Le Interviste degli Eroi

ESCLUSIVO – Intervista a Giovanni Loseto: “Fare il capitano significava responsabilità, in campo e fuori”

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)

“Il capitano non è portare la fascia. Il capitano è avere responsabilità, in campo e fuori dal campo”

Il racconto di un calciatore speciale, bandiera indiscussa del Bari anni ’80 e ’90, capitano di mille battaglie, simbolo di una città.

Intervisto Giovanni Loseto grazie a Roberto Vaira, grandissimo collezionista e nostro amico in comune. L’emozione è tanta, anche perché mi trovo di fronte a uno di quei giocatori che ha legato buona parte della sua carriera ai colori della sua amata città. Nonostante la tensione, Giovanni si dimostra disponibilissimo a raccontarmi gli aneddoti del suo calcio, quello romantico e difficile di tre decadi addietro. 

Comincio con le giovanili, per capire da dove nasce il mito di Loseto … “Ho iniziato prima per strada e poi ho giocato in alcune squadre locali (Il Gambero, Italia Nuova); sono stato preso dal Bari quando giocavo nella Rafaschieri Calcio. Vennero a vedere una partita Sante Cecca ed il direttore sportivo Regalia. Avevo 13 anni. Da quel momento ho fatto tutta la trafila, fino alla prima squadra. Eravamo una quindicina di ragazzi che poi sono stati messi con i grandi, grazie al Bari di Catuzzi”.

E proprio sul mitico allenatore dei galletti, Enrico Catuzzi, concentro l’attenzione per sapere di più sull’esordio in B e sul calcio innovativo di quel tecnico rimasto nella memoria di tutti … Ho esordito in B col Perugia. Io stavo in panchina e Catuzzi mi chiamò  per farmi riscaldare. Non mi sembrava vero. Avrei esordito a 19 anni e con la maglia della squadra della mia città. Giocai uno spezzone di 15 minuti. Poi giocai da titolare, all’inizio di Gennaio, un Bari – Cremonese che perdemmo in casa. Quella era una serie B difficile e noi avevamo fame di emergere. Sono stato testardo. Inizialmente facevo lotta greco-romana poi, vedendo i miei fratelli, ho capito che volevo giocare a pallone. Nella mia famiglia, a parte mio fratello Pasquale, nel Bari giocavano anche i miei zii, i Chiricallo. Catuzzi aveva una idea di calcio innovativa, avanti trent’anni rispetto a tutti. Lui ci ha insegnato il calcio. Ha visto in noi dei ragazzi seri che potevano avere qualità umane e calcistiche per poter sfondare. Assomiglia molto, come metodologia di gioco, a mister Mangia. Rifiutò di fare anche il secondo a Liedholm per inseguire le sue idee di calcio”.

Nella stagione 1983/84 arriva il Bari dei miracoli che sconfigge i colossi Fiorentina e Juventus in Coppa Italia“Gli anni belli che ho fatto io sono stati, principalmente, dal 1983 al 1986. Abbiamo fatto dalla C alla A e una semifinale di Coppa Italia. Battere la Juventus con sette campioni del mondo in squadra è stato bellissimo. Quella era gente che non ti regalava nulla. Noi vincemmo 2-1 con gol di Lopez e io marcavo Platini. Anche con l’Udinese di Zico, l’anno dopo, vincemmo. Io marcavo Selvaggi e Zico lo marcava Onofri. Platini era più uomo squadra, un leader. Zico era più fantasia”.

Nel 1986 arriva, finalmente, la Serie AA me, ogni domenica, mi toccava marcare i più grandi giocatori al mondo. Il più forte, come attaccante, sicuramente Van Basten. Per fortuna me la sono sempre cavata. Quel Milan era fortissimo. Io segnai un gol da 30 metri contro l’Inter. Onestamente non ho mirato nulla. Ho avuto fortuna, ma anche coordinazione. Quel giorno marcai Rummenigge: fisicamente potentissimo”.

Del grande Giovanni Loseto si ricorda, tra le tante prestazioni, una sontuosa contro sua maestà Maradona. Correva la stagione 1988/89 ed il grande giornalista Strippoli raccontava di un “controllo asfissiante” del difensore barese sull’asso argentino … “Noi conoscevamo la formazione negli spogliatoi. Chi marcava i fantasisti era Angelo Terracenere. Non so perché quel giorno non ci fosse. Il mister non sapeva a chi assegnare Maradona. Allora alzai la mano e gli dissi che lo avrei marcato io. Lo marcai benissimo. Lo seguivo ovunque, tanto che Diego si girò e mi chiamò sceriffo. Era una fenomeno. Non si lamentava mai”.

Gli inizi degli anni ’90 coincidono con la promozione a capitano di Loseto. Anni bellissimi e squadre tecnicamente superlative … “Il capitano significa avere responsabilità, in campo e fuori dal campo. Dare l’esempio anche con i ragazzini. Io sentivo la responsabilità , l’appartenenza alla squadra e alla città. Quel Bari dei primi ’90 era pieno di grandi giocatori; Boban ancora giovane, Raducioiu, il fortissimo Maiellaro ed il grande Joao Paulo. Se noi avessimo avuto a Bari uno stadio come quello di Genova avrebbero vinto i tifosi, da soli”.

Ultime esperienze con Pescara e Barletta“A Pescara due anni bellissimi. La tradizione di famiglia, dopo Pasquale e Onofrio (entrambi fecero il passaggio dal Bari al Pescara), mi portò necessariamente in Abruzzo. A Barletta vincemmo un campionato di eccellenza. Più un fatto umano col Barletta. Ci tenevano tanto ai calciatori. E io rispettai l’accordo preso con una stretta di mano anche dopo il fallimento e la retrocessione dalla C all’Eccellenza”.

Concludo l’intervista, come sempre, chiedendo l’avversario ed il compagno di squadra più forti. Questa volta ci aggiungo anche l’allenatore simbolo di una carriera fantastica … Maradona e Van Basten come avversari. Totò Lopez come compagno di squadra e come  uomo leader. Come allenatore, i più importanti sono stati sicuramente mio fratello Pasquale (che mi fece esordire da difensore durante una trasferta a Brindisi), Catuzzi (che mi ha insegnato il calcio), Radice e Bolchi (che sono stati quasi come genitori)”.

Grazie Giovanni. 

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