Storie di Calcio

10 gennaio 1981 – L’Uruguay vince il Mundialito della rivoluzione televisiva

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Riccardo Lorenzetti) –

“Fu una cosettina modesta. Una di quelle ciambelle che escono senza buco”

L’avevano reclamizzato come una specie di Giudizio di Dio, e un memorabile, apocalittico duello tra le più grandi Nazionali del pianeta: invece fu la classica perdita di tempo.

Eppure, con il senno di poi, il cosiddetto “Mundialito” fu qualcosa di importante, se non addirittura epocale. Che non lasciò nulla dal punto di vista tecnico, ma fu l’anticamera della “rivoluzione”; che avrebbe preso compimento negli anni a venire, con l’avvento della tecnologia e dell’elettronica.

1980

A metà strada tra il flusso e il riflusso. Tra gli anni di piombo e l’edonismo reaganiano, tra Breznev e Gorbaciov. L’anno del monumentale “The Wall”, un’opera rock ad altezza vertiginosa che porta al massimo livello artistico l’alienazione e le contraddizioni del mondo che cambia. E anche l’Italia, ormai alla fine del tunnel del terrorismo, si interroga sul futuro, oscillando tra la poetica incertezza di Lucio Dalla (“Chissà domani, su che cosa metteremo le mani…”) e la pallida speranza di Edoardo Bennato (“seconda stella a destra questo è il cammino”).

1980: L’anno degli stadi che riaprono ai grandi concerti internazionali: memorabile quello di Patti Smith: al Comunale di Firenze, non ancora dedicato ad “Artemio Franchi”, che invece è vivo, vegeto, e lotta insieme a noi (e lo scopriremo a Spagna 82). Epocale quello di Bob Marley a San Siro, che porta centomila ragazzi a scoprire la magia ipnotica del reggae, la musica del momento.

Al cinema escono capolavori assoluti: “Apocalypse now”, “Shining”, e “Warriors-i Guerrieri della Notte”, dalle atmosfere notturne e violente… Ma il disimpegno è ormai dietro l’angolo, e la tendenza si sta invertendo: ancora pochi mesi, infatti, ed arriva “Il Tempo delle Mele”, che sbaraglierà il botteghino e sarà campione di incassi del 1981.

E infine questo “Mundialito” uruguayano, che fu il pretesto per sbattere la testa sui “Diritti Televisivi”: un’entità misteriosa e lontana che si sarebbe presto rivelata molto più decisiva degli sponsor sulle magliette, degli stranieri in serie A e di tutto quello che il nostro povero calcio stava inventandosi per uscire dalle secche dello scandalo scommesse.

E così, in modo del tutto inaspettato, si scoprì che dentro il pollaio esisteva la gallina dalle uova d’oro, della quale nessuno conosceva l’esistenza; ed era venuto il momento di tirarla fuori.

Vigeva, fino a quel momento, la dittatura ferrea della RaiTv, che ad ogni inizio campionato bussava alla porta della FIGC, offriva due peperoni, una melanzana e “fattele abbasta’ “: come il babbo al luna park quando, con solennità, estraeva le mille lire dal portafoglio, accompagnandole ad un sospiro.

La televisione era ancora un semplice elettrodomestico, dai modi e costumi non ancora invadenti: Novantesimo Minuto, la Domenica Sportiva e poi tutti a nanna, che l’indomani c’è la fabbrica, o l’ufficio, ad aspettarci.

L’irruzione delle cosiddette TV private inserì nel gioco un secondo soggetto (nella fattispecie, il semiclandestino Canale 5, dell’altrettanto semisconosciuto proprietario Silvio Berlusconi) fu una specie di sconquasso epocale che cambiò gli scenari, ed offri al calcio dignità e, soprattutto, un potere di contrattazione che non aveva mai avuto. E che, da lì in poi ne avrebbero fatalmente modificato l’apparato genetico.

Con la valanga di denaro che garantiscono i neonati diritti televisivi, infatti, il calcio annacqua gradatamente la sua componente competitiva e passionale e si avvia a diventare un prodotto di spettacolo, se non di puro intrattenimento. E da lì prendono le mosse il boom degli stipendi e il conseguente proliferare di Procuratori e agenti Fifa: la legge Bosman, le nuove regole sul fuorigioco e sul passaggio all’indietro. Il calcio che diventa “il Prodotto calcio”, i tifosi che diventano “clienti di riferimento” ed il loro progressivo distacco dagli stadi. Il consegnarsi (felicemente) in ostaggio alle leggi del palinsesto, i turni spezzatino, i calendari intasati e, infine, il punto di non ritorno: la VAR.

Piaccia o no, Canale 5 è la piccola (forse inconsapevole) scintilla dalla quale divampa l’incendio, e la causa che scatena gli effetti sugli anni a venire.

Quel tristissimo Mundialito uruguayano di fine anno è l’inizio della “lunga marcia” che condurrà i mercanti nel tempio, modificandone le abitudini: che hanno una sacralità secolare, e sembravano immutabili… Dieci giorni che sconvolgono il mondo, anche se il mondo ancora non lo sa: ma d’altronde nemmeno Cristoforo Colombo, appena sbarcato a San Salvador, si era reso conto del vespaio che era andato a stuzzicare.

Network, reti indipendenti, interconnessioni, Consorzio di Emittenti sono parole nuove che rappresentano il cavallo di troia per rompere il monopolio che dura da quasi trent’anni.

Le trattative tra la RAI e questa fantomatica Fininvest furono serratissime: la partita della Nazionale Azzurra era, insieme al Telegiornale, al Varietà del sabato sera e la Messa della domenica il fiore all’occhiello dell’intera programmazione.

Sì arrivo, quindi, ad un compromesso che salvò salomonicamente la capra pubblica e i cavoli privati; una trattativa assai nebulosa dove fecero pressioni gli ambienti politici, finanziari e (si sussurra) persino le logge massoniche.

La RAI ottenne le due partite dell’Italia e la finalissima, sborsando il triplo della cifra prevista: a Berlusconi toccò tutto il resto, compreso il ritorno d’immagine e la non piccola consapevolezza di una legittimazione a livello nazionale e internazionale. Gli ascolti di Canale 5 registrarono un’impennata, e la raccolta pubblicitaria fu assolutamente soddisfacente.

Da lì in poi, l’ascesa della Fininvest sarebbe risultata irresistibile: l’effetto Mundialito servirà per strappare alla Rai il presentatore Mike Bongiorno e le soap-opera più popolari, come Dallas e Dynasty. L’ acquisto delle “rivali” Retequattro e Italia Uno, ed il decreto Craxi del 1984, che ordina la riaccensione dei ripetitori dopo il loro spegnimento. “Bim bum bam”, “Popcorn”, “Risatissima,” Il pranzo è servito”, “Drive In” … Ma siamo andati un po’ troppo avanti: perché siamo nel pieno degli anni 80, e l’Italia ha ormai scoperto il telecomando.

Mentre Berlusconi ci ha preso decisamente gusto, e si è persino comprato il Milan.

Il Mundialito, per chi non lo ricordasse, lo vinse l’Uruguay.

Gli unici a tenerci davvero in quei dieci giorni (30 dicembre 1980-10 gennaio 1981) di partite affatto memorabili, strappate ai campionati nazionali e alle vacanze natalizie. Con il becco della rinuncia all’ultimo momento dell’Inghilterra, a favore di un’Olanda svogliatissima e alle prese con un declino irreversibile dopo Il decennio d’oro del calcio totale.

L’Italia onorò l’avvenimento senza particolare cipiglio, approfittandone per far esordire qualche giovane di belle speranze come Ancelotti e Vierchowod. Argentina e Germania fecero da comparsa e il Brasile perse la finale; abbastanza immeritatamente, ma senza nessuno strazio lontanamente paragonabile al Maracanazo del 1950.

Il centravanti Victorino, che poi verrà a giocare nel Cagliari, risultò il capocannoniere: la mezzala Ruben Paz fu eletto miglior calciatore dell’intero torneo, e la vittoria regalò alla Giunta militare una boccata di ossigeno. Un “effetto carnevale” che durerà lo spazio di un secondo, perché dopo tre anni quel regime ha la disoccupazione in pauroso aumento e l’inflazione al 90%, e verrà spazzato via.

Mettendo nel dimenticatoio quei giorni a cavallo tra il 1980 e il 1981: sportivamente trascurabili ma destinati a cambiare il calcio, e forse l’intero sport.

Senza che ce ne accorgessimo.

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