La Penna degli Altri

Monza, omaggio a Gigi Radice: un eroe dimenticato

ILGIORNO.IT (Dario Crippa) – Il mondo del calcio, il suo mondo, lo ha dimenticato. E non solo perché a 83 anni è ricoverato in una clinica dalla sua Monza e il morbo di Alzheimer ha ormai da tempo divorato la sua mente. C’è anche un’altra ragione: ed è che Gigi Radice è sempre stato un uomo scomodo. Incapace di compromessi. Senza infingimenti. In un mondo del calcio sempre più viscido e scivoloso (copyright Romano Cazzaniga, suo storico vice allenatore) aveva litigato con tutti o quasi i dirigenti che aveva incrociato. E che spesso lo hanno tradito.

È anche per rendere merito al profeta del calcio totale all’italiana (lo importò lui nell’asfittica “palla lunga e pedalare” in salsa nostrana) che gli hanno dedicato finalmente un libro, “Gigi Radice-Il calciatore, l’allenatore, l’uomo dagli occhi di ghiaccio”, Priuli & Verlucca Editore), che è stato presentato giovedì mattina alloSporting Club di Monza davanti ad alcuni dei suoi amici e affetti più cari. E non è un caso che ci fosse mezza Brianza. Come ha ricordato il sindaco Dario Allevi, amico di famiglia, “a Monza ha iniziato la sua carriera da allenatore nel 1966 con una promozione in serie B, qui l’ha chiusa nel 1997 con l’ultima promozione in B della storia biancorosssa”. E qui ha ricevuto l’ultima pedata nel sedere della sua storia, con un esonero doloroso. “Non era social”, ha ironizzato uno dei suoi ragazzi di un tempo, Patrizio Sala da Bellusco, ex centrocampista nel Torino dello Scudetto 1976. “Non era capace di compromessi”, ha chiosato Gino Strippoli, uno dei due autori del libro. “Era un precursore – ha spiegato il giornalista Carlo Pellegatti -, capace di portare il pressing in Italia dieci anni prima di tutti”. Uno di cui – ha precisato l’ex direttore sportivo Giorgio Vitali – Arrigo Sacchi, il rivoluzionario del calcio, “andava a spiare gli allenamenti: faceva il fuorigioco e il riscaldamento prepartita“.

Una mattinata agra e commovente quella di giovedì. Perché la verità è che Gigi Radice, uomo rude e coraggioso, burbero e schietto, era stato già dimenticato da un pezzo. Accantonato come un ferro vecchio. “Perché? Perché è sempre stato controcorrente, incapace di accettare compromessi – ha ribadito Strippoli -: Radice rappresentò una vera innovazione nel calcio italiano. Questo libro è nato dalla rabbia, non volevamo fosse dimenticato e la famiglia Radice ci ha aperto casa”. “Un’operazione di cuore – ha aggiunto Francesco Bramardo, coautore del libro -: un omaggio, un tributo a una persona ancora in vita. Il suo fu un calcio eroico, ma abbiamo voluto raccontare tutto Radice: marito e padre, uomo di sguardi e poche parole”. Un allenatore atipico che amava la cultura, faceva leggere i suoi giocatori “e che arrivò addirittura a istituire una biblioteca nello spogliatoio del suo Torino”.

I momenti più divertenti sono stati affidati ad alcuni dei suoi “ragazzi”. “Nel 1969 fu il primo a imporre il doppio allenamento al mercoledì. Era intransigente” rammenta Romano Cazzaniga da Roncello, che fu prima suo portiere e poi allenatore in seconda. E poi Patrizio Sala: “A 18 anni mi portò al Toro dal Monza. Mi ha fatto salire su quel treno e mi ci ha fatto rimanere per 5 anni. Non era social, era un uomo da campo. Ricordo a Napoli, venivo da una brutta partita a Perugia, e mi disse: “ritorna il ragazzo umile della Brianza”. E ne uscì una grande partita”. Già, la Brianza, terra di cui era imbevuta ogni cellula di Gigi Radice: figlio di operai, cresciuto al Villaggio Snia di Cesano Maderno prima di metter su casa a Monza con la sua Nerina, conosciuta all’asilo. Brianza nel sangue, come il suo bomber Paolino “Pupi” Pulici, pure lui da Roncello, 172 reti solo in con la maglia granata: “Fra noi c’era un rapporto da brianzoli, prima delle partite ci davamo una testata, diceva che così quello che pensava mi sarebbe entrato in testa più facilmente. Tante volte con Gigi si discuteva in allenamento, ma poi mi diceva: ‘Fa’ quello che ti pare, basta che poi la butti dentro'”. Da giocatore, Radice era una promessa: corretto, combattivo, leale, al Milan vinse scudetto e Coppa dei Campioni, ma un infortunio gli spezzò menisco e carriera. Filippo Galli da Villasanta, grande difensore del Milan di Sacchi, lo incrociò quando era ancora un ragazzino della Primavera: “Radice allenava il Milan e con lui feci il primo ritiro della mia vita con la prima squadra. E mi fece esordire in Germania in un’amichevole. Mi ha trasmesso la meritocrazia… e poi mio papà era tifoso del Toro!”. E poi tanta commozione, in mezzo ai filmati d’epoca e alle parole della famiglia Radice. La moglie Nerina Giussani: “Non sapeva cucinare, ma è stato un bravo marito e un bravo padre”, le figlie Betty e Cristina, il figlio più piccolo Ruggero, discreta carriera da calciatore: “Papà è qui a 300 metri e spero che gli arrivi almeno un po’ di questa energia”. Commozione e lacrime. Sipario

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Redazione

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