RIVISTACONTRASTI.IT (Matteo Mancin) – Carlo Mazzone è un uomo che veleggia verso gli 83 anni. Un allenatore che può vantare più di mille panchine ufficiali e un numero record per quello che riguarda la Serie A. Nonostante sia rimasto ai margini delle grandi piazze, e delle conseguenti vittorie, dove è passato ha lasciato il segno. Il motivo è semplice, quanto terribilmente crudele. La figura di Carlo Mazzone come allenatore è stata assassinata dalla retorica.  Non si parla mai di un mister che nonostante la mancanza di attitudine tattica è riuscito in qualche impresa mirabile, come detenere il record di punti in una sola stagione di Serie B con l’Ascoli o qualificare il piccolo Cagliari per la Coppa UEFA nel 1993. Numeri finiti nel dL0imenticatoio. Mazzone è e sarà sempre intrappolato nel personaggio di sor Carletto, l’allenatore del popolo, quello semplice, che alle alchimie tattiche preferisce gestire i suoi uomini, e che viene amato dai suoi tifosi quasi a prescindere dai risultati, per via di quella sua veracità tutta romana che conquista ed inganna allo stesso tempo.

[…] Un mister concreto, per come mette la squadra in campo e per come riesce a gestire il gruppo di calciatori a disposizione. Il pragmatismo di ferro, eccessivo ed ostentato, è la sua cifra stilistica. Alla continua ricerca di un calcio semplice, dove non servono strane formule per emergere. […] Quando nella sua favola bresciana, il presidentissimo Corioni gli regala Baggio, sor Carletto ha il merito di capire che quello è un giocatore speciale, e che deve ricevere un trattamento speciale. […] Affida le sorti della squadra ai piedi fatati di Baggio, già diventato una sorta di Papa pallonaro. Questa ricerca ossessiva del buon senso in campo è il pregio e al contempo il maggiore limite di Carlo Mazzone. Infatti quando servirebbe un guizzo, un’idea geniale da mettere sul rettangolo verde per scardinare la gara e invertire il piano inclinato della partita manca sempre il famoso centesimo per completare la lira. Non esistono contromisure in corsa, non esiste (ancora) la fisima tattica: in campo vincono i più bravi e basta.

[…] Il passaggio da allenatore di provincia a venerabile santino di un calcio nostalgico ha una linea di demarcazione ben precisa. Parliamo naturalmente dell’episodio più conosciuto, quello della corsa sotto la curva atalantina durante un derby tra i nerazzurri e il suo Brescia nel settembre del 2001.

Si tratta di un episodio che rappresenta plasticamente quello che è l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti di Mazzone, e segna per il mister romano il definitivo distacco da professionista della panchina, per entrare nella galassia delle icone pop di un’epoca, svuotando praticamente di contenuto un’intera carriera

[…] Ridurre la figura di Carletto Mazzone ad una paonazza corsa sotto la curva è però ingeneroso: come allenatore si è potuto togliere qualche soddisfazione sparsa. Se fosse un ciclista si direbbe che ha vinto qualche tappa, senza mai però avvicinarsi al trionfo completo.

Come quando il suo Perugia annega le speranze di scudetto della Juve nella celebre piscina del Renato Curi, consegnando di fatto il tricolore alla Lazio di Cragnotti. Mazzone, fedele alla sua immagine di uomo verace e con la battuta pronta, in sala stampa dirà come prima cosa che ci voleva un romanista per far vincere lo scudetto alla Lazio. Battuta fulminante e francamente riuscita, che descrive appieno il personaggio. […]

[…] Guardiola, che è stato suo giocatore nella miglior edizione della storia del Brescia, lo invita alle finali di Champions, lo omaggia appena possibile. Non si azzarda a dire che deve molto del suo calcio a quello che gli ha insegnato Mazzone. Lo chiama “maestro” più per rispetto che per reale convinzione tecnica. Sembra quasi che questo sperticato apprezzamento lo renda più umano, e lo aiuti a sfumare la naturale antipatia che le vittorie attirano. Le sue squadre infatti sono l’esatto contrario della filosofia di gioco di sor Carletto, che di certo non ha mai lanciato i suoi terzini in ardite scorribande offensive, al contrario. Accade così per Amedeo Carboni ai tempi della Roma: “‘ndo cazzo vai”, gli grida Mazzone, quando lo vede intento all’avanzata.

Fuori dallo spettacolo del gioco, fuori da ogni motivazione tecnica, la gente ama Mazzone proprio per questa natura verace. […]

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Redazione

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