La Penna degli Altri

Baresi si racconta: “Il Milan più di una famiglia”

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Federico Bini, per il Giornale, ha intervistato Franco Baresi. Lo storico capitano rossonero si è raccontato. Il numero 6 ha parlato dei suoi esordi e anche dei suoi idoli.

Ecco alcuni estratti:

[…]Come avviene il suo arrivo al Milan?

Tramite un provino. Andai per la prima volta a Linate (dove una volta i ragazzi del Milan si allenavano) e poi ne feci un altro a Milanello che andò bene e dove videro delle qualità. Fisicamente non ero un gigante e qualche perplessità c’era sul piano fisico. Però seppero accogliermi e darmi molta fiducia.

Quali erano da giovane calciatore i suoi idoli calcistici?

Sono sempre stato rossonero, già quando accendevo la radio che parlava di Rivera, Prati, Sormani… Rivera soprattutto è stato per me un punto di riferimento, mai avrei sognato di poterci giocare insieme. Fu il mio primo capitano nell’anno in cui vincemmo lo scudetto insieme.

Come era Rivera?

Un grande. Ho imparato molto da lui. Sapeva stare con i giovani, era attaccato alla squadra, sapeva proteggerla e anzi, metteva prima il gruppo di se stesso.

Quando ha debuttato per la prima volta in A?

Aprile del 1978. Non avevo ancora compiuto diciotto anni, li avrei fatti il mese dopo.

Come si diventa un campione?

Sicuramente il talento non basta, dietro ci deve essere l’amore per quello che fai, la passione e lo spirito di servizio. Il campione viene riconosciuto negli anni, nel percorso che fai, in quello che cerchi di dare, trasmettere, in modo da conquistare la stima del club e degli avversari.

Come è stato diventare capitano del Milan?

Io sono diventato capitano a ventidue anni ed essere capitano del Milan non è semplice. Mi hanno dato tuttavia fiducia, mi hanno responsabilizzato, hanno investito in questo ruolo e magari non ero pronto ma l’ho imparato strada facendo. Nei primi anni ho cercanto dalle varie persone di carpire i segreti, ascoltare e poi ho provato a metterle in pratica.

E l’arrivo di Silvio Berlusconi?

Portò una grande novità ed entusiasmo, trasmettendoci quella mentalità che tutti sappiamo. L’entusiasmo di Berlusconi era contagioso e io ero fiero essendone il capitano.[…]

A quale trofeo è maggiormente legato?

Ho avuto la fortuna di vincere molto, forse pensandoci la prima Coppa dei Campioni al Camp Nou di Barcellona, 24 maggio 1989 contro lo Steaua Bucarest. Il Milan l’attendeva da vent’anni e fu un’emozione particolare.

Ha qualche rimpianto della sua lunga e straordinaria carriera?

Non ho rimpianti, avrei potuto vincere di più ma avrei potuto anche vincere meno.

La sua maglia nel 1997 è stata ritirata da parte del Milan. La celebre numero 6.

[…]Fu il primo caso in Italia e devo ringraziare la società e il presidente Berlusconi per il grande riconoscimento. La fascia di capitano invece la cedetti a Paolo Maldini.

Il giocatore più forte con cui ha giocato nel grande Milan?

“Difficile fare un nome perché erano davvero tutti forti. Rivera ma anche gli olandesi”.

Van Basten forse è stato il più completo?

In quegli anni sicuramente era il giocatore più forte. Lui aveva tutto, eleganza, fisicità, tecnica, acrobazia, non aveva paura, era determinato.

In che modo si presentarono Arrigo Sacchi e Fabio Capello?

Sono stati due allenatori importanti, diversi ma arrivati al momento giusto. Sacchi è arrivato quando la squadra aveva bisogno di un cambiamento, d’innovazione, di idee nuove, di mentalità… il Milan di Sacchi cambia completamente il calcio facendo da traino per le altre squadre. Per questo veniamo ricordati ancora dopo trent’anni, perché siamo riusciti ad emozionare. Capello è arrivato nel momento in cui la squadra aveva bisogno di un altro tipo di gestione e grazie alla sua competenza ha fatto sì che potessimo proseguire quel ciclo.

Su Sacchi ci fu grande scetticismo, anche il grande Gianni Brera scrisse che era “un apostolo soggiogato da visioni celesti”.

Come sappiamo portare novità nel calcio c’è sempre scetticismo. Tutti erano pronti a fucilarlo, ma anche quando arrivò Berlusconi fecero dell’ironia….

Cosa ricorda quando pensa all’infortunio di USA ’94?

Credo che sia una cosa irripetibile che uno si faccia male al ginocchio, venga operato e alla fine possa giocare la finale in un mondiale.

Si sente ancora un “libero”?

Ho sempre cercato di essere me stesso in un mondo che cerca continuamente di cambiarti.

Cosa rappresenta per Lei il Milan?

Più di una famiglia.[…]”

Federico Bini – ilgiornale.it

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