La Penna degli Altri

Giovanni Galeone

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RIVISTACONTRASTI.IT (Matteo Mancin) – E’ il 24° di Pescara-Milan, seconda di campionato stagione 92/93. Frederic Massara ha appena infilato Antonioli e sta esultando dotto la curva di uno stadio Adriatico ebbro di gioia ed incredulità. Il Pescara, il piccolo e modesto Pescara, ha segnato 4 gol al Milan in appena 24 minuti di gioco. La squadra rossonera è allenata da Fabio Capello, e viene da ben 36 risultati utili consecutivi. Eppure questo piccolo Pescara sta mettendo in crisi totale la difesa più forte del mondo. Capello è una furia, e il suo omologo sulla panchina avversaria vede sbigottito quello che accade in campo. Quell’omologo è Giovanni Galeone, napoletano classe ’41, alla seconda esperienza alla guida del Pescara.

Ha l’aria di chi passa di lì per caso, un aspetto vagamente trasandato che durante i 90 minuti si degrada ulteriormente. È uno di quei momenti dove in molti hanno pensato che Galeone fosse un genio della panchina, e non era la prima volta che un’amante del calcio si poneva in contemplazione davanti alla bellezza di una squadra allenata dal mister campano. Quella partita rappresenta probabilmente l’essenza del calcio galeoniano. A Galeone come allenatore, e di riflesso a tutte le sue squadre, manca sempre il famoso soldo per fare una lira. Quella gara, di quel pazzo campionato che rimarrà nella storia come uno dei più prolifici di gol, finisce 5 a 4 per il Milan che continuerà la sua striscia d’imbattibilità fino alla gara numero 58, quando verrà trafitto da una punizione chirurgica di Tino Asprilla sul proprio terreno.

Già alla fine del primo tempo il delfino pescarese aveva dilapidato il proprio vantaggio, permettendo al Milan d’impattare sul 4-4. Nella ripresa annegherà sotto i colpi di uno scatenato Van Basten. Ma le squadre di Galeone sono così. Prendere o lasciare. Sono formazioni che non conoscono l’arte di adattarsi all’avversario oppure ai momenti delle partite. La storia da mister di Galeone del resto è piena di momenti in cui le sue squadre sembrano sul punto di spiccare il volo per poi precipitare amaramente. Dopo gli inizi alla Spal, Galeone trova la sua dimensione in quel di Pescara, ereditando una formazione che si era salvata solo tramite ripescaggio nella stagione precedente. Il suo credo tattico è netto e definito: 4-3-3 schematico, perché a suo parere quello è il modulo che copre meglio il campo ed esalta le qualità dei singoli. In quella prima stagione di B alla guida del delfino, Galeone lancia la sua squadra in ardite scorribande in tutti campi di B, che in quelle stagioni era in pratica il laboratorio tattico del calcio italiano. Non erano pochi i mister abbagliati dalle gioie del bel giuoco a zona, da Sacchi con il suo Parma, a Zeman che avrebbe poi sostituito proprio il mago di Fusignano sulla panchina ducale.

Con una cavalcata esaltante si conquista una promozione in serie A che ha il sapore del miracolo ed il successivo campionato rimarrà l’unico squillo di una carriera che ha regalato soprattutto amarezze in massima serie. Quella stagione, la 87/88, si aprirà con la vittoria inattesa sull’Inter di Trapattoni direttamente a San Siro, e catapulta il Pescara e il suo mister come sorprese del campionato. Con l’arrivo dell’autunno non sfioriscono solo gli alberi ma anche le formazioni di Galeone. Ne prende 6 sul terreno del San Paolo da uno scatenato Napoli, e lo stesso iter sarà seguito nella stagione susseguente con un inizio di campionato sfolgorante interrotto dalla trasferta partenopea dove questa volta ne porta a casa 8, di gol. Segnandone però 2.

In questa seconda stagione di A la squadra di Galeone è addirittura a metà classifica al termine del girone d’andata, e il popolo abruzzese fantastica anche di possibile qualificazione UEFA. Finirà con un Galeone sconvolto all’ultima giornata, che nelle interviste dichiara conclusa la sua prima avventura alla guida del delfino, dopo una clamorosa retrocessione. Tornerà però a Pescara dopo una non felice parentesi al Como, per riportare la squadra in serie A, nella stagione 92/93, quella della partita col Milan citata in precedenza. Qui viene esonerato dopo 24 giornate, con una formazione che come al solito aveva iniziato la stagione con il turbo inserito, andando a vincere all’Olimpico contro la Roma alla prima giornata, prima di crollare miseramente ai primi accenni di autunno. Viene da pensare che Galeone dia fin troppa importanza alla tattica di gioco, un po’ meno alla preparazione fisica vedendo la parabola comune delle sue squadre. Comunque In quella formazione del Pescara ci sono due giocatori, che sono gli interpreti principali, le braccia, o per meglio dire gambe, armate di Giovanni Galeone.

Uno Blaz Sliskovic, che il mister campano si porterà dietro in entrambe le avventure pescaresi. Il giocatore non potrebbe essere più adatto alla figura di Galeone. Si tratta di uno slavo talentuoso ma dannatamente indolente, capace di colpire una lattina a 50 metri di distanza grazie ai piedi che gli ha fornito madre natura, ma assolutamente carente dal punto di vista fisico. Gli piace bere, fumare e tirare le punizioni. Galeone stravede per lui, lo tratta come fosse Maradona, perdonandogli una certa pigrizia negli allenamenti. Gli affida le chiavi della squadra, ma Blaz le perde alla prima sbornia e la squadra naufraga miseramente.

L’altro è nientemeno che Massimiliano Allegri, che dice di aver imparato molto, quasi tutto del mestiere di allenatore da Galeone. Viene difficile da crederlo, vedendo il pragmatismo con cui Allegri ha impostato tutte le sue formazioni, fino alla ferrea Juve degli ultimi anni. Infatti il maestro Galeone non ha perso occasione per elogiare il suo pupillo, sottolineando però ad ogni occasione che la Juve a suo dire gioca male. Questo è probabilmente il limite di Galeone, quello che gli ha impedito di sedere su qualche panchina prestigiosa in carriera. La ricerca ossessiva del bel gioco, del rischio, spronando i propri giocatori a cercare la giocata difficile, il colpo spettacolare da regalare alla platea. Meglio perdere 5-4 che vincere 1-0. Per gli spettatori sicuramente un bel vedere. Ma per i tifosi della squadra in questione una continua sofferenza.

Galeone si porterà con sé Allegri anche nella disastrosa avventura del Napoli targato 97/98. Stimolato dalla possibilità di essere profeta in patria, accetta una sfida che va ben oltre il concetto di disperato, con una squadra ultima e staccata già di svariati punti dalla zona salvezza. Galeone affermerà di essere stato presuntuoso, credendo di poter arrivare dove Mazzone aveva fallito. Un commento amaro, che sta a metà tra l’attestato di stima ad un collega, e la critica a chi gli ha sempre imputato una eccessiva attenzione al bel gioco piuttosto che al risultato.

Tornerà in seria A altre due volte, la prima nel devastato Ancona del 2004. Un’altra scelta di carriera discutibile, stavolta in terra nemica vista la rivalità dei marchigiani con i vicini pescaresi. Qui proverà a portare i dettami della zona del bel calcio in una squadra che schiera in attacco l’asso brasiliano Jardel, sbarcato nelle Marche in condizioni fisiche ben lontane dall’accettabile. Le poche soddisfazioni, delle poche giornate alla guida dell’Ancona, gli saranno date da un giovane Pandev che muove i primi timidi passi in serie A. La seconda volta sarà un’incolore parentesi nell’Udinese condotta ad una salvezza quasi per inerzia. In Friuli Galeone si era tolto anche una bella soddisfazione tempo addietro, portando i bianconeri in serie A nel 94/95. L’anno seguente farà lo stesso col Perugia del vulcanico Gaucci, salvo poi essere esonerato in massima serie. Ma almeno qui le responsabilità si possono trovare soprattutto nella consueta fame di allenatori del presidentissimo perugino, che appena promosso aveva subito messo pressione al tecnico parlando apertamente di qualificazione in Europa.

Galeone non siede oramai su una panchina di calcio professionistico dal 2007. Molti lo chiamano maestro, e ne decantano i pregi di visionario della panchina. Un destino comune a questi personaggi figli di quel calcio che non c’è più, dove anche una singola vittoria contro una formazione blasonata valeva il titolo di scienziato del pallone. Galeone ha probabilmente pagato un suo modo di essere, che si traduceva nelle decisioni prese dalla panchina. Anche nei fallimenti ha sempre interpretato la situazione secondo la lettura che meglio si adattava alle sue teorie. Quando retrocede con il Pescara nella stagione 88/89, in quella che probabilmente è la sua delusione più cocente, imputa alla squadra un’eccessiva prudenza, una ricerca ossessiva del pareggio ai fini della salvezza. Senza questo suo integralismo da trincea non sarebbe stato il Galeone che tutti conosciamo, in grado di divertire ma anche – dannato pragmatismo! – di far divertire gli avversari. Forse è per questo che allenatori così si insinuano nelle pieghe della storia del calcio italiano.

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