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Libri: “SPAGNA 1982 – Il Mundial di Bearzot”. Italia – Brasile 3-2

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Per la rubrica “Libri” abbiamo raggiunto e intervistato Francesco Zagami, autore del libro “SPAGNA 1982 – Il Mundial di Bearzot”, edito da Urbone Publishing

Il Mondiale di Spagna del 1982, conclusosi felicemente con la vittoria finale di Madrid l’11 luglio, rappresenta l’episodio più coinvolgente della storia della nostra Repubblica dal punto di vista emozionale. Per la generazione di chi scrive (comprendente coloro che sono nati nei primi anni settanta) sono la colonna sonora, l’apoteosi stessa delle emozioni: esse furono vissute quasi in una dimensione onirica.

Oggi il primo estratto relativo a Italia – Brasile 1982 … era il 5 luglio 1982 …

Si ringrazia la casa editrice Urbone Publishing per l’opportunità.

Buona lettura

Il team de GliEroidelCalcio.com

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” […] È da dire che nei momenti di massima pressione argentina, il Brasile compiva più di uno sbaglio in difesa. Limite che Bearzot annotava, mentre andava cercando la chiave di volta per depotenziare la forza verde-oro, mettendo a fuoco i punti deboli. Il CT poco prima della partita con il Brasile non aveva mancato di far notare ai propri come i difensori brasiliani non fossero immuni da pecche. I sudamericani erano molto abili a mascherare le loro lacune, con un gioco elegante, ritmato, quasi danzato. La loro forza era nel centrocampo, che, attaccando in coro, però, esponeva la retroguardia, perché il solo Cerezo proteggeva la difesa. Lo snodo era la boa d’attacco, Serginho, che con la sua stazza fisica (utile per smontare le tradizionalmente munite difese europee – ed è per questo che Santana lo preferiva ad altri giocatori forse più tecnici) si metteva al servizio dei fantasisti come sponda per concludere in area avversaria. Egli era il punto di passaggio quasi obbligato per ogni azione d’attacco. Tutti i fantasisti facevano leva su di lui. E se il gioco riusciva erano dolori. Se, viceversa, si anticipava Serginho quando cercavano di servirlo, il Brasile si ritrovava scoperto mentre diversi suoi giocatori avanzavano: l’Italia avrebbe potuto avviare il più micidiale dei contropiedi. Dunque Collovati doveva anticipare Serginho. I fatti daranno ragione a Bearzot perché l’unica volta in cui loro riuscirono a eseguire perfettamente la sponda fu in occasione del gol del primo pareggio. Palla a Serginho, smistamento a Zico in piena corsa e assist rasoterra per Socrates che si sovrappone in velocità da destra, controlla, finta per ingannare Zoff e segna.

Questo il punto principale, la base di partenza: ma la tattica impostata da Bearzot non si basava solo nel rendere inattivo Serginho, autentica miccia che faceva esplodere la potenza degli eccelsi giocolieri brasiliani. Per rendere meno pericolose le verticalizzazioni verdeoro, Bearzot adottava una zona mista nel contesto della quale le sole marcature a uomo previste erano quella di Collovati su Serginho e quelle di Oriali su Zico e di Gentile su Eder (originariamente doveva essere così, ma all’ultimo minuto Gentile e Oriali si vedranno scambiati gli uomini da seguire). Zico, che era una sorta di rifinitore dietro a Serginho, doveva essere annullato nella stessa maniera di Maradona. A centrocampo si sarebbe giocato a zona. Ma una zona diversa da quella solita: veniva predisposta una sorta di doppia barriera mobile per ambedue le fasce, al fine di bloccare o quanto meno rallentare il galoppo sia dell’ala sia del terzino verso l’attacco (i due terzini brasiliani Leandro e Junior sovente diventavano mezzali per supportare il centrocampo). A destra Conti, rientrando, e Oriali, trasformato in terzino, avrebbero sorvegliato Junior e Eder. A sinistra Cabrini e Graziani, di ritorno in centrocampo, avrebbero chiuso rispettivamente Socrates, che era particolarmente pericoloso perché capace di imperversare da una parte all’altra del campo, partendo in genere da destra, e Leandro.

