Storie di Calcio

Van Basten, splendido Cigno dalle ali fragili che 25 anni fa disse “basta”

GLIEROIDELCALCIO.COM (Matteo Vincenzi) – Quel 18 agosto del 1995 mi trovavo al mare, in ferie. Una giornata diversa dalle altre. Appena finito di cenare in albergo, il solito giro di “perlustrazione” con gli amici per il centro di Rivabella (per la serata vera e propria, come funzionava a quei tempi, c’era tempo per organizzarsi successivamente) con tappa obbligatoria al vecchio bar Centrale. Il tempo di un caffè veloce al banco e poi seduti davanti al grosso televisore in fondo alla sala ad attendere quell’appuntamento irrinunciabile che per chi ama l’essenza del calcio.

Prima del calcio d’inizio del tradizionale Trofeo Berlusconi, che per la quinta volta metteva di fronte Milan e Juventus, si celebrava l’addio di colui che era diventato uno dei simboli dei successi internazionali rossoneri e dell’Olanda e del calcio mondiale. E probabilmente anche della nostra giovinezza. Marco Van Basten, il cigno di Utrecht, calciatore che per grazia e talento sembrava un essere superiore, diceva basta. Una decisione annunciata il giorno prima con una conferenza stampa appositamente organizzata nella sede del Milan, in via Turati. Secco come uno dei suoi diagonali all’angolino, non ci aveva girato troppo intorno. «La notizia che devo darvi è corta. Semplicemente ho deciso di smettere di fare il calciatore. Grazie a tutti quanti».

Un comunicato scarno, ma da lasciare impietriti. Essenziale, come implacabilmente sapeva colpire sotto porta. Anche se quel giorno ci colpì il cuore. Chi come me non poteva raggiungere San Siro, doveva comunque trovare il modo per non perdersi quei pochi minuti, consapevole che la partita sarebbe passata in secondo piano. Quando lo speaker annuncia l’ingresso di Van Basten gli occhi diventano subito lucidi. E mentre compie quel giro di campo di pochi secondi volevamo non finisse mai, consci che sarebbe stata l’ultima volta. Un groppo alla gola che non si può controllare, scrutando quella giacchetta di renna che pareva eccessiva per una serata di metà agosto, ma che in quel momento fu consacrata all’immortalità. «Spero di non commuovermi. Faccio brutta figura quando piango», aveva detto alla viglia dell’addio.

Niente da fare, vinceranno le lacrime. Le sue e anche le nostre. Una storia di calcio che, come la vita, può essere stupenda, terribilmente dolce e amara al tempo stesso. Ma anche intensa quanto infinitamente breve, magari a causa di una “maledetta” caviglia che, come per un assurdo paradosso, ti tormenta per tutta la carriera. Oggi come venticinque anni Marco Van Basten è sempre lì, emblema del calcio totale con il suo modo unico ed elegante di stare in campo. Ogni gol era un capolavoro, ogni giocata somigliava ad una pennellata di Van Gogh.

Quanto ci manchi – non solo a noi tifosi, ma a tutto il calcio sdilinquito di oggi – caro inimitabile “Cigno” dalle ali fragili.

Matteo Vincenzi

Giornalista professionista. Cronista-inviato del quotidiano "La Voce di Mantova" dal 1993, già corrispondente di Libero fino al 2010 e collaboratore di altri quotidiani nazionali. Opinionista sportivo sulle emittenti locali. Appassionato di calcio anni '80 («uno sport completamente diverso in un'Italia diversa») e soprattutto del Mondiale di Spagna dell’82 («inarrivabile per l'intensità e l'atmosfera magica che ha saputo trasmettere, capace sempre di emozionare ogni volta che scorrono le immagini di quella che è stata una storia sportiva, umana e agonistica difficilmente ripetibile»). Diversi gli idoli sportivi, ma se deve scegliere tre nomi non ha dubbi: Franco Baresi, Marco Van Basten e Ivan Lendl.

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