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Libri: “Mondiali 1982. La rivincita”. Intervista all’autore Francesco De Core

GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Per la rubrica “Libri” abbiamo raggiunto e intervistato Francesco De Core, Vicedirettore del Corriere dello Sport-Stadio, scrittore e autore del libro “Mondiali 1982. La rivincita”, edito da Diarkos.

Un viaggio nel tempo e nella storia di un Mondiale indimenticabile, iniziato male, tra i veleni, nel girone di qualificazione di Vigo: tre pareggi, nessuna vittoria. Poi il silenzio stampa e il trasferimento a Barcellona: la cavalcata contro Argentina, Brasile e Polonia, quindi il trionfo nella notte magica di Madrid.

Un triplo appuntamento: oggi l’intervista e nei prossimi giorni due estratti.

Buona lettura

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Francesco, cosa ti ha spinto a raccontare i Mondiali dell’82… da dove nasce l’ispirazione…

Il Mondiale dell’82 è sempre stato raccontato in maniera, a mio avviso, molto parziale. Si è parlato tanto dell’exploit di Paolo Rossi contro il Brasile, dei tre gol che hanno portato l’Italia a disputare la semifinale dopo un lunghissimo periodo di buio e polvere dell’attaccante in forza alla Juve; della finalissima di Madrid contro la Germania, con il presidente della Repubblica Sandro Pertini a esultare in tribuna d’onore a ogni rete degli azzurri senza badare al cerimoniale; dei 40 anni di Dino Zoff, della sua parata decisiva nei secondi finali della gara con i verdeoro, della sua calma olimpica, delle sue poche parole; naturalmente della corsa sfrenata e dell’urlo iconico di Marco Tardelli, autore della rete del 2-0 contro i tedeschi; della partita di scopone sull’aereo presidenziale al rientro in Italia con Pertini, Bearzot, Zoff e Causio (e la Coppa del mondo bene in vista, naturalmente). Ecco: flash, episodi, lampi, immagini, momenti di sofferenza, passione, gioia e gloria. Ma finora – al di là del volume “La Partita” di Piero Trellini, incentrato soprattutto su Italia-Brasile – è mancata una narrazione complessiva della spedizione e in particolare di quella che doveva essere (e poi è stata) nella testa del suo grande artefice, Enzo Bearzot, al di là delle incomprensioni e delle critiche, spesso violente.

La partita a “scopone” più famosa al Mondo

Che paese era l’Italia di quel periodo…

Quel Mondiale è uno spaccato dell’Italia a presidenza del Consiglio laica (Spadolini), di un Paese che però stentava a uscire dalla crisi economica e politica degli anni Settanta, culminata nel 1978 con il delitto Moro.  Terrorismo, eclatanti omicidi di mafia, scacchiere internazionale instabile, economia inceppata: tutto ciò non poteva non ripercuotersi su una nazione ancora debole, che aveva già dimenticato il boom degli anni ’60 e non aveva ancora acquisito gli strumenti per farsi carico di una ripresa che solo alla fine del decennio diventerà stabile grazie al terziario e al Made in Italy. Enzo Bearzot, ex giocatore del Torino, un uomo passato attraverso le asprezze della guerra, e quella Italia che il Vecio (soprannome affibbiato a Bearzot dallo scrittore Giovanni Arpino in “Azzurro tenebra”) aveva costruito e modellato a sua immagine, rappresentano uno spartiacque anche etico: uomo di spessore morale e di principi saldissimi, il tecnico friulano ha saputo dare una lezione di forza e compostezza all’Italia intera. Passando per momenti bui fino a conquistare una vittoria pienamente meritata, in ogni suo aspetto.

Nel titolo si parla di “rivincita”, di chi e da cosa?

Parlo di rivincita perché la prima, vera Nazionale di Bearzot, nel Mondiale d’Argentina del 1978, aveva espresso il calcio migliore ma non era riuscita ad arrivare fino in fondo, bloccata dalla sfortunata partita con l’Olanda, dominata per un tempo e poi caratterizzata da due conclusioni dalla distanza di Brandts e Haan. E poi perché per molti protagonisti della spedizione azzurra di Spagna quel torneo rappresentò un vero e proprio momento di riscossa, personale e professionale: per il capitano Dino Zoff, messo sulla graticola dopo i gol presi in Argentina contro Olanda, appunto, e Brasile nella finale per il terzo e quarto posto; per Paolo Rossi, travolto ingiustamente dallo scandalo del calcioscommesse e rientrato dopo una lunga squalifica proprio nei giorni che precedettero il Mondiale, in uno stato psicofisico a dir poco precario; per lo stesso Bearzot, mal sopportato da gran parte della stampa, che anche nella prima fase del torneo, a Vigo, nel nord della Spagna, ne reclamò la testa al presidente federale Sordillo. Contro tutto e contro tutti, finanche attraverso uno strumento di protesta piuttosto insolito per l’epoca, il silenzio stampa: così l’Italia riuscì a compattarsi e a superare ogni tipo di avversità, recuperando il rapporto che si era sfilacciato con la base dei tifosi.

Narrazione, ricerca storica, riflessione…cosa troviamo nel tuo libro?

Narrazione e ricostruzione, meticolosa anche nei dettagli all’apparenza insignificanti, vanno di pari passo nel mio libro. L’andamento, appunto, è quello di un romanzo polifonico dove i protagonisti sono a un passo dalla caduta definitiva ma riescono a rialzarsi e a conquistare la Coppa a dispetto del pronostico avverso e di squadre come il Brasile, l’Argentina, ma anche la Polonia e la Germania, che non avevano fatto i conti con la classe, la grinta, la determinazione degli Azzurri. Mi concentro spesso su particolari che ai più possono apparire come poco importanti, ma che invece rivelano la vera natura di un collettivo unito fino in fondo, che seppe trovare energie insospettate nel porsi contro quanti avevano esercitato un diritto di critica che talvolta è andato ben oltre il lecito e il consentito.

In questo libro mi piace ricordare giocatori fondamentali per quella spedizione – parlo di Gentile, di Bergomi, di Graziani, di un magnifico Conti, di Antognoni. Ma non c’è un azzurro che non abbia avuto un ruolo ben definito in quel gruppo, come ad esempio il cagliaritano Selvaggi oppure il mitico Causio, a cui Bearzot concesse gli ultimi secondi della finalissima per rendere omaggio alla splendida carriera dell’ala destra juventina. C’è comunque un calciatore a cui ho dedicato un capitolo specifico, il prologo, scritto in prima persona: si tratta di Gaetano Scirea. L’unico che di quella cavalcata strepitosa non c’è più. Ecco, nel prologo io faccio parlare l’uomo e il calciatore, il libero che salvava tutti con i suoi silenzi, il suo inimitabile stile, la sua umiltà, persino con la sua voglia di trasgredire, come in occasione del gol di Tardelli contro la Germania. Riguardate bene quell’azione dall’inizio. E capirete chi ne è il vero artefice, il vero regista, il vero protagonista.

Che “Cosa” è questo libro per te, cosa rappresenta…

All’epoca di quel Mondiale avevo 17 anni. L’ho vissuto da giovane tifoso divorato dall’ansia e dalla paura che qualcosa, in quel meccanismo perfetto che si era messo in moto contro l’Argentina, potesse improvvisamente incepparsi. Che il sogno potesse svanire, evaporare. E invece quell’Italia, con quel suo modo di essere, di interpretare lo sport come la vita, di trasformare le difficoltà in energia positiva, ha aiutato un ragazzo come me a crescere. A uscire dal limbo dell’adolescenza, definitivamente, per varcare la linea d’ombra della esistenza adulta in un Paese più cupo che spensierato. Anche questo mi è piaciuto narrare, in prima persona, nel racconto che chiude il libro.

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Federico Baranello

Classe ’68, appassionato di un calcio che non c’è più. Collezionista e Giornalista, emozionato e passionale. Ideatore de GliEroidelCalcio.com. Un figlio con il quale condivide le proprie passioni. Un buon vino e un sigaro, con la compagn(i)a giusta, per riempirsi il Cuore.

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