Roberto Baggio emerge una verità davvero scomoda (Foto IG @robybaggio_official - glieroidelcalcio.com)
Roberto Baggio emerge una verità davvero scomoda (Foto IG @robybaggio_official - glieroidelcalcio.com)
Su Roberto Baggio spunta una verità scomoda che sa tanto di batosta, a raccontarla direttamente il campione.
Quando si parla di Roberto Baggio, inevitabilmente si parla di emozioni. È stato uno di quei campioni capaci di andare oltre il risultato, oltre le maglie e le rivalità, perché in campo portava qualcosa che non si insegnava: il talento puro unito a un’anima fragile e autentica.
Il Divin Codino ha segnato un’epoca, regalando al pubblico momenti di poesia calcistica che ancora oggi restano impressi nella memoria collettiva. Dal rigore sbagliato di Pasadena ai gol impossibili con la maglia del Brescia, la sua carriera è una lunga altalena di gloria e dolore, come se il destino si fosse divertito a metterlo costantemente alla prova.
Tra i tanti episodi che hanno segnato la sua vita sportiva, ce n’è uno che ancora oggi brucia. Una verità scomoda, come l’ha definita lui stesso, che sa di delusione profonda e di un’occasione perduta. Parliamo della mancata convocazione al Mondiale del 2002 in Corea e Giappone, una decisione che ha lasciato perplessi milioni di tifosi e che lo stesso Baggio, a distanza di anni, ha deciso di raccontare con la schiettezza che lo ha sempre contraddistinto.
In quella stagione, Baggio militava nel Brescia e stava vivendo un periodo complicato: un infortunio al legamento crociato lo aveva costretto ai box, ma la voglia di tornare era stata più forte di tutto. Con la sua determinazione e una dedizione quasi commovente, riuscì a rientrare in campo in tempi record, proprio a ridosso del Mondiale. Nelle ultime tre partite della stagione segnò tre gol, dimostrando non solo di essere guarito, ma anche di avere ancora la magia nei piedi. Sembrava il segno del destino, la prova che il Divin Codino potesse regalarsi e regalarci un ultimo sogno in azzurro.

Ma così non fu. Il commissario tecnico Giovanni Trapattoni decise di non convocarlo. Una scelta che fece rumore allora e che oggi, riletta con le parole dello stesso Baggio, assume contorni ancora più dolorosi. “Lui mi chiamò a casa,” ha raccontato, “e disse che non mi avrebbe portato perché aveva paura che mi facessi male. Questa fu la scusa. Io risposi: ‘Lei non si deve preoccupare per questo, posso farmi male anche scendendo dall’autobus. Se mi faccio male, smetto di giocare, ma questa è una scusa’. E lui replicò: ‘No, no, è solo questo’. Non l’ho più incontrato, e forse è stato meglio così.”
Parole amare, ma incredibilmente lucide, che rivelano non solo la delusione di un fuoriclasse escluso nel momento in cui si sentiva pronto a dare tutto, ma anche la consapevolezza di chi ha imparato, nel tempo, ad accettare che nel calcio — come nella vita — non sempre conta il merito.
Quella telefonata tra Trapattoni e Baggio resta una delle pagine più tristi del nostro sport. Perché, senza ombra di dubbio, un Mondiale con il Divin Codino sarebbe stato un’altra storia. E chissà, forse anche il destino della Nazionale italiana, allora eliminata agli ottavi, avrebbe potuto prendere una piega diversa. Ma il tempo, come sempre, non torna indietro. Rimangono le parole, i ricordi e la sensazione che, ancora una volta, il talento più puro del nostro calcio sia stato frainteso proprio da chi avrebbe dovuto proteggerlo.
