Budapest, quando la squadra di Szebes si impose addirittura per sette a uno, con altre due reti del Colonnello.

I magiari sembravano veramente inarrestabili, ed erano i logici favoriti per la vittoria del mondiale che, nel 1954, si sarebbe svolto in Svizzera. Con una formula strana, il girone fu superato agevolmente rifilando anche un otto a tre alla Germania Ovest, poi i quarti con il Brasile e la semifinale con l’Uruguay, superati un po’ a fatica (4-2 entrambe le vittorie, con gli uruguagi ai supplementari), ma senza Puskas infortunato, che fu a malapena recuperato per la finale, contro i tedeschi.

Qui, pur dopo una partenza fulminante e il doppio vantaggio grazie alle reti di Puskas e Czibor, qualcosa si inceppò, è stato fatto riferimento anche a qualche aiuto chimico ai tedeschi, fatto sta che questi furono capaci di ribaltare il risultato e vincere per tre a due.

Fu il canto del cigno irrisolto per la nazionale ungherese, che proseguì ancora dominando a suon di gol quasi sempre, fino all’ultimo match, trasferta vinta in Austria (2-0) ancora con un gol di Puskas, il 14 ottobre 1956, e fu anche l’ultima gara in nazionale del Colonnello.

Intanto erano successi degli eventi che avrebbero cambiato il corso della storia non solo di quella squadra, ma della stessa Ungheria.

Il 23 ottobre, nella nazione magiara iniziò un’insurrezione contro l’Unione Sovietica che durò fino all’11 novembre del 1956, quando i carri armati sovietici repressero nel sangue lo spirito ribelle del popolo.

In quello stesso periodo la Honved disputava gli ottavi di Coppa Campioni contro l’Athletic Bilbao, ma il giallo, involontariamente anche comico, avvenne nell’imminenza della trasferta: si diffuse la notizia, infatti, che “Il colonnello Ferenc Puskas è rimasto ucciso mentre combatteva nelle strade della città”.

Non era vero, naturalmente, e lo stesso Puskas ebbe a dire: “Essere morto mi ha fatto ridere”.

La Honved perse in Spagna l’andata, il 22 novembre, pareggiando il ritorno, il 22 dicembre in campo neutro a Bruxelles (3-3), con gol del pareggio di Puskas nel finale.

Fu l’ultima rete del Colonnello con i colori della sua squadra.

All’ordine di rientro in patria, non dimentichiamo che la Honved era la squadra dell’esercito e i giocatori, in pratica militari, gli stessi capitanati da Puskas si opposero, sciogliendo la squadra e di conseguenza anche la nazionale, iniziando una loro diaspora che li avrebbe sparsi per l’Europa.

All’inizio fu difficile, perché arrivarono le sanzioni dalla Uefa, Puskas, riparato in Italia, fu in predicato di passare all’Inter o al Manchester United, ma poi si fece avanti il Real Madrid e per lui fu l’inizio di una seconda giovinezza, contribuendo alla leggenda dei Blancos.

Con la squadra del mitico presidente Santiago Bernabeu iniziò a giocare nel 1958, la Coppa Campioni si disputava da tre stagioni, già appannaggio del Real, con Puskas arrivarono altre due a conclusione del quinquennio vincente, più quella del 1966.

 

Una grande nazionale, quella ungherese, e un grande campione che non possono vantare un titolo mondiale in bacheca a sancire il dominio in quegli anni, ma che rappresenta il pathos puro di questo sport, con Puskas che ha saputo anche ridere della sua “morte”.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)

Raffaele Ciccarelli

allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore. Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.). Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016). Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.

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Raffaele Ciccarelli
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