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Tempo di calciomercato: quando vivevamo circondati dal profumo di uno sport a misura di tifoso

C’era una volta il calciomercato: una tabellona sui quotidiani sportivi con tre voci accanto alla casella delle squadre. La prima: gli acquisti. La seconda: le cessioni. La terza: le trattative. Solo i nomi dei giocatori e, tra parentesi, la squadra di appartenenza. Sufficiente così. Un rito estivo che si consumava soprattutto in spiaggia. Con amici e vicini di ombrellone si innescavano dibattiti che potevano andare avanti per buona parte della mattinata. Questo era possibile perché a luglio venivano subito chiuse le trattative per fare in modo che gli allenatori potessero portare i nuovi “colpi” in ritiro. 

Un’epoca diversa, dove anche in ferie gli appassionati più fervidi attendevano l’apertura dell’edicola per vedere sulla Rosea o sugli altri quotidiani sportivi gli ultimi movimenti, speranzosi di poter finalmente trovare il giocatore inseguito nel rettangolino della squadra del cuore.  

Di fatto il calciomercato esplode nel lontano 1952 e diventa subito una fiera. Per tutto il decennio e anche in quello successivo le trattative si svolgono all’Hotel Gallia di Milano, nei pressi della Stazione Centrale (memorabile il siparietto con Alberto Sordi, alias Benito Fornaciari-Valli, il presidente del Borgorosso Football Club, che si compiace davanti alle telecamere delle tv collocate davanti all’ingresso), dove ai grandi personaggi dell’epoca si mescolavano ambigue figure di secondo piano, fra cui vecchi intermediari di mercato, smaliziati faccendieri ed osservatori autoreferenziali in disgrazia in cerca di riscatto.

Settant’anni di trattative, ma oggi tutto è cambiato

In seguito la baracca si traferisce all’Hilton, che mette a disposizione una sala stampa con servizio di segreteria, telex e cabine telefoniche, per poi “emigrare” in periferia, all’Hotel Leonardo da Vinci, prima che il pretore Costagliola mandasse i carabinieri per far apporre i sigilli. Quel momento sancisce probabilmente la fine di quel modo “romantico”, certamente più “umano”, di intavolare le trattative che nascevano e morivano nell’afosa estate milanese.

Negli anni ’80 i riflettori si accendono sul Milanofiori. Qualcuno la definisce l’alba del calciomercato moderno: si iniziano ad utilizzare le formule che oggi tutti conosciamo (prestiti, gratuiti o con diritto di riscatto, arrivano le prime comproprietà) e insieme a presidenti, dirigenti, calciatori, mediatori, telecamere tv, giornalisti e fotografi si cominciano ad intravedere gruppi di tifosi alla ricerca di notizie sui movimenti delle loro squadre. Da quel mondo, per richiamare il binomio calcio-cinema, trae spunto “L’allenatore nel pallone”, film cult visto e rivisto da ognuno di noi, dove il presidente Borlotti (Camillo Milli) e il mister della Longobarda Oronzo Canà (Lino Banfi) si recano per le contrattazioni del calciomercato.

Il presidente promette l’acquisto di grandi giocatori, ma alla fine non riesce ad ingaggiarne nessuno, ed anzi vende i due calciatori più promettenti della Longobarda. Storica la frase con cui Borlotti, caricatura perfetta del classico presidente-mecenate di quegli anni, cerca vanamente di tranquillizzare Canà: «Attraverso una serie di spostamenti di giocatori in regime di svincolo sono riuscito ad avere i 3/4 di Gentile e 7/8 di Collovati più Mike Bongiorno. In conclusione Berlusconi ha ottenuto i campionati del mondo in esclusiva e noi la comproprietà di Maradona in cambio di Falchetti e Mengoni».

Gli ultimi anni di calciomercato

Va premesso che in quegli anni il patrimonio tecnico e finanziario costituito dal diritto alle prestazioni dei giocatori era protetto dal “vincolo a vita”. Il rapporto quindi era solido e duraturo. Oggi , invece, è una bomba ad orologeria. Sempre più legato all’incubo di onerosi e continui rinnovi contrattuali. Netta è invece la differenza con gli anni ‘90 di Cernobbio. La vetrina sul lago di Como diviene un vero e proprio happening per il calcio in ascesa che faceva incetta di campioni a tutte le latitudini (ricordiamo che è del 1995 la legge Bosman, riforma che muta in modo drastico i rapporti e le regole d’ingaggio fra le società calcistiche e i loro dipendenti). Ma in quei due decenni eravamo comunque i primi della classe, anche nella scelta da parte dei campioni.

Il resto è storia recente. A tirare i fili, oggi, sono arabi e oligarchi e dove la sete di denaro dei procuratori (e dei loro assistiti) è tale da destabilizzare i programmi delle stesse società, con la mediocrità che spesso viene spacciate per eccellenza. Tutto d’un tratto “sfuma” quella fantastica epopea che entrò nell’immaginario collettivo di un’intera nazione, fatta di presidenti in maniche di camicia (che poi erano gli unici veri finanziatori delle società), appassionati della propria squadra fino a rischiare le proprie aziende.

Le recenti riforme non hanno prodotto gli effetti sperati

Oggi tutto è cambiato, e non solo a causa della crisi. Per vivacizzare il mercato si sono create trasmissioni e approfondimenti non-stop da sfiancare anche il più entusiasta dei supporter. Un martellamento giornaliero amplificato dai social che ha portato alla moltiplicazione delle gaffes e al comprensibile scollamento dei tifosi. E così ad agosto molte rose sono incomplete, nonostante i tanti esuberi, e il cosiddetto mercato “domestico” sembra quasi malaccetto dagli addetti ai lavori. Intanto i big sono altrove, i soldi anche. Non c’è dubbio che il sistema vada ripensato, prima che il “giocattolo” si rompi definitivamente.

Oltre a ciò, le recenti riforme sul calciomercato non sembrano aver prodotto gli effetti sperati. In troppi, in primis i reggenti del potere ufficiale che muovono i fili del dio pallone, si continuano a riempire la bocca senza portare soluzioni (vi sembra concepibile che una squadra del campionato italiano non schieri nemmeno… un italiano?). L’unica certezza è che siamo passati dai colpi di genio ai colpi di testa.

GLIEROIDELCALCIO.COM (Matteo Vincenzi)

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