I giornali italiani, come pure Helenio Herrera, davano Gentile su Eder, Cabrini su Zico – eventualmente su Paulo Isidoro, qualora Zico, acciaccato, avesse dato forfait-, e a centrocampo Oriali su Falcao, Tardelli su Socrates e Antognoni su Cerezo: evidentemente si immaginavano marcature a uomo dappertutto e non a zona nel centrocampo. Quando i brasiliani si accentravano, Tardelli e Antognoni si sarebbero presi in consegna Falcao e Cerezo e a turno il centrocampista che capitasse per la loro zona, a seconda delle circostanze. Cabrini in caso di bisogno poteva agire su Zico, non essendoci nel Brasile chi fungesse da ala destra. Dietro Scirea avrebbe vigilato su tutti e quando la palla era in mano italiana avrebbe impostato e rilanciato nella metà campo avversaria (si rammenti che come calciatore egli era “nato” come centrocampista, con un buon piede, molto adatto alla manovra, diventando poi libero alla Juve anche grazie all’opera di persuasione di Capello). Così, si sarebbero lasciati pochi spazi, soffocando i centrocampisti brasiliani, che pativano i controlli stretti. La zona brasiliana entrava in sofferenza di fronte ai controlli stretti: lo aveva dimostrato anche il Mundialito uruguaiano, quando il Brasile aveva perso l’unica partita in due anni, trovandosi di fronte alle arcigne marcature della squadra di casa; e di questo Bearzot era consapevole (e, in fondo, anche le marcature sovietiche durante il primo turno avevano messo in difficoltà i brasiliani, che furono aiutati dell’arbitro,  quando, sotto di un gol, aveva negato agli europei un rigore sacrosanto). Quello che era essenziale era evitare che i giocolieri brasiliani iniziassero le loro danze, il loro tourbillon, a base di triangolazioni e sovrapposizioni che quasi sempre permettevano ai carioca una devastante superiorità numerica in fase d’attacco.

Ma nello stesso tempo si sarebbero potuti alimentare le ripartenze veloci sia di Antognoni che di Tardelli, quando i brasiliani venivano sorpresi sbilanciati (e l’anticipo nei confronti di Serginho sarebbe stato in questo senso fondamentale, come la stretta sorveglianza del centrocampo): bisognava attaccare con puntate veloci e secche, con pochi passaggi decisivi, in modo da prendere in contropiede e senza protezione i due difensori centrali, che spesso rimanevano soli (in sintesi, Bearzot diceva che i brasiliani giocavano “tutti avanti, tutti indietro”: la velocità doveva servire a evitare che tornassero per tempo tutti indietro, dopo che fossero stati resi innocui quando erano tutti avanti). A questo punto sarebbe toccato a Rossi, esentato da ogni impegno in chiave difensiva, finalizzare (e per lo stesso attaccante si limitava il raggio di azione in modo da non fargli disperdere energie e risultare più efficace). Tutto questo presupponeva una grande velocità (potrei dire che nella “panoplia” calcistica bearzottiana l’eclettismo era lo scudo, ma la velocità era la lancia e ambedue costituivano un tutt’uno particolarmente efficace) e una condizione atletica, che si riteneva raggiunta dopo e per mezzo del primo turno nel ritemprante fresco di Vigo, lontano dalle calure che sfiancavano altre squadre. La maggior velocità degli azzurri avrebbe permesso di poter aspettare i brasiliani a metà campo, senza doverli inseguire per ogni dove: essenziale poi vincere i duelli sulla palla. Come capiterà spesso. Infine, non sfuggiva al nostro CT la circostanza che il Brasile non avesse un tornante di destra di ruolo, il che avrebbe potuto facilitare le incursioni alla nostra sinistra da parte di Cabrini. Questo da parte di Bearzot. Praticamente nessuno avrebbe immaginato simili diavolerie tattiche da Annibale del football, questo ideare soluzioni e marchingegni da Ulisse del pallone, questa sorta di polymetis calcistica.

