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Gli 80 anni di un monumento … Dino Zoff

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GLIEROIDELCALCIO (Raffaele Ciccarelli) – La vita è un segmento che va dal momento in cui si nasce a quando si finisce. Può essere un percorso breve o lungo, ma sempre sarà contrassegnato da pietre miliari, punti nodali che saranno importanti per chi li ha vissuti e per coloro con cui saranno condivisi. Questo vale per tutti, per chi ha avuto una vita apparentemente anonima come per chi ha vissuto momenti di gloria. Per lo sportivo questi ultimi sono coincisi con le vittorie, ma anche con le sconfitte, momenti che ne hanno contrassegnato la parabola.

In questi giorni Dino Zoff, forse il più grande sportivo vivente, si appresta a tagliare il traguardo degli ottant’anni. Un periodo lungo, che lo ha visto attraversare generazioni, tutte contrassegnandole con eventi calcistici che sono stati epocali, sia che fossero vittorie smaglianti, sia sconfitte dolorose. Perché le vittorie come le sconfitte rappresentano elementi imprescindibili, nello sport e nella vita, ugualmente importanti e fondamentali a segnarne la leggenda.

Cosa sia stato Zoff nel calcio è cosa nota a tutti… 

… dai suoi inizi nella natia Mariano del Friuli al suo passaggio a Udine, prima tappa di un imberbe portiere nel grande calcio. Espressione tipica della sua terra, fatta di lunghi silenzi e di concretezza, sembrò quasi caratterialmente stridente il suo passaggio alla vulcanica Napoli dalla tranquilla Mantova, ma egli seppe ben adattarsi alla grande espansività dei napoletani, con l’efficacia e l’essenzialità del suo stare in porta. Quasi consequenziale il suo passaggio alla Juventus bonipertiana dell’epoca, allora come oggi tesa ad ingaggiare i migliori campioni per continuare a soddisfare la sua insaziabile fame di vittorie, che con Zoff fu perpetuata, con sei campionati vinti durante il suo periodo bianconero (undici anni), con l’unico cruccio di non essere mai riuscito ad alzare la Coppa dei Campioni, maledizione della casa sabauda, pur arrivando due volte vicino al traguardo.

Contestualmente, l’epopea con la maglia azzurra della Nazionale, con la quale Dino entra nel mito, con la vittoria europea del 1968, bissata solo pochi mesi fa, il secondo posto mondiale messicano nel 1970 e il quarto argentino nel 1978, con l’apoteosi della vittoria spagnola quattro anni dopo, quando il Nostro ha già quarant’anni, in un gruppo da leggenda guidato dal prima vituperato poi osannato Enzo Bearzot, friulano doc anch’egli, con in squadra altri miti, l’altrettanto taciturno Gaetano Scirea, amico di sempre, il solare Paolo Rossi. È qui che Zoff si imprime in due istantanee che entrano nell’immaginario collettivo e sempre ne accompagneranno il ricordo, oltre alle mani che sollevano il trofeo: la parata sulla linea all’ultimo minuto della spasmodica semifinale tra Italia e Brasile sul colpo di testa di Oscar; il bacio, pudico, proprio a Bearzot al termine della stessa, vittoriosa, partita, quasi a suggellare l’unione del gruppo e il rispetto per la sua guida, di cui Zoff era diretta emanazione, diventato anche loquace nel periodo del primo silenzio stampa della storia. Al ritiro dall’attività agonistica è quasi naturale il suo passaggio in panchina, prima a guidare la Juventus meno vincente degli ultimi anni e sollevare comunque due trofei, poi passando alla guida della Nazionale, del quale era già un “Monumento”, guidandola fino ad un soffio dal trionfo a Euro 2000, dimettendosi il giorno dopo per non gradite ingerenze esterne (Berlusconi), fatto che dimostra la dignità dell’uomo prima ancora della grandezza dello sportivo.

Prima e dopo la Lazio in cui fa tutto, da allenatore a presidente, prima di godersi il meritato riposo, dopo una brevissima parentesi alla Fiorentina. Vittorie e sconfitte, portate tutte con la dignità del friulano, pietre d’inciampo della vita di un Mito.

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