Storie di Calcio

Maradona 60, genesi del dio del calcio

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia) – 20 Dicembre del 1973, località Embalse, provincia di Cordoba, Argentina. Un ragazzino di tredicenni anni sta per entrare in campo per giocarsi la prima partita importante della sua carriera; in palio la finale del Torneo Evita, competizione sospesa nel 1949 e tornata alla ribalta proprio in quell’anno.

Los Cebollitas di Buenos Aires, guidati da quel furetto di Villa Fiorito, affrontano il Club Social Pinto, una squadra di pari grado di Santiago del Estero. La partita termina con il risultato di 2-2 e sono necessari i calci di rigore per decidere chi andrà a giocarsi la finale. Vinceranno gli sfavoriti del Club Social, in una partita giovanile che rimarrà nell’immaginario collettivo argentino come una delle prime giocate dal dio del calcio. Quel ragazzino è disperato, ai bordi del campo. Piange, non accetta la sconfitta. Accanto a lui si avvicina un ragazzo, tale Cesar Ganem, che lo consola sussurrandogli poche e profetiche parole: “Non piangere, sarai migliore di Pelé”.

La storia del più grande calciatore che si sia mai visto sul rettangolo di gioco inizia proprio in quel momento. Un Paese intero si accorge di lui nel 1976, quando il Pibe de Oro non ha ancora sedici anni. La maglia è quella dell’Argentinos Juniors e la partita contro il Talleres consegna agli amanti delle statistiche il più giovane calciatore ad aver mai esordito nella massima serie.

Il racconto della carriera sarebbe scontato, ma la narrazione delle gesta più importanti risulta essere fondamentale, soprattutto per ribadire, seppur ce ne fosse bisogno, che uno del genere non c’è stato e difficilmente ci sarà. A chi verrebbe di prendere un pallone da centrocampo, subito dopo il fischio d’inizio, palleggiare due volte e calciare in porta con una precisione millimetrica? Chi si sognerebbe a 20 anni di sfidare Hugo Gatti, uno dei migliori portieri argentini di sempre, colpevole di averlo apostrofato “gordito”, segnandoli quattro gol in una partita dopo averglieli promessi, prima, in segno di vendetta sportiva? Chi penserebbe di poter segnare una punizione a due, allo statuario Tacconi, con palla all’interno dell’aria di rigore e barriera a meno di due metri, facendola passare con una traiettoria contro le normali leggi della fisica?

Maradona è stato questo. Maradona è stato il calcio. Maradona è stato l’emblema di un dio sportivo senza eguali, un condottiero mai domo. L’uomo che si è caricato sulle spalle la sua Argentina, in un Mondiale messicano giocato ad un livello mai visto prima. Il simbolo della rinascita sociale di Napoli, che in lui vedeva il dio al quale aggrapparsi.

Come ebbe a dire nel suo saluto finale davanti al pubblico della Bombonera: “Il calcio è lo sport più bello e pulito del mondo. Se uno sbaglia, non deve pagare tutto il calcio. Io ho sbagliato e ho pagato, però il pallone non si sporca”.

Auguri Diego, auguri dio del pallone.

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