[…] Ma egli aveva sempre difeso i propri giocatori, non solo nell’ora dei grandi rendez-vous. Li rispettava come uomini; al riguardo, si rammenti ancora che Giovanni Galli dirà che si comportava come un padre, autorevole; mai come un professore, di quelli saccenti e autoritari. Che Bearzot avesse protetto i suoi uomini sarebbe stato da riconoscere sempre e non solo nell’occasione del grande incontro ci aveva visto vincitori. Vincitori perché tutti avevano fatto pienamente loro il dovere, come chiesto dal CT. La partita con il Brasile del 5 luglio 1982, è da ribadire, pare costituire il capolavoro del CT azzurro, quella che in maniera più limpida riunisce ed esalta tutte le componenti teoriche della sua summa calcistica. Abbiamo l’evidenza del valore del gruppo come principio generale per cui ogni singolo si danna per soccorrere e aiutare il compagno in difficoltà; la perfetta capacità di circoscrivere i punti forti del Brasile imbrigliandolo con la doppia zona mobile e con le marcature azzeccate; l’altrettanto esemplare abilità di individuare il punto debole di esso (Serginho); l’insuperabile “dialettica” sinfonica gruppo-singolo: il primo elemento non solo depotenzia la carica offensiva del Brasile, deducendone la forza incisiva essenziale, disinnescandola, spuntandola, comunque, riducendone ogni impeto “letale”, ma lo espone anche agli agili assalti dei temibili guastatori italiani, altrettanto lesivi, esaltando l’eclettismo di giocatori come Tardelli, Cabrini o Antognoni, che ora difendono e ora attaccano, mentre Conti, oltre a difendere, attira gli avversari, svuotando spazi, e inventa soluzioni imprevedibili e insidiose; il secondo elemento, il “singolo”, incarnato da un fantastico Rossi, – perfettamente a suo agio da un punto di vista tattico, con un raggio di azione su cui poter operare volutamente limitato, ma adeguatamente immaginato, studiato e preparato razionalmente nella sua ristretta essenza, al fine di poter rendere ancora più esplosive le sue caratteristiche di micidiale “rapinatore” di area di rigore (d’altronde, Rossi, che aveva subito l’asportazione di 3 menischi, avrebbe fatto fatica a scorrazzare di qua e di là) -, lo abbatte.

Gruppo e singolo come lo scudo e la lancia di una testuggine romana: lo scudo che ripara e percuote intontendo, la lancia che infilza e annichilisce definitivamente. Anche Rossi, che finalmente si liberava di tutti i blocchi psicologici, evenienza per certi versi temuta e per altro presagita da Junior, allorquando, dopo la vittoria italiana sull’Argentina il 29 giugno, oltre ad aver commentato che “non sarà come con Maradona, bloccando Zico non fermerete il Brasile”, così rispondeva a una domanda riguardante Rossi, rivoltagli da un giornalista de “La Gazzetta dello Sport”: “Mi è sembrato star meglio di altre volte, in due occasioni è andato vicinissimo al gol e se l’avesse ottenuto forse si sarebbe definitivamente sbloccato. Ora devo sperare non gli riesca contro di noi”[1]. Purtroppo per Junior che Rossi sarebbe risorto calcisticamente contro il Brasile, come da timore espresso alla stampa italiana, purtroppo per Junior che Bearzot non fosse stato tanto ingenuo e inesperto da pensare che il bloccare il solo Zico avrebbe significato fermare il Brasile.

[1] P. Rossi – F. Cappelletti, Il mio mitico Mondiale, op. cit., p. 94.

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