La Penna degli Altri

Due anni senza “Pietruzzu”. Claudio Gentile: “Mi insegnò che eravamo un simbolo di riscatto per i ragazzi del sud…”

Il 17 gennaio di due anni fa ci lasciava a 71 anni dopo aver giocato come un leone la sua partita più dura l’indimenticabile Pietro Anastasi, il “Pelé bianco” come lo chiamarono i tifosi varesini, italiani e bianconeri amanti di quel calcio romantico di cui era simbolo e ambasciatore universale.

Nato a Catania nel 1948 è con il Varese che si mette in evidenza prima di accasarsi alla Juventus con la quale militò per ben otto stagioni dal 1968 al 1976. Con la “Vecchia Signora” vinse 3 scudetti in 8 stagioni diventando tra i più amati calciatori del periodo. Passò poi all’Inter nell’ambito del famoso scambio con Boninsegna nell’estate del 1976, una operazione di mercato che fece molto discutere all’epoca. Con l’Inter vinse la Coppa Italia nel 1978 e chiuse poi la carriera con Ascoli e Lugano. Con la Nazionale vinse l’Europeo del 1968 collezionando in totale 25 presenze, con 8 reti, tra cui proprio una nella finale dell’Europeo.

Claudio Gentile, campione del mondo 1982 e compagno di squadra della Juventus e, anche lui in biancorosso prima nelle giovanili e poi in prima squadra, nel 1972/73, lo ha voluto ricordare così ai microfoni di varesenoi.it:

«Era un conterraneo, proveniva anche lui dal Varese – dice Gentile – Ricordo che arrivai a Torino alla Juventus stile Agnelli, cioè un club che allora era una scuola di vita, prima di essere una squadra di calcio. Serietà di comportamento, rispetto dei ruoli e delle regole ed educazione erano le primissime cose che i dirigenti bianconeri di allora guardavano. Pietro mi prese sotto la sua protezione come un fratello maggiore: mi insegnò tantissimo ma, soprattutto, una cosa fondamentale e cioè che da uomo del sud non avrei mai dovuto mollare perché ero un esempio per quelli meno fortunati di noi che lavoravano in fabbrica e che avevano come unica evasione la partita della domenica … Anastasi ha dato molto al calcio Italiano  oltre che quell’Europeo del 1968 conquistato con un suo gol. E’ stato un esempio di leader carismatico e, forse, avrebbe potuto avere qualcosa in più dal mondo del calcio,  ma non entro nei particolari. Mi piace ricordarlo come un ragazzo aperto, buono, sorridente, gran lottatore sia in campo che nella vita».

fonte varesenoi.it

 

 

Redazione

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