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Serie A 1984/1985: miracolo a Verona

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Miracolo a Verona

Una delle suggestioni più potenti del calcio è quella di poter dare vita ai sogni, di poter rendere reale quello che appare impossibile.

Di dare vita a veri e propri miracoli, eventi così straordinari da far pensare ad interventi divini, mentre invece dietro c’è solo un manipolo di uomini capaci di andare anche oltre le proprie possibilità.

E poi c’è la chimica, che permette a tante personalità, pure diverse, anche opposte, di trovare il giusto equilibrio per ottenere la formula magica, la pietra filosofale della vittoria.

Senza volere arrivare agli albori della Storia del Calcio, gli ultimi trent’anni ci hanno regalato le imprese forse più memorabili: la vittoria della Danimarca all’Europeo del 1992; quella della Grecia nel torneo del 2004; la più miracolosa di tutte, quella del Leicester guidato da Claudio Ranieri nella Premier League del 2015/2016, vero trionfo degli impronosticabili.

In Italia, tranne le vincenti degli albori, c’è un monopolio dovuto al triumvirato formato da Inter, Juventus e Milan, tranne sporadiche apparizioni di altre realtà metropolitane: ci sarebbe stato il Cagliari di Gigi Riva nel 1970, la Lazio del 1974, nel 1992 avrebbe vinto la Sampdoria del duo Gianluca Vialli – Roberto Mancini con Vujadin Boskov alla guida.

Realtà che hanno conosciuto la congiuntura giusta ma comunque costruite nel tempo per vincere, anche se con il torto di non essere state più capaci di replicare.

Per il vero miracolo dobbiamo andare alla stagione 1984/1985.

È uno degli ultimi campionati ancora a misura d’uomo, le partecipanti sono sedici, la Juventus parte, al solito, favorita, le altre aspiranti sono le due milanesi, Inter e Milan, il Torino che ha rigurgiti di Cuore Toro.

A farsi largo tra tutte queste, però, è una realtà inaspettata: l’Hellas Verona.

Fondati nell’ottobre del 1903 da un gruppo di studenti del liceo classico “Scipione Maffei”, com’è all’origine di tante squadre nostrane, gli scaligeri, dal nome di un’antica dinastia veronese, approdarono per la prima volta nella Serie A nella stagione 1956/1957, facendo avanti e indietro dalla Serie B negli anni seguenti, conoscendo negli Anni Ottanta il periodo di suo massimo fulgore.

Presidente in quell’arco di tempo è Celestino Guidotti, proprietario di una concessionaria automobilistica, alla guida tecnica è chiamato Osvaldo Bagnoli, allenatore ruspante, ex mediano da calciatore, che trasferisce alle squadre che allena la sua mentalità operaia, di cui va orgoglioso.

“Il mio principio era quello della sberla, nel senso che bisogna cercare sempre di dare almeno una sberla all’avversario, qualunque esso sia, anche contro la Juve, perché prima o poi uno schiaffo dalla Juve lo prendi, tanto vale tentare per primi.”

Tanto semplice quanto efficace.

Con Emiliano Mascetti, ex giocatore dello stesso Verona diventato direttore sportivo, punta a costruire una squadra solida fatta soprattutto di ex promesse di grandi squadre, con l’obiettivo principale di restare più a lungo possibile nella massima serie, e con meno patemi possibile.

Quello che ne scaturisce è una miscela eccellente che risponde in pieno all’idea di pragmaticità del suo allenatore di cui sopra, accompagnata e basata su una fase difensiva arcigna e su contropiede tanto veloci quanto micidiali.

Nelle due stagioni successive al ritorno in Serie A, avvenuto nl 1981/1982, la squadra raggiunge un quarto e un sesto posto debuttando anche in Europa, in apparenza la giusta dimensione, ma poi, all’inizio della stagione 1984/1985, l’organico è rinforzato da due stranieri che hanno figurato all’opposto al campionato europeo vinto nel 1984 dalla Francia di Michel Platini.

Dalla Germania Ovest, clamorosamente eliminata ai gironi, giunge il poderoso mediano Hans-Peter Briegel, mentre dalla Danimarca che era arrivata fino alle semifinali arriva il potente attaccante Preben Elkjaer Larsen.

Sono i due tasselli mancanti che completano il meccanismo perfetto.

In quel campionato i pronostici davano favorite le solite Inter e Juventus, ma i bianconeri si sarebbero presto defilati dedicandosi solo alla Coppa dei Campioni, che poi avrebbero vinto nella notte tragica dell’Heysel, mentre i nerazzurri, pur potendo schierare in attacco il forte Karl Heinz Rummenigge, accusarono qualche passaggio a vuoto che li fece concludere, alla fine, al terzo posto, superati anche dal sorprendente Torino di Gigi Radice.

Il primo squillo, che sarebbe stato anche il biglietto di presentazione della squadra di Bagnoli, si ebbe già alla prima giornata, quando i gialloblu superarono in maniera netta il Napoli del debuttante, in Italia, Diego Armando Maradona (3-1), poi fu un prosieguo regolare e inarrestabile allo stesso tempo.

Gli scaligeri avrebbero conosciuto la prima sconfitta solo all’ultima di andata ad Avellino (2-1), la seconda e ultima in casa alla venticinquesima proprio dal Torino (2-1), ma superarono indenni gli scontri diretti con Inter (0-0 e 1-1), Milan (entrambi 0-0) e Juventus (2-0 e 1-1), con la vittoria contro i bianconeri dell’andata ricordata anche per il secondo gol di Elkjaer, dopo una poderosa cavalcata in cui salta prima Stefano Pioli, poi Luciano Favero, siglando la rete con il piede scalzo dopo aver perso lo scarpino nel contrasto con quest’ultimo..

Il sigillo definitivo, il momento in cui poté esplodere la festa, arrivò il 12 maggio, quando i gialloblu pareggiarono a Bergamo (1-1), ma conquistarono il punto necessario per essere irraggiungibili e diventare Campioni d’Italia, prima e finora unica volta di una città non capoluogo di regione a vincere il campionato dall’istituzione del Girone Unico.

La vittoria di una provinciale che ha annoverato tra i protagonisti, oltre a quelli citati, Claudio Garella in porta, con il suo modo unico di parare; l’elegante Roberto Tricella come leader difensivo, il primo a impostare il contropiede sulla riconquista della palla; il geometrico Antonio Di Gennaro, cresciuto nella Fiorentina all’ombra dell’”ingombrante” figura di Giancarlo Antognoni, ma qui libero di esprimersi; Pierino Fanna, fantasista di fascia in arrivo proprio dalla Juventus, così come Giuseppe Nanu Galderisi, attaccante “tascabile” che ben sposava le sue caratteristiche di agilità e velocità con la potenza di Cavallo Pazzo Elkjaer.

Un gruppo di uomini prima che di giocatori, che trovò l’alchimia perfetta sotto la guida del pratico Bagnoli, il “Mago della Bovisa” o “Schopenhauer”, come lo soprannominò Gianni Brera per il suo carattere introverso e tendente al pessimismo, come il filosofo tedesco.

Una macchina di calcio pratica e perfetta che rese possibile il “miracolo a Verona”, l’ultimo sogno del calcio italiano.